Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 21 Sabato calendario

CHE GUSTO CON QUELLE IPO

L’Italia è il ì Paese del food, versione moderna del pane quotidiano, del gusto e quest’anno dell’Expo a Milano. Ci sono fior di aziende del settore alimentare che hanno fatto successo in tutto il mondo e in tutti i segmenti del business (pasta, vino, gastronomia, caffè, dolci&affini).
Ci sono marchi invidiati dagli Usa al Far East al Medio Oriente. C’è una tradizione consolidata che solo la Francia, in certi ambiti, riesce a scalfire. Ma quando si parla di mercati finanziari, di borsa, di quotazioni l’Italia è forse il fanalino di coda tra i Paesi più industrializzati. Lo dimostra il fatto che Parmalat, la più importante azienda del comparto per capitalizzazione (4,6 miliardi) è da alcuni anni in salde mani transalpine, quelle della famiglia Besnier (Lactalis) che la pagarono fior di miliardi per avere la meglio su Granarolo. A difendere il made in Italy, o in questo caso specifico il food in Italy, ci sono di fatto solo Campari (3,46 miliardi), Marr (1,05 miliardi che fa capo al gruppo Cremonini, già quotato ma poi delistato dall’omonima famiglia perché Piazza Affari non riconosceva il giusto valore al big della lavorazione della carne). E basta. Poi scorrendo l’indice di borsa ci sono solo le piccole La Doria 355 milioni) e Valsoia (162 milioni) e le minuscole Enervit (69,5 milioni), Centrale del Latte di Torino (32,6 milioni e un insolito rally di borsa che solo nella giornata di venerdì 20 l’ha spinta del 21% con scambi boom pari al 13% del capitale), Agronomia (20 milioni) e Ki Group (14 milioni).
Ben poca casa al confronto di colossi Danone (37,5 miliardi di euro), Heineken (37,8 miliardi), Unilever (107 miliardi), Pepsico (148 miliardi di dollari), Coca-Cola (184 miliardi di dollari) e la regina d’Europa, Nestlé (215 miliardi di euro).
Il Belpaese è un lillipuziano rispetto al resto del mondo. Pensare che in Italia sono custoditi (gelosamente) aziende e marchi quali Ferrero, Barilla, Lavazza, Illy, Segafredo (Massimo Zanetti Beverage Group) e, allargando l’orizzonte alla grande distribuzione, Esselunga, il numero uno tra i gruppi privati del settore. Tutti brand che, a partire dal gruppo dolciario di Alba, colpito in questi giorni dalla morte di Michele Ferrero, farebbero invece fare un salto di qualità a Piazza Affari. Peccato che i legittimi proprietari di queste società saldamente a controllo famigliare guardino alla borsa come a un nemico. Perché quel che spaventa è l’apertura del capitale. Ma prendendo a esempio il colosso della Nutella, che ha smentito la cessione a competitor stranieri quali Nestlè, ma non si è pronunciato sull’opzione della quotazione, come anticipato da MF-Milano Finanza martedì 17, si può fare una riflessione sull’importanza di questi marchi. «Onestamente se alcune delle grandi famiglie italiane del food avessero voglia di portare le loro aziende sul listino sarebbe un segnale positivo per il Paese», sostiene il banchiere d’affari Gianni Tamburi, al timone di quella Tip che oltre a essere azionista di Eataly – il progetto di ristorazione e supermarket di lusso di Natale Oscar Farinetti che sbarcherà in borsa tra il 2016 e il 2017 – nella sua lunga storia ha gestito oltre 100 operazioni di m&a nell’alimentare. «Che Barilla non sia quotata è un peccato per tutti», continua Tamburi. «Il cibo è uno dei simboli dell’Italia. L’arrivo a Piazza Affari di questi brand allargherebbe gli orizzonti del mercato e aiuterebbe gli altri operatori del settore già quotati».
L’esempio lampante è Campari. Grazie all’ipo la società della famiglia Garavoglia «ha fatto un capolavoro industriale, inanellando una lunga serie di acquisizioni e consolidandosi su scala mondiale». Ha, in pratica, sfruttato l’effetto-traino e i capitali del mercato per crescere.
Per dare un ipotetico peso borsistico a Ferrero&Co, MF-Milano Finanza ha elaborato i dati al 2012 e 2013 dei sei principali gruppi dell’alimentare italiano. Utilizzando come base di calcolo il rapporto price/earning dei principali competitor internazionali, suddivisi per tipologia di prodotto (quindi dolci, pasta, caffè e gdo) è emerso che Ferrero, parametrata a Nestlé (p/e di 15,79), Lindt (34,21) e Mondelez (19,83), avrebbe una capitalizzazione attuale di oltre 13 miliardi (Société Generale ha alzato l’asticella a 20 miliardi, puntando in particolare sulla valenza e portata del brand aziendale). Esselunga, altro nome che da anni circola tra le auspicate matricole di borsa per la sua forza commerciale e solidità patrimoniale, potrebbe avere avrebbe una market cap di 4,7 miliardi prendendo a riferimento Tesco (p/e di 22,76), Carrefour (22,88) e Wal-Mart (15,79). Anche se va detto che da sempre Bernardo Caprotti confronta il suo gruppo con la spagnola Mercadona, che difatti non è quotata.
Il terzo big potenziale per Piazza Affari sarebbe Barilla. L’azienda di Parma, leader indiscussa nella produzione di pasta e dolci arriverebbe oggi a una capitalizzazione di quasi 3 miliardi prendendo a riferimento il price/earnings di Danone (31,84) e Kellogg’s (24,94). I tre marchi del caffè, Lavazza, Zanetti-Segrafredo e Illy, che si spartiscono la gran parte del mercato globale, possono invece essere paragonati a Starbucks (p/e di 31,26). Valore al quale si rifanno Bnp Paribas e Banca Imi nel progetto di quotazione di Massimo Zanetti Beverage Group pronto (finalmente) allo sbarco in borsa entro la prima metà di quest’anno. Anticipando di un semestre l’arrivo, seppure sul piccolo Aim, di uno dei marchi più noti e riconosciuti dell’enologia italiana: l’Amarone di Masi Agricola che Ambromobiliare ha convinto al grande passo assieme ad Equita e Unicredit.
Andrea Montanari, MilanoFinanza 21/2/2015