Luisa Leone e Anna Messia, MilanoFinanza 21/2/2015, 21 febbraio 2015
METAMORFOSI IN CASSA
Fa credito ma non è una banca. È per l’80% in mano allo Stato ma è fuori dal perimetro della pubblica amministrazione. Si comporta come un soggetto privato, fa utili significativi e si finanzia da sé, ma quando mette uno dei suoi asset sul mercato la vendita è definita comunque «privatizzazione».
Anticipa il denaro per ripagare i debiti scaduti della pubblica amministrazione per garantire i finanziamenti alle pmi, è chiamata in campo tutte le volte che le risorse pubbliche scarseggiano e il suo intervento viene invocato nelle crisi più nere, da Alitalia all’Ilva. È infine il forziere dei gioielli di Stato con il 25,7% di Eni, il 29,8% di Terna e il 32% di Snam.
È l’articolato, nuovo identikit della Cassa Depositi Prestiti, che anno dopo anno continua ad ampliare il proprio raggio d’azione, passando senza soluzione di continuità dal social housing al sostegno alle pmi contro il credit crunch, dai prestiti alle imprese che vogliono esportare all’investimento diretto nel capitale di aziende definite di interesse nazionale. L’intervento è sempre più massiccio, con 29 miliardi mobilitati per l’economia italiana nel solo 2014 (19 miliardi la capogruppo), è reso urgente dalla crisi economica e al contempo ha modificato non poco la fisionomia della stessa Cdp. Tanto che anche la Corte dei Conti oggi fa fatica a catalogare la spa presieduta da Franco Bassanini e guidata dall’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini.
Nella loro ultima relazione al Parlamento (sui conti 2013) i giudici contabili, dopo aver tessuto le lodi della Cassa Depositi e Prestiti, sottolineano che il suo doppio ruolo nel mondo dell’impresa privata e di quella pubblica «non può che suscitare qualche interrogativo sulla reale configurazione giuridica da attribuire oggi a Cdp». Non è una questione di forma, ma di sostanza: «Non si tratta solo di un elemento definitorio collocare o meno oggi Cassa Depositi e Prestiti nell’ambito del sistema bancario e del credito», aggiungono infatti dalla Corte dei Conti, bensì si tratta di comprendere se «considerarla organismo pubblico con le regole che il diritto dell’economia attribuisce a tali organismi». La situazione viene attentamente monitorata anche da Bruxelles, chiamata a verificare che Cassa non diventi un strumento nelle mani della politica, obbligata di fatto a realizzare investimenti non abbastanza redditizi o addirittura fuori da logiche di mercato. Lo scotto da pagare, con la conseguente riclassificazione di Cdp nel bilancio pubblico, sarebbe insostenibile per i conti dello Stato, per via dell’inevitabile crescita dell’indebitamento. A monitorare l’operato di Cdp dovrebbe essere anche la commissione bicamerale di vigilanza, che è stata nominata di recente dopo mesi di ritardo ma che non si è ancora insediata.
I fronti si ampliano. Nei suoi primi 150 anni di storia la Cassa Depositi e Prestiti, nata a Torino un decennio prima dell’Unità d’Italia, nel 1850, ha avuto vita relativamente semplice. Il suo scopo era raccogliere risparmio dalle famiglie italiane, creando prodotti distribuiti negli uffici postali, per convogliarlo poi per la sottoscrizione del debito pubblico, oltre che per il finanziamento della pubblica amministrazione, in particolare degli enti locali chiamati a costruire scuole, strade o ospedali. A tale missione Cdp non è mai venuta meno, tanto che oggi sono 24 milioni gli italiani che hanno sottoscritto buoni o libretti postali creati dalla Cassa, garantiti dallo Stato e venduti da Poste Italiane, per un totale di risparmio postale di circa 250 miliardi. Mentre ci sono circa 140 miliardi di euro che Cdp ha depositato nel conto di tesoreria dello Stato. Di fatto si tratta di debito pubblico, remunerato tra l’altro ad un tasso conveniente per il bilancio statale, oggi inferiore all’1% e più basso quindi rispetto ai rendimenti di Bot e Btp. Sul fronte del finanziamento agli enti locali l’impegno di Cdp non è mai venuto meno, con l’offerta in particolare di mutui a lungo termine. Semmai è stata la domanda a scarseggiare, con gli enti stretti dai vincoli del patto di stabilità. Ma lo stock di finanziamenti per gli investimenti agli enti pubblici resta di oltre 85 miliardi di euro, e Bassanini in più occasioni ha ribadito che sarebbero subito pronto a fare di più se la domanda riprendesse, in ossequio alla missione storica della Cassa. La rivoluzione è partita nel 2003, con la trasformazione di Cdp in Spa, ma il grande salto c’è stato nel 2009, quando l’operatività di Cassa Depositi e Prestiti è stata estesa al finanziamento diretto di progetti di interesse pubblico, all’export finance, al social housing e al supporto delle Pmi, proseguendo fino a oggi con sempre più mansioni e l’ingresso nel gruppo di Sace, Simest e Fintecna L’obiettivo era dotare la Cdp italiana di strumenti simili ad altre casse europee, come Kfw o la Cdc francese che, con l’arrivo della crisi, già avevano deciso di convogliare parte del patrimonio verso il sostegno alle imprese e al sistema economico.
