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 2015  febbraio 21 Sabato calendario

Il debito pubblico della Grecia oggi ammonta a 320 miliardi di euro, il 177% del Pil (quello dell’Italia, di 2

Il debito pubblico della Grecia oggi ammonta a 320 miliardi di euro, il 177% del Pil (quello dell’Italia, di 2.060 miliardi, è al 132%) [1]. Oggi l’80% è in mano a istituzioni pubbliche, contro il 20% nel 2008. Si tratta di 220 miliardi in forma di prestiti Ue/Fmi e 40 miliardi di titoli detenuti da Bce e banche nazionali [2]. Nel dettaglio. Il 60% del debito greco è della Ue – attraverso il fondo di stabilità europeo (l’Efsf) e il Meccanismo europeo di stabilità (l’Esm). Il 12% dell’Fmi. La Bce possiede l’8% mentre il 15% sono titoli di debito trattabili sul mercato secondario, di questi l’11% sono bond e il 4% sono prestiti a breve termine [3]. L’Italia è esposta verso la Grecia per circa 40 miliardi di euro, se si considerano i prestiti bilaterali e le quote di partecipazione nell’Esm, nella Bce e nell’Fmi. Lo calcola Bloomberg secondo cui, davanti al nostro Paese ci sono solo Germania (60 miliardi) e Francia (46 miliardi) [4]. Il primo intervento europeo di sostegno alla Grecia risale al 2010: un pacchetto di aiuti da 110 miliardi nell’ambito di un programma congiunto con l’Fmi che ne metteva 30. Tasso di interesse applicato al prestito: 3,5%. Tempi di ammortamento medi: 7,5 anni. Già l’anno dopo (luglio 2011) furono riscadenzati da un minimo di 15 fino a un massimo di 30 anni [5]. Il secondo prestito europeo alla Grecia è del 2012: 130 miliardi di euro. Inoltre si dette seguito a una riduzione del tasso di interesse (anche sui prestiti già concessi) all’1,50%. Tasso che, nel 2014, è stato infine congelato fino al 2021. Dal 2022 la Grecia reinizierà a pagare l’1,5% (e dovrà rimborsare tutto in una volta quell’1,5% annuo a cui i creditori hanno rinunciato nei 10 anni precedenti) [6]. Una parte importante dell’accordo del 2012 riguardava anche un haircut dei titoli del debito pubblico greco da 107 miliardi a danno dei creditori privati e delle banche (soprattutto), che accettarono di perdere il 53% complessivo del valore dei loro titoli [7]. Le vecchie obbligazioni furono scambiate (grazie al cosiddetto credit swap) con titoli a lunghissima scadenza con tassi di interesse progressivi: del 3% fino al 2014, 3,75% fino al 2020 e 4,3% dopo il 2020. E, ovviamente, Atene smise di collocarne di nuove: nessuno gliele avrebbe più comprate [7]. Dunque oggi Atene per il servizio del debito non spende quasi nulla. Secondo i dati dello stesso governo greco, il costo degli interessi sul debito pubblico è sceso dal 7,3% del 2011 a circa il 4,2% del Pil dell’anno scorso [8]. E adesso, con il congelamento degli interessi dovuti alla troika, deve rastrellare ancora meno risorse: una stima del governo parla di un costo del debito del 2,2% del Pil (c’è chi sostiene che sarà dell’1,5%). Molto meno di altri Paesi europei: nel 2013 il governo portoghese ha pagato il 5%, l’Italia il 4,8%, l’Irlanda il 4,4% [8]. I rimborsi dei prestiti presentano date molto lontane quindi rate molto basse: oggi l’ammortamento medio del debito greco è di 32 anni. Ci sono però due picchi altissimi (per un Paese con un prodotto interno lordo di circa 180), uno nel 2015 di oltre 16 miliardi di euro, uno nel 2019 con 14 miliardi [3]. Il problema pratico della Grecia dunque non è la sostenibilità di un debito da ammortizzare in 30 anni che porta tassi di interesse risibili; la questione reale riguarda i pagamenti che scadono quest’anno. 11 miliardi dovranno essere restituiti al Fmi in due rate con scadenza 15 marzo e 15 giugno. E 6,7 miliardi alla Bce in due tranche (20 luglio e 20 agosto). Occorre quindi aiutarli con le scadenze di quest’anno, poi andranno lasciati soli. Hanno già un avanzo primario, non hanno bisogno di altri soldi [9]. Note: [1] eunews.it 5/2; [3] Silvia Merler, lavoce.info; [3] Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 11/12/2014; [4] Il Sole 24 Ore 25/1; [5] leg16camera.it; [6] Fabio Cassanelli, rivistaeuropea.eu 6/2; [7] Il Post 21/2012; [8] Stephen Findler, Wall Street Journal Europe 21/2; [9] Stefano Lepri, La Stampa 7/2.