Stefano Lepri, La Stampa 21/2/2015, 21 febbraio 2015
ATENE RESTA SOTTO TUTELA I NODI SONO TUTTI DA SCIOGLIERE
Ieri sera a Bruxelles il governo Tsipras ha completato la sua marcia indietro. Ha dovuto rinunciare alle richieste esagerate con cui si era presentato nelle scorse settimane all’Europa. E ha invece ottenuto quello che un governo politicamente più moderato avrebbe chiesto.
Dato che la Grecia aveva difficoltà a farsi ascoltare, può darsi che gli elettori greci ritengano di aver avuto ugualmente ragione ad affidarsi a dei massimalisti.
L’estensione del programma di aiuto per 4 mesi senza nuove misure di austerità significa che il bilancio pubblico greco conserverà nel 2015 l’assetto raggiunto nel 2014. Per «rispettare i patti» alla tedesca sarebbero occorsi nuovi tagli; realizzare subito il programma elettorale di Sýriza invece avrebbe fatto scomparire quel lieve attivo al netto degli interessi.
Il prestito aggiuntivo che sarà concesso alla Grecia per superare il 2015 non è una concessione, pur se al suo debutto il ministro Yannis Varoufakis aveva proclamato di poterne fare a meno. Qui si è fatto molto teatro da entrambe le parti. Tutti sapevano che sarebbe stato indispensabile anche se ad Atene fosse rimasto in carica il governo precedente fino alla fine naturale della legislatura.
All’area euro nel suo insieme però un braccio di ferro cosiffatto non ha giovato. Ha avvolto questioni che a tutti premono – all’Italia in particolare – dentro due immagini sbagliate: la prima, che si tratti di contrasti fra nazioni; la seconda, che occorra scegliere tra due visioni estreme, una che ripropone una austerità pura e dura, una che la demonizza senza se e senza ma.
Proprio per uscire da questa ambiguità va detto che l’intesa o pre-intesa di ieri lascia sul campo anche degli sconfitti. Sconfitta è la componente più estremista di Sýriza, disposta anche ad uscire dall’euro, pronta a cadere nella trappola del blocco ai movimenti di capitale. Sconfitta è anche quella parte della Germania che vedeva bene un’area euro senza Grecia.
Proprio ieri si erano fatti avanti a sostenere questa tesi 4 dei «5 saggi», gli economisti che consigliano il governo tedesco. Continuano a sostenere che la terribile recessione della Grecia era una cura inevitabile date le condizioni «già catastrofiche» in cui quel Paese si trovava nel 2009; «il bicchiere era mezzo pieno» e senza elezioni anticipate avrebbe continuato a riempirsi.
E’ una tesi che nel mondo è ormai respinta dal Fondo monetario internazionale, dall’Ocse, dal governo degli Stati Uniti, dalla gran parte degli economisti. Non la condivide il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, che ha svolto un ruolo importante nella ricerca di una intesa ieri.
Già, la Bce: ovvero uno dei tre componenti, insieme con il Fmi e la Commissione europea, di quella «troika» di cui il governo Tsipras proclamava indispensabile liberarsi e che ora ha finito per accettare purché non si chiami più «troika». La realtà è più complicata della propaganda elettorale; e per l’appunto Draghi è tutt’altro che un aguzzino.
La Grecia resta un Paese sotto tutela, con problemi di equilibrio di bilancio e di equilibrio dei conti con l’estero che vanno affrontati; cambierà l’intensità di una cura che era troppo drastica e concepita con schematismo (secondo i manuali dei professori tedeschi, i massicci licenziamenti avrebbero dovuto far salire la produttività; invece è crollata). Cade la pretesa di Tsipras di tenersi le mani libere su quali provvedimenti adottare. Dovrà chiarirli entro lunedì. E sarà poi lì la sfida, per un partito di estrema sinistra che denigrava come pavide le scelte dei partiti più moderati, in un Paese che ha bisogno anche di consulenza altrui per ricostruirsi. All’Italia gioverà che ci si confronti su questo terreno concreto, invece di inscenare conflitti tra nazioni o tra opposti schematismi.
Stefano Lepri, La Stampa 21/2/2015