Finanziamenti. Cassa depositi e Prestiti, in pochi anni, è arrivata così a essere un operatore chiave a sostegno del sistema produttivo italiano, non solo fornendo liquidità alle banche per allentare la stretta creditizia ma creando anche nuovi strumenti di finanziamento alle imprese. Nel 2014, secondo le anticipazioni di bilancio, sono stati mobilitati oltre 7,5 miliardi a favore delle aziende. L’anno scorso è partito per esempio il plafond per i beni strumentali (legge Sabatini), con una dotazione che quest’anno raddoppierà a 5 miliardi. Cui si è affiancato il fondo minibond, creato nel 2014 insieme al Fondo Venture Capital attraverso il Fondo Italiano d’Investimento. Proprio a gennaio è stato approvato l’intervento nei primi 10 fondi di private debt, per complessivi 250 milioni. In fase di rafforzamento c’è poi anche il progetto di Export Banca che ha messo insieme Cdp, Sace e Simest a sostegno delle imprese italiane decise ad operare nei mercati esteri. A breve entrerà in vigore un decreto che consentirà a Cassa di aumentare il sostegno all’export, finanziando direttamente anche imprese che presentato garanzie offerte da operatori diversi da Sace, come Coface o Euler Hermes. Per questo il plafond messo finora a disposizione da Cdp nel progetto di Export Banca, pari a 6 miliardi, potrebbe essere moltiplicato e superare10 miliardi. Una novità che non ha mancato di creare polemiche visto che, il decreto Investment Compact, in fase di conversione alla Camera, ha previsto la trasformazione di Sace in banca, per dare alla controllata di Cdp il ruolo di finanziatore e allo stesso tempo di assicuratore nei progetti internazionali. Ma Cassa non sembra favorevole alla novità. Da una parte perché sembrerebbe lei stessa pronta a svolgere il ruolo di finanziatore, dall’altra per il timore che la vigilanza di Banca d’Italia su Cdp, oggi di carattere speciale, possa farsi più intensa, costringendola a ricapitalizzare pesantemente (10-15 miliardi) o a ridurre altre attività.
Debito pubblico. Cdp poi non è solo il forziere dello Stato, con dentro alcuni dei più brillanti gioielli della corona, da Eni a Terna e Snam, ma ha anche un ruolo importante sul versante del debito pubblico. Innanzi tutto perché i circa 140 miliardi di liquidità del gruppo sono parcheggiati nel conto di Tesoreria dello Stato, ma anche perché negli ultimi anni Cdp è intervenuta in maniera diretta per abbattere l’indebitamento. Prima alla fine del 2012 con l’acquisto per circa 10 miliardi di Sace, Simest e Fintecna, poi a dicembre 2013 acquistando dal Demanio e da alcuni enti territoriali 500 milioni di immobili, e ancora alla fine dello scorso anno staccando un altro assegno, questa volta da 230 milioni, per una serie di palazzi sempre dello Stato, delle amministrazioni locali, ma anche di altri enti pubblici, dalla Croce Rossa all’Inps e all’Inail. Non solo. La Cassa è scesa in campo anche per aiutare l’esecutivo guidato da Matteo Renzi a sbrogliare la matassa dei debiti scaduti della Pa. E lo ha fatto in due modi, prima facendo da tramite per le anticipazioni di liquidità messe a disposizione dall’amministrazione centrale per quelle locali, poi creando un suo plafond da 10 miliardi di euro. Con quest’ultimo strumento la Cassa potrà acquistare dalle banche e dagli intermediari finanziari i crediti che le imprese vantano nei confronti della Pa, qualora queste si trovassero in difficoltà a onorare i loro debiti con la nuova controparte bancaria. Se ciò accadesse la Cdp acquisterebbe il credito ridefinendo, in favore delle amministrazioni, i termini e le condizioni di pagamento dei relativi debiti, sapendo che in ultima istanza interverrebbe la garanzia dello Stato. Evidentemente lo strumento è pensato per rendere più oleata la cessione dei crediti agli intermediari finanziari e la prima finestra per avvalersene si aprirà il prossimo primo marzo.
