Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 22 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - I GUAI DI GINO PAOLI


REPUBBLICA.IT
GIUSEPPE FILETTO
GENOVA - È il gennaio del 2014 e Gino Paoli ha una sola preoccupazione, non sono i soldi: è la sua immagine. "Non voglio che si sappia che ho portato soldi all’estero" registrano le microspie piazzate nello studio del suo commercialista. E la moglie Paola Penzo cerca di aiutarlo: "Bisogna nascondere bene le carte in un posto sicuro", chiede al fiscalista Andrea Vallebuona.
Un anno fa lo studio del professionista è sotto controllo per l’inchiesta su Banca Carige di cui Vallebuona è consulente. Sono i giorni in cui l’Italia sta per firmare il concordato bilaterale con la Svizzera, e potrà acquisire gli elenchi dei connazionali che hanno i depositi oltre confine. Il cantante teme che l’accelerazione dei tempi lo faccia finire sui giornali: "Io sono un personaggio pubblico, non posso rischiare questo. Ho un’immagine da difendere". Lui, ancorato al suo personaggio, onesto e trasparente, non ha esitazioni: "Non voglio che si sappia che ho portato soldi all’estero, li voglio riportare in Italia".
Forse è troppo tardi per uno "scudo" fiscale per far rientrare i 2 milioni di euro, tantomeno una sanatoria per l’evasione fiscale di 800mila euro che adesso gli contesta la procura di Genova. L’ottemperanza alla sanzione amministrativa farebbe cadere i reati penali ma il suo problema non è una multa salata, è la possibile ferita mortale alla sua immagine pubblica. "Vedremo di trovare un modo", assicura invece il commercialista, che nella vicenda Carige è uno che conosce bene gli "spalloni".
L’inchiesta sulla fuga di capitali parte dalle intercettazioni ambientali. Giovedì scorso, quando gli uomini del nucleo di Polizia tributaria hanno bussato alla porta di Gino Paoli, al Quartiere Azzurro, sulle alture di Nervi, hanno chiesto quei documenti che la donna voleva "in un posto sicuro". Il marito è a Roma. Prima della perquisizione, disposta dal procuratore aggiunto Nicola Piacente e dal sostituto Silvio Franz che contestano la "dichiarazione infedele dei redditi", i finanzieri si rivolgono alla signora. Lei dice di non avere quelle carte. La fanno accomodare in una stanza e le fanno ascoltare la registrazione della sua voce. "È la sua?", domanda un sottufficiale. L’apertura della cassaforte avrebbe dato scarsi risultati. I militari, guidati dal colonnello Carlo Vita, avrebbero trovato però carte interessanti negli uffici delle tre società di cui la donna è amministratore unico: "Edizioni Musicali Senza Fine", "La grande Lontra" e "Sansa". Così come vi sarebbe una traccia di movimenti di denaro nei documenti contabili sequestrati a Faenza, nell’ufficio del commercialista storico dell’ultimo dei cantautori della scuola genovese. Anche tracce del rientro in Italia di una tranche da 145 mila euro.
Qualche mese prima del gennaio 2014, la contabilità e la documentazione fiscale dall’Emilia sono state trasferite a Genova, presso la Sys Data, lo studio che ha sede nello stesso edificio di Vallebuona. Adesso si indaga anche sui bilanci di queste società. Una di queste non avrebbe presentato la dichiarazione dei redditi per alcuni anni. Durante le intercettazioni ambientali i finanzieri avrebbero sentito parlare di somme provenienti dai concerti di Paoli alla Festa dell’Unità. Il cantante avrebbe fatto capire che "quello era un sistema consolidato". Ma quei fatti sarebbero antecedenti al 2008. Tant’è che l’avvocato Andrea Vernazza, nominato da Paoli, spiega che i contanti finiti in Svizzera sarebbero accumuli degli anni precedenti. Domani, Paoli, la moglie e il legale si vedranno presso lo studio Illuzzi di Genova, il nuovo fiscalista. Il cantautore ha ribadito all’avvocato "di non temere di pagare multe salate", ma "il danno di immagine". E sulle sue dimissioni da presidente della Siae, Paola Penzo gli avrebbe consigliato di stare calmo: "Queste cose non si decidono a caldo".

