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 2015  febbraio 21 Sabato calendario

SOMALIA, STATO FALLITO DOVE GLI ESTREMISTI TORNANO A UCCIDERE

Non ripetiamo gli errori della Somalia si sente dire in questi giorni a proposito della Libia e della missione internazionale che negli anni ’90 naufragò a Mogadiscio lasciando il Paese in mano alle milizie dei clan e agli estremisti islamici Shebaab legati ad Al Qaeda. La Somalia negli ultimi tempi era uscita dalle cronache, oscurata dall’ascesa del Califfato, come se la missione militare dell’Unione africana, i droni americani e le iniziative europee – piene di buone intenzioni ma assai poco incisive – avessero pacificato la nostra ex colonia.
Non è così. Mogadiscio torna tragicamente alla ribalta per ricordarci come si dibatte nel sangue uno stato fallito da oltre due decenni: almeno 25 i morti ieri dell’attacco kamikaze rivendicato dagli Shabaab contro il Central Hotel, nel mucchio delle vittime un deputato, un ex ministro e un vicesindaco, tra i feriti il vicepremier del nuovo ed ennesimo precario governo nominato una decina di giorni fa. È il secondo attentato in poche settimane dopo l’autobomba che il 22 gennaio ha colpito un albergo dove si teneva un ricevimento in onore del presidente turco Erdogan.
La Somalia ha molto meno petrolio della Libia ma ricopre una posizione strategica nel Corno d’Africa, a cavallo tra Etiopia, Sudan, Eritrea, Kenya, di fronte allo stretto di Bab el Mandeb e a quello Yemen che si dibatte in un’altra guerra civile - questa volta con gli sciiti Houti vincenti - che rischia di costituire una spina nel fianco dell’Arabia Saudita, da alcuni decenni sponsor ma anche vittima di un jihadismo destabilizzante.
La Somalia è una minaccia sempre presente per la cristiana Etiopia, che per altro ne approfitta per una politica espansionista, per l’Eritrea, dove a migliaia fuggono la povertà e la repressione del regime di Isaias Afeworki, per il Sud Sudan, altro stato a brandelli, e per il Kenya, dove il controverso presidente Uhuru Kenyatta è stato recentemente “riabilitato” agli occhi della comunità internazionale dopo un devastante attacco degli Shebaab in un centro commerciale di Nairobi.
Nonostante i progressi politici e militari, con l’elezione in parlamento del nuovo presidente Hassan Sheikh Mohamud e la liberazione da parte delle truppe dell’“African Union Mission to Somalia” (Amisom) delle principali città, tra cui lo strategico porto di Chisimaio, la situazione nel Paese resta instabile. Molte aree della Somalia centro-meridionale sono sotto il controllo del movimento radicale Harakat al-Shabaab al-Mujahideen, il quale attraverso una strategia asimmetrica, ovvero con il terrorismo e la guerriglia, continua a compiere attentati a raffica, infiltrandosi nelle città, compresa la capitale Mogadiscio esposta ad atti terroristici diretti contro hotel, ristoranti e le strutture difese dalle truppe di Amisom, incluso l’aeroporto dove si insedierà la nuova ambasciata italiana.
Lanciata nel ’92 la missione Onu Restore Hope a guida americana doveva salvare un Paese sprofondato nella carestia e nel caos dopo il crollo della dittatura di Siad Barre. Davanti a noi c’erano la fame, la siccità (e ci sono ancora), i bambini moribondi (oggi in 40mila rischiano la morte per fame), le bande armate di kalashnikov, si camminava sui cadaveri abbandonati tra le macerie di una Mogadiscio sbranata dalla guerra civile. Poi ci fu lo sbarco dei marines, arrivarono i bombardamenti, gli agguati dei somali del generale Aidid, le bare dei soldati italiani.
Le immagini della tragedia somala scossero allora l’opinione pubblica mondiale che si mobilitò per soccorrere un Paese nell’abisso. Ma nell’inestricabile labirinto delle fazioni in lotta, nei meandri di scelte politiche e militari sbagliate, l’operazione Restore Hope, che contava -rammentiamolo bene - 25mila caschi blu, nel giro di un anno venne inghiottita dall’anarchia somala e sostituita dall’operazione Unosom per disarmare le fazioni. Anche questa fu un fallimento e diventò tristemente famosa per la battaglia di Mogadiscio, l’abbattimento degli elicotteri Black Hawk americani, l’agguato del Pastificio dove morirono tre soldati italiani. Nella primavera del ’95 fu chiusa e i contingenti stranieri evacuarono una capitale in cui non restava in piedi più nulla. Fu così che la Somalia diventò il paradigma negativo che oggi nessuno vuole replicare.
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 21/2/2015