Francesco Ninfole, MilanoFinanza 21/2/2015, 21 febbraio 2015
A CACCIA DI SINERGIE
Un’aggregazione tra banche, soprattutto se si tratta di popolari, può essere realizzata sulla base di molte variabili. Ma senza dubbio le operazioni non potranno prescindere da forti motivazioni industriali, soprattutto in uno scenario di settore che vede come obiettivo prioritario il recupero di redditività.
Un’analisi approfondita sui benefici di fusioni e acquisizioni tra le dieci maggiori popolari (quelle coinvolte nella riforma del governo) è stata elaborata da Value Partners, che ha indicato le sinergie di ogni possibile operazione. «Ci sono tre tipologie di logiche che possono guidare un’aggregazione tra popolari: finanziarie (cioè legate a multipli e concambi), di governance, o industriali. Il rapporto si concentra su queste ultime, cioè quelle connesse con le sinergie di costo e commerciali. In particolare quelle di costo costituiscono in media il 70% del totale», spiega Gabriele Benedetto, partner di Value Partners e autore dell’analisi. In valore assoluto le maggiori sinergie sarebbero per la coppia Ubi-Banco Popolare (593 milioni di euro), ok anche l’integrazione della pop guidata da Pier Francesco Saviotti con l’Emilia di Alessandro Vandelli (439 milioni) e Bpm (381 milioni). Sarebbero significativi i risparmi anche delle fusioni Ubi-Sondrio (378 milioni), Banco-Veneto Banca (369 milioni) e Banco-Vicenza (361 milioni).
Non bisogna però lasciarsi guidare nella valutazione soltanto dai valori assoluti, che avvantaggiano i gruppi più grandi.
Value Partners ha calcolato anche i risparmi in termini percentuali per giudicare le eventuali operazioni tra istituti più piccoli. Ebbene, se si considerano le sinergie di costo in proporzione rispetto alle spese totali (amministrative e del personale), emerge che l’aggregazione più conveniente sarebbe quella tutta valtellinese tra Creval e Sondrio, come conseguenza soprattutto delle possibili sovrapposizioni di sportelli e quindi dei margini di miglioramento dell’efficienza. In questo caso le sinergie di costo arriverebbero quasi al 15% degli oneri complessivi. Restando sempre in Lombardia, sarebbe ben piazzata anche un’operazione tra la Bpm guidata da Giuseppe Castagna e Sondrio, con un valore dell’11%.
Una parte della ricerca di Value Partners si è concentrata in modo specifico sulla possibile riduzione di filiali, sulla base di considerazioni geografiche (ad esempio troppe banche in una stessa provincia o in uno stesso cap) e di antitrust, nell’ipotesi di un modello commerciale e distributivo invariato per la coppia di banche coinvolte. L’aggregazione Ubi-Banco consentirebbe la chiusura di 431 sportelli.
In una fusione tra l’istituto guidato da Victor Massiah e Bpm ci sarebbero invece margini per chiudere 316 filiali, un numero che supera quello di Banco-Bpm (265 sportelli), Banco-Vicenza (243) e Banco-Bper (221). Tra i gruppi di dimensioni inferiori, come in precedenza anticipato, i tagli sarebbero un’opzione praticabile soprattutto in Lombardia per Creval-Sondrio (138 sportelli), Bpm-Creval (145) e Bpm-Sondrio (134), ma anche per Vicenza-Veneto (132 sportelli).
Numeri di questo tipo sono sul tavolo dei vertici delle popolari. Non c’è nessun dossier aperto in modo formale al momento, ma le possibili aggregazioni sono al centro delle discussioni nelle banche, nonostante le smentite ufficiali, anche in una logica difensiva nei confronti di possibili scalate dall’estero. «Chi si muove per primo probabilmente detterà la strategia agli altri», osserva Benedetto. «È probabile che le aggregazioni vadano oltre le fusioni a due. Delle dieci popolari alla fine potrebbero restarne due o tre. Inoltre bisogna considerare le mosse delle banche non popolari come Mps». La ricerca sottolinea che infatti sono possibili anche operazioni con banche non popolari, non considerate nell’analisi, mentre al contrario sono improbabili scenari di consolidamento tra banche quotate e non quotate.
Tornando ai dati delle sinergie, Value Partners ha sviluppato una metodologia in tre passaggi per la valutazione delle operazioni di M&A, definita sulla base delle esperienze passate. In prima istanza sono stati considerati i potenziali benefici derivanti dall’allineamento delle performance dei due istituti coinvolti, sia da un punto di vista commerciale che da un punto di vista operativo. Tali benefici sono raggiungibili grazie alla valorizzazione delle best practice dei due istituti, tenendo in considerazione la dimensione relativa. In seconda battuta l’analisi si è soffermata sui potenziali benefici derivanti dalle sinergie puramente industriali legate all’operazione di consolidamento. Dal punto di vista commerciale è stato valutato il potenziale di cross-selling sulla clientela complessiva, con focus sulla complementarietà dell’offerta tra i due istituti. Successivamente sono state valutate le sinergie industriali di costo, derivanti da economie di scala sia sul personale dipendente (per esempio da duplicazione dei ruoli di sede) sia sulle altre spese amministrative (per esempio legate alla rinegoziazione contrattuale a fronte dell’aumento dei volumi). Infine è stato stimato il potenziale di risparmio di costo derivante dalla chiusura di sportelli in sovrapposizione territoriale, senza ipotizzare alcuna variazione del modello commerciale attuale. Al termine del processo la società di consulenza ha considerato anche gli impatti negativi dell’operazione stimando la riduzione di masse e margini dovuta alla perdita e all’unificazione di clientela. Tutti fattori che saranno considerati ora dai banchieri nella ricerca di uno o più partner: le operazioni meglio studiate potranno portare a quell’aumento di redditività sempre più necessario in questa fase per il settore bancario.
Francesco Ninfole, MilanoFinanza 21/2/2015