ALDO GRASSO SU CDS
D alla musica d’impegno alla musica d’evasione. Succede con i cantanti, succede con gli artisti in genere. Troppo indaffarati a rincorrere le Muse («e musse», in dialetto ligure) a volte si dimenticano di ottemperare agli obblighi quotidiani. Gino Paoli è indagato per evasione fiscale. Indagato non condannato. E quindi i verbi vanno coniugati al condizionale.
L’accusa al cantante sarebbe quella di aver portato due milioni di euro in Svizzera e di averli sottratti al Fisco. Secondo l’inchiesta i soldi potrebbero essere proventi in nero di concerti alle Feste dell’Unità. Difficile da digerire. Paoli l’esistenzialista di Pegli, Paoli il probo, Paoli l’ex deputato del Pci, Paoli il presidente della Siae (da cui si è autosospeso). Paoli che ha preso a male parole gli occupanti del Teatro Valle perché non pagavano i diritti d’autore e non versavano le marchette all’Enpals, Paoli che ha sempre vissuto dalla parte giusta della Storia. Da non crederci, come sostiene l’amico Beppe Grillo, anche lui uno che in vita sua non avrà mai preso soldi in nero da uno spettacolo. Lasciamo perdere tutti gli sfottò apparsi sul web, lasciamo perdere che in Quattro amici al bar il più sfigato è quello che s’impiega in banca, lasciamo perdere la furia della Banda degli Onesti .
Forse sarà solo colpa di un cattivo consiglio, di una faciloneria, ma abbiamo già tante colpe nostre che vorremmo fare a meno di tollerare anche quelle degli altri.

CLAUDIO DEL FRATE SUL CORRIERE DI OGGI
Sostiene il ministro dell’Economia Carlo Padoan che l’accordo in procinto di essere firmato tra Italia e Svizzera segnerà la fine definitiva del segreto bancario svizzero. A Berna usano termini meno perentori, vuoi perché devono fare i conti con un’opinione pubblica interna non felicissima di vedere crollare la storica barriera, vuoi perché contano comunque sul fatto che, segreto o no, la piazza finanziaria svizzera continuerà a essere una delle più ambite al mondo. Ma la svolta c’è tutta: domani a Milano Padoan e la sua omologa elvetica Eveline Widmer-Schlumpf porranno la firma sull’accordo fiscale costato tre anni di aspre trattative tra i due governi.
L’accordo di Milano è molto articolato ma sono individuabili due punti fondamentali. Il primo: i due Stati potranno scambiarsi molto più speditamente informazioni in campo bancario e fiscale.
Fino a oggi per sapere se Tizio o Caio avevano soldi su conti di Lugano era necessaria una rogatoria internazionale motivata dal fatto che si poteva essere in presenza di qualche reato. Grazie al nuovo accordo l’Agenzia delle Entrate italiana potrà chiedere direttamente agli svizzeri informazioni su tutti i contribuenti; a partire dal 2017 lo scambio dei dati sarà automatico, senza più nemmeno la sollecitazione del Fisco italiano. Seconda novità: la Svizzera potrà uscire dalla cosiddetta «black list» dei paradisi fiscali; in seguito a ciò gli italiani che aderiranno alla voluntary disclosure (dichiarare cioè spontaneamente di avere un conto in Svizzera) pagheranno sanzioni dimezzate. Anche l’economia elvetica avrà il suo tornaconto: cancellate dalla «black list», le imprese e le banche incontreranno meno barriere per entrare sul mercato italiano. È davvero la fine di un’epoca? In buona parte è difficile dare torto a Padoan. L’origine del segreto bancario elvetico viene fatta risalire addirittura al ‘600, quando i re di Francia, cattolici a sempre assetati di soldi, trovavano comodo farsi finanziare anche da ricchi protestanti. Purché non si sapesse in giro e in questo caso la riservatezza era garantita dai banchieri ginevrini. Il segreto viene però codificato da una legge del 1934 figlia di un drammatico fatto storico: la crisi del ‘29 aveva trasformato la Svizzera nel rifugio di molti capitali in fuga e Berna aveva ritenuto opportuno equiparare la privacy delle banche a quella di medici e avvocati.
Quello scudo impenetrabile da allora ha subito continui attacchi etici, a partire dai primi anni del Dopoguerra, quando si scoprì che nelle banche della Confederazione erano custoditi i beni sottratti agli ebrei vittime delle persecuzioni naziste. L’Italia ha sempre approfittato a piene mani dell’ospitalità elvetica: uno studio di Kpmg stima che oggi si trovino a nord di Chiasso 220 miliardi di euro provenienti dall’Italia, stessa cifra appartenente ai contribuenti tedeschi.
Ma né la fine del segreto bancario né lo choc valutario del super franco sembrano aver tolto alla Svizzera l’appeal di paradiso per chi ha i soldi: nel 2014 le società anonime sulla piazza di Lugano sono cresciute del 10%.
Claudio Del Frate

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina Corrente
Pag. 9
Immagini della pagina