Equity. Negli ultimi anni ad attrarre l’attenzione su Cdp sono stati probabilmente più gli investimenti in equity che non quelli per il finanziamento all’economia reale. Ed era forse inevitabile, se solo si pensa che in poco tempo la Cassa ha messo in fila azioni importanti come la creazione del Fondo strategico (vedere tabella), l’acquisto di Snam da Eni, quello di Sace, Fintecna e Simest dal Tesoro, e quello del 4,5 % di Generali dalla Banca d’Italia. Non solo, proprio negli ultimi mesi c’è stata una certa attività anche sul fronte della valorizzazione delle partecipazioni, con l’apertura del capitale di Cdp Reti, in cui sono confluite le partecipazioni in Snam e Terna, ai cinesi di State Grid (30%). Ma anche la vendita di una quota (40%) di Ansaldo Energia, acquistata nel 2013 da Finmeccanica attraverso Fsi, a un altro gruppo cinese la Shanghai Electric Corporation, con l’obiettivo finale di portare la società genovese a Piazza Affari in breve tempo. Così come è praticamente ultimato il disimpegno da Generali, di cui nel 2013 Fsi aveva ricevuto il 4,5% da Bankitalia, che in cambio ha ottenuto il 20% del capitale del fondo. Rimane invece da decidere il destino di Sace, che fino a qualche mese fa sembrava destinata a finire sul mercato, mentre ora, anche per le riflessioni in corso sulla sua trasformazione in banca, appare in stand by.
ATTIVITÀ IMMOBILIARI
Trasformazioni ci sono state anche nel settore immobiliare. A partire dai primi passi , nel 2010, con la creazione del fondo di social housing Investimenti per l’abitare (Fia), pian piano il perimetro è diventato più ampio, prima con l’ingresso nel gruppo di Fintecna e la trasformazione di Fintecna immobiliare in Cdp Immobiliare, poi con l’ampliamento delle attività a quella di valorizzazione del mattone di Stato, con il Fondo Investimenti per la Valorizzazione (Fiv). Ancora più recente è la diversificazione nel comparto del turismo, con la creazione del Fondo Investimenti per il Turismo, che si inserisce in un più ampio programma della Cassa per creare un polo turistico alberghiero, in cui rientra anche l’acquisto da parte del Fondo strategico italiano del 23% del Gruppo Rocco Forte Hotels. Per quanto riguarda l’edilizia sociale i 2 miliardi del fondo sono già per buona parte impegnati ed entro il 2015 si dovrebbero individuare gli ultimi progetti in cui investire. Ed è solo di qualche giorno fa la notizia che il Fia potrebbe prendere parte a un nuovo progetto allo studio del governo, per valorizzare l’invenduto proprio con progetti di social housing.
Nuove sfide. Cdp sarà presto chiamata a veicolare la partecipazione dell’Italia al Fondo Europeo degli investimenti del piano Junker, che punta a mobilitare 300 miliardi di euro. E a partire da quest’anno la società guidata da Gorno Tempini amplierà ancora una volta il suo raggio di azione. A fine gennaio l’assemblea dei soci ha dato il via libera ad alcune modifiche statuarie per introdurre la cooperazione internazionale tra le attività di Cdp e allargare il perimetro all’interno del quale può concedere finanziamenti, come previsto dal decreto Sblocca Italia. D’ora in poi, quindi, Cassa potrà anche finanziare iniziative di cooperazione internazionale allo sviluppo, ma anche sfruttare la raccolta postale per progetti di soggetti privati in settori di «interesse generale», che saranno individuati con apposito decreto del ministero dell’Economia. Ancora, facendo però ricorso a provvista non garantita dallo Stato, potrà aprire linee di credito per infrastrutture destinate non più solo a servizi pubblici ma più in generale per iniziative «di pubblica utilità». Oltre che finanziare investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione o per la promozione del turismo e della green economy. E per reperire nuova liquidità a breve lancerà il suo primo bond retail, che dovrebbe essere collocato sia da banche sia negli sportelli delle Poste. Un’ultima sfida che cambierà ancora il volto di cassa rendendolo riconoscibile anche ai piccoli investitori.
Luisa Leone e Anna Messia, MilanoFinanza 21/2/2015