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 2015  febbraio 21 Sabato calendario

PECORARO CHE CARRIERA, DA “BISI” A MAFIA CAPITALE

Sua Eccellenza il Prefetto Giuseppe Pecoraro da Palma di Campania, classe 1950, rappresentante del governo a Roma dal 2008, è sempre in piedi nonostante sciagure che si susseguono: dal 15 ottobre 2011 fino a i disordini con gli ultrà olandesi passando per la P4.
Prima di Roma. Capo di dipartimento di pubblica sicurezza al Viminale con Claudio Scajola ministro. È il 2002 e viene revocata la scorta del giuslavorista Marco Biagi (“un rompicoglioni” per Scajola). Il rompicoglioni il 19 marzo viene assassinato dalle nuove Br. Pecoraro si spiega: “Non sapevo chi fosse Biagi, ero arrivato a gennaio e non avevo seguito tutta la vicenda della revoca della scorta”. La carriera del Prefetto prende il volo.
I cavoli a merenda. Alcune conversazioni tra il faccendiere Luigi Bisignani e Pecoraro finiscono nelle carte dell’inchiesta sulla P4. “Io in questa vicenda ci sono finito come i cavoli a merenda”, tuona il Prefetto: “Luigi l’ho conosciuto nel 2004. Siamo amici di famiglia, conosco anche la moglie e il nostro è un rapporto trasparente”. I pm di Napoli Francesco Curcio e Henry John Woodcock scrivono: “Appare inquietante il fatto che Bisignani e Pecoraro parlino dell’ordine del giorno del Copasir (il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, ndr)”. È l’ottobre 2010, la simpatica chiacchierata verte sulle dichiarazioni di Massimo Ciancimino su Gianni De Gennaro e sul “papello”. Ma “io sono stato capo di gabinetto con De Gennaro e quello era uno sfogo, non potevo accettare si gettasse quel fango su Gianni”. Poi, siccome “Bisignani è un imprenditore che conosce tutti”, Pecoraro si rivolge all’amico anche per il parco giochi Rainbow, nel 2010 in costruzione a Valmontone: “C’erano problemi legati alla viabilità autostradale”. Eppure, per i pm, quella telefonata “la dice lunga sull’anomalia Bisignani”. Ma il Prefetto resta. Gli indignados. È il 15 ottobre 2011. Duecentomila persone in corteo nel cuore di Roma, guerriglia in piazza San Giovanni con auto in fiamme, caos totale e un dispositivo di sicurezza che fa acqua da tutte le parti. Ma il Prefetto resta.
Sotto la neve. L’Urbe sommersa dalla neve nel febbraio 2012 rimane bloccata per giorni e giorni, grado di impreparazione assoluto, figuraccia. Il Prefetto resta. Rifiuti a Villa Adriana. Dopo aver più volte ripetuto: “Siamo in una situazione tipo Napoli”, nel giugno 2012 lascia l’incarico di commissario dei rifiuti a Roma dopo il no del governo Monti alla sua idea: una mega-discarica a Corcolle, due passi da Villa Adriana, patrimonio dell’Unesco. Ma resta prefetto.
Addio Shalabayeva. Definita illegale da Amnesty International e dall’Onu, l’espulsione di Alma e della piccola Alua Shalabayeva – moglie e figlia del dissidente kazako Ablyazov (prese con un blitz da film d’azione) – reca la firma in calce di Giuseppe Pecoraro. Dopo quella vicenda, luglio 2013, governo Letta, Angelino Alfano già ministro dell’Interno resta inamovibile al Viminale. E figurarsi il Prefetto.
Onore al nazista. Ottobre 2013, Pecoraro autorizza le esequie dell’ex ufficiale delle Ss Erich Priebke, responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, ad Albano Laziale. Il sindaco e la popolazione si ribellano, la polizia carica. Pecoraro ritorna sui suoi passi, la salma del nazista viene dirottata. Ma il Prefetto resta ancora.
L’agente “cretino”. Nell’aprile 2014 a Roma è di nuovo guerriglia. Corteo anti-austerity e centro devastato. Le immagini che fanno il giro del mondo sono quelle di un agente in borghese che pesta con lo stivalone una giovane distesa in terra. Per il capo della Polizia Alessandro Pansa quel poliziotto “è un cretino”. Per Pecoraro “lo ha fatto per dare una mano ai suoi colleghi”. Il Prefetto resta.
La morte di Ciro. Maggio 2014, una festa del calcio italiano, la finale di Coppa Italia a Roma, diventa una vergogna mondiale, con l’agguato capeggiato da un ex ultrà romanista che spara al tifoso napoletano Ciro Esposito. Il ragazzo muore. La partita si gioca. Il Prefetto resta. Gay e Tor Sapienza. A fine 2014 Pecoraro è di nuovo protagonista. Solerte nell’annullare sedici matrimoni gay riconosciuti dalla giunta Marino, non pervenuto nei fatti di Tor Sapienza durante la rivolta pilotata contro il centro migranti. E poi Mafia Capitale, con quel Salvatore Buzzi, capo delle cooperative in odor di malaffare, “venuto da me perché il dottor Letta (Gianni, ndr) mi aveva chiamato”. Il Prefetto resta sempre e comunque, almeno fino ad oggi.
Giampiero Calapà, il Fatto Quotidiano 21/2/2015