Paolo Ianieri, La Gazzetta dello Sport 21/2/2015, 21 febbraio 2015
ARRIVABENE: «VETTEL? PRESO GRAZIE A... SCHUMI»
«Mettiamo i puntini sulle i». Seduto al tavolo, sciarpa di seta al collo sotto il maglione rosso d’ordinanza, Maurizio Arrivabene mantiene la promessa del giorno prima («Ho un paio di cose da dire, vi divertirete») e inizia a parlare: della Ferrari, dei piloti, dello stato di salute della F.1, di cosa significhi occupare la poltrona di Enzo Ferrari. «Quando dico che la Ferrari c’è, non parlo della macchina, ma della squadra — esordisce —. Il mio primo obiettivo era rimetterla insieme. Basta correnti, gruppetti, partitini. Si lavora tutti per lo stesso obiettivo con determinazione e serenità. Secondo: un po’ di esperienza in F.1 ce l’ho e non ho mai creduto ai campioni del mondo d’inverno. Il messaggio della mia prima conferenza quando dissi che 2 vittorie quest’anno sarebbero state un successo, 3 una mega vittoria e con 4 sarei andato a piedi nudi fino alle colline di Maranello, non cambia. Se oggi dicessi che lottiamo per il Mondiale, a casa direbbero che sono fuori di testa anche se i progressi sono chiari. Terzo: ho letto che questa è la macchina di Mattiacci. Senza polemiche non è che se l’auto a Jerez fosse andata male era di Arrivabene o Marchionne. No, questa macchina è della Ferrari. E da quando, era il 1 dicembre, sono a Maranello, Allison, Resta, Binotto e i motoristi hanno fatto modifiche importanti. Il 24 dicembre in fabbrica non sentivi Jingle bells , ma la musica dei motori e il 31 la gente lavorava. Quarto: Vettel. In passato si diceva che la Phillip Morris decideva i piloti e rispondevo di no. Ma nel momento in cui Alonso ha deciso di andar via, ho telefonato a Sabine Kehm, manager di Schumacher, chiedendole di parlare con Seb, che sapevamo incerto. Lei gli ha spiegato e descritto la Ferrari dei tempi di Michael, che cosa avrebbe potuto trovare. E la telefonata fondamentale l’ha fatta Marchionne, chi ha firmato il contratto conta poco».
Quali sono stati i cambiamenti più importanti?
«Aiutare la gente a liberare la passione. Evitando 150 mila direzioni diverse, parlandosi. Se poi succedono minchiate la colpa è nostra, non di telaisti o motoristi. Basta paura di prendersi responsabilità, anche perché quella finale è mia. Non credo all’architetto che non parla ai muratori. Abbiamo grandi motoristi, si trattava di farli uscire allo scoperto e ridar loro passione. Resta è della scuola di Costa, non ci servono i grandi nomi. Ma il vero scoop è un altro».
Quale?
«Ho visto Kimi sorridere e parlare. Tanto che gli ho chiesto se stesse bene. Ma non era malato, solo entusiasta. A un certo punto si è infilato sotto la macchina a smanettare. “Sono stato un meccanico” mi ha risposto quando gli ho chiesto cosa facesse. Ma gli ho intimato di non toccare nulla».
È un Raikkonen recuperato alla causa Ferrari?
«Kimi non è un fermo. Si è visto in Lotus e non dimentichiamo che dopo Schumi è lui l’ultimo campione Ferrari. Con l’auto 2014 faticava, ma è un ottimo pilota, quello che ci vuole con Seb. Che è fantastico. Kimi però non è da meno, gli serviva solo fiducia».
Che ruolo ha Rory Byrne?
«Quando gli ho chiesto di darci una mano gli ho visto accendersi una luce. Ha l’entusiasmo di un ragazzino. Prima di Natale, una sera, l’ho trovato al ristorante, mangiava velocissimo e gli ho detto di calmarsi. Mi ha risposto che doveva tornare in fabbrica per un meeting con Resta. Per Simone, Rory è un papà, un mentore».
L’ultima riunione della F.1 Commission non ha cambiato nulla. Deluso?
«La penso come prima. Non parlo di rivoluzione, ma la F.1 deve avvicinarsi alla gente. C’è chi pensa che il paddock debba essere vuoto per avere un livello più alto, ma non è la direzione giusta. Dobbiamo lavorare per lo spettacolo, non per avere una setta».
Avete presentato un concept su come immaginate la F.1 futura.
«Una provocazione non lontana dalla realtà. E mi aspetto che altri team facciano proposte. L’importante è muovere le cose, non stabilizzarle. I nostri avversari oggi sono le auto da videogame, se chiedi a un 18enne che macchina immagina ti risponde quelle. Il look è importante, non solo le regole. Liberiamo la creatività e facciamo macchine belle».
Il trasloco nella nuova sede Ges condizionerà l’inizio stagione?
«Ci farà lavorare meglio. Però mi spiace lasciare l’ufficio di gente che è stata lì prima di me e vinto. Io non ho vinto ancora niente. Un giorno Piero (Ferrari; n.d.r.) mi ha fatto notare che il parquet sotto la mia sedia era tutto consumato. “Mai nessuno l’ha toccato, lì era seduto mio padre”. Ho fatto fatica a risedermi. Perché, se è vero che bisogna guardare al futuro, serve rispetto per il passato e il nostro è Ferrari. I ragazzi oggi parlano di Steve Jobs come di un guru, ma Enzo Ferrari lo aveva anticipato: ha corso con l’Alfa, ha creato la Ferrari. Che è la F. 1. C’è chi pensa che il tempo della Ferrari sia passato, ma proviamo a fare una F.1 senza Ferrari e vediamo chi viene in pista».