Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 21 Sabato calendario

PERISCOPIO

La ministra Pinotti: «Prodi come mediatore in Libia sarebbe utile». L’ultima strategia è addormentarli. Spinoza. Il Fatto.

Una cosa Renzi l’ha imparata, ha capito che l’immagine è tutto. Berlusconi ha candidato Carfagna, Prestigiacomo, Gelmini. E Renzi? Ha risposto con Madia, Moretti, Boschi. L’unico che non ha funzionato al governo è Monti: si è presentato con la Cancellieri. Giorgio Panariello, comico (Renato Franco), Corsera.

La bricconeria politica può tramutarsi in manovra che desta grande ammirazione, ma è un’arma letale che ha sempre pochi proiettili d’argento in canna. Finiti quelli, la giungla è uguale per tutti. E anche il più ingenuo tra gli agnelli, dopo aver visto morire i suoi simili, non va più a brucare l’erba vicino alla tana della volpe. Mario Sechi, giornalista. Il Foglio.

Di politica Michele Ferrero non parlava mai. Una volta lo sentirono dire: «Sono socialista, ma il mio socialismo lo faccio io». Costruì un welfare aziendale che si occupava di tutto, dalla sanità al dopolavoro: l’inno delle gite aziendali dei pensionati, «nui suma ansian, ansian d’la Ferero», da cantare sulla musica di «Marina», a un certo punto dice: «Dima grasie a monsu Michele», ringraziamo il signor Michele. Quello che per i sindacati era paternalismo, per lui era il modo di evitare i conflitti. Se le fabbriche delle grandi città assumevano agricoltori cattolici e ne facevano operai comunisti, lui mandava a prendere i contadini dell’Alta Langa con i pullman che li portavano in fabbrica e li riportavano al podere la sera; il lavoro nei campi d’estate e nella fabbrica di cioccolato d’inverno ha evitato lo spopolamento delle colline, e ha reso ricca la terra della Malora fenogliana. Aldo Cazzullo. Corsera.

Rottamare Roma. Chiuderla, vincolarla, renderla inaccessibile. Farla diventare come quelle città finte di Las Vegas o di Macao: orrendi bar, terribili pizze vendute con cartelloni sandwich che ti impediscono di camminare, camerieri che ti spingono verso quegli antri puzzolenti tanto alle cinque di pomeriggio che alle due di notte. Pullman ovunque, masse che si riversano senza sapere nulla davanti a monumenti presidiati da ogni tipo di camion-würstel, venditori di vomito plasticato colorato che ti lanciano sui piedi ogni genere di schifezza, bolle di sapone rancido che ti esplodono sulla giacca. Un incubo? No, la pura realtà. Sembra una follia. È il progetto del sindaco e del suo misterioso e ombroso assessore al traffico (aridatece Walter Tocci. Progettò tutti i treni, gli autobus elettrici e tutte le metropolitane che ancora devono essere conclusi, nessuno ha mai fatto più di lui per noi). Barbara Palombelli, scrittrice. il Foglio.

Mia mamma fu abbandonata al brefotrofio da una ragazza pavese di 16 anni, che l’aveva concepita con un sottufficiale dei carabinieri. Di lui in famiglia sapevamo soltanto che era messinese. Però mia madre ne conosceva nome e cognome. Ebbene, all’Archivio di stato, facendo una mia ricerca storica per altri motivi, ho scoperto che molti ragazzi resi orfani dal sisma furono arruolati nell’Arma. E ho trovato la scheda del nonno. Mi è capitato anche con un altro libro, Bolidi, che credo d’aver scritto perché mia mamma, accolta in casa da una coppia di contadini benestanti, rimase orfana per la seconda volta nel 1924: una delle prime auto da corsa, di ritorno dal circuito di Monza, falciò per strada i suoi genitori adottivi. Vi furono molti incidenti simili, a quell’epoca. I processi si concludevano con l’assoluzione dei guidatori. In pratica erano considerati colpevoli i pedoni che non si scansavano in tempo. Giorgio Boatti, storico (Stefano Lorenzetto). il Giornale.

Livio Garzanti non era un uomo semplice. Pochi amici, stile di vita calvinista e nessuna passione, se si escludono le automobili. Un carattere competitivo, infernale, per certi versi simile a quello di Einaudi. Solo che Einaudi era torinese, e quindi sapeva anche dissimulare, mentre Garzanti era di sangue romagnolo. In comune, avevano la capacità di ottenere il meglio dai collaboratori mettendoli in continua competizione tra loro. Gianandrea Piccioli, dirigente della Garzanti (Nanni Delbecchi). Il Fatto.

Quando Ernesto Che Guevara morì, pensai subito a un film sulla sua figura. Partii per l’isola di Cuba e rimasi a lungo, ma la pretesa di approvare il copione e il girato da parte dell’Istituto cubano d’arte cinematografica mi fece desistere. Era il mio film. Non il loro. Glielo dissi: «Voi siete rivoluzionari, per definizione non potreste imporre niente». Francesco Rosi, regista (Malcom Pagani e Fabrizio Corallo). Il Fatto.

Le letture sulle quali mi sono formato sono state molta narrativa otto-novecentesca. La letteratura può essere una infatuazione, un lusso inutile. Ma anche un insuperabile strumento di conoscenza sociale e storica. Un libro che mi sconvolse fu Lettere di condannati a morte della Resistenza, lo lessi nel 1952. La mia fedeltà politica ha la sua origine in quelle storie tragiche di partigiani fucilati. Finita la guerra non sapevo niente di ciò che era accaduto anche se c’era stato il processo di Norimberga nel 1946. Mancavano tuttavia le proporzioni dell’accaduto. Le dimensioni della persecuzione contro gli ebrei erano insospettabili. Non è un caso che Primo Levi non trovasse un editore. Einaudi rifiutò Se questo è un uomo, uno dei libri capitali della cultura del ’900. Solo dopo che fu pubblicato da De Silva, Einaudi ci ripensò. Un altro libro che mi ha formato è stato Minima moralia del 1954. A tradurlo fu Renato Solmi, uno degli uomini più intelligenti e tormentati. Piergiorgio Bellocchio, fondatore di Quaderni piacentini. la Repubblica. (Antonio Gnoli).

Per provocazione contro le recensioni-marchetta, lo scrittore Luciano Bianciardi invocava recensioni fatte da prostitute professioniste. Antonio Armano. il Fatto.

Io sono tedesco, vivo da anni in Italia, sono sposato con Maddalena Crippa, eppure il paese dove lavoro di più è la Russia. In Germania non mi amano, in Italia non mi pagano. Scala a parte, quando ho fatto i miei spettacoli di prosa, ho sempre dovuto pagare di tasca mia. A maggio metterò in scena a Roma Il parco di Botho Strauss. Speriamo bene. A Mosca invece sono trattato come un divo. Ho fatto le Tre sorelle nel teatro di Cechov e alla fine tutti piangevano. E hanno decretato che sono più russo di un russo. Peter Stein, regista d’opera tedesco. Corsera.

Il pessimista vede il futuro. L’ottimista lo sogna. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 21/2/2015