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 2015  febbraio 21 Sabato calendario

APPUNTI SUL FALLIMENTO DEL PARMA


ANDREA SCHIANCHI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 21/2 -
Chiuso per debiti. Domani i cancelli dello stadio Tardini non si apriranno per Parma-Udinese: mancano i soldi per pagare gli steward e il prefetto Giuseppe Forlani non ha dato l’ok allo svolgimento della partita. O meglio: ha suggerito di disputare l’incontro a porte chiuse, ma il presidente federale Tavecchio si è opposto e ha ordinato la sospensione. Il caso, per la Serie A, è unico: mai ci si era fermati perché una società non aveva il denaro per garantire la sicurezza degli spettatori e la fornitura di energia. Pazzesco. I tifosi però non si arrendono. I Boys annunciano: «Domenica tutti davanti al Tardini».
STRATEGIA Questo è il giorno più triste nella storia del Parma Football Club, ormai lunga più di un secolo. E la tristezza si unisce alla rabbia per la valanga di bugìe che negli ultimi mesi è piovuta addosso alla città e alla sua gente. Da qualche giorno il sindaco Federico Pizzarotti ha preso in mano il dossier Parma e, anche se un po’ in ritardo visto che la situazione era giudicata preoccupante già nell’autunno scorso, ha deciso di tutelarsi: ha fatto ingiunzione di pagamento al club per un debito di circa 700 mila euro e ha promosso l’incontro di ieri a Collecchio al quale era presente assieme ai giocatori emiliani e ai rappresentanti di Figc, Lega e Aic. «Stiamo cercando di salvare il salvabile» ha dichiarato il sindaco. In sostanza: si tenta la strada del «fallimento pilotato» che garantirebbe il mantenimento del titolo sportivo e, quindi, la partecipazione al prossimo campionato di Serie B (in caso di retrocessione). Con questo procedimento il titolo sportivo viene messo all’asta e la società acquirente dovrà pagare i soli debiti sportivi, quelli con la Figc. Il fallimento va chiesto a stagione in corso. Può avvenire in tre modi: richiesto dalla Procura, qualora vengano ravvisati estremi di reato, per istanza presentata da alcuni creditori, o perché l’amministratore della società ne porta i libri in Tribunale. Viene quindi nominato un curatore fallimentare, che guida l’esercizio provvisorio fino alla liquidazione o fino alla cessione. Se il curatore dovesse rilevare illeciti, falsi in bilancio o altre stranezze, chi ha amministrato la società rischierebbe grosso. Se, invece, la procedura del «fallimento pilotato» non dovesse andare in porto, l’unica soluzione è ripartire dai Dilettanti. E’ una corsa contro il tempo, di questo è consapevole anche il sindaco che sta cercando di coinvolgere un gruppo di industriali locali disposti a formare una cordata per salvare il club: operazione complicata.
ZERO SOLDI Giampietro Manenti, ieri, ha tenuto l’assemblea dei soci... da solo. Non c’era nessuno, tranne lui, nella sala delle riunioni del centro sportivo di Collecchio. «Mi sento accerchiato - ha detto - Ma io vado avanti». Dopo aver promesso ancora una volta che lunedì pagherà tutti gli stipendi, se n’è andato da un’uscita secondaria a bordo di una Volvo bianca. In serata il club ha fatto sapere che l’assemblea dei soci sarà riconvocata, ma pare che ci siano ombre nel passaggio di quote avvenuto tra lui e Rezart Taçi. Inoltre: se non ha i soldi necessari per far fronte alla situazione, perché non consegna i libri contabili all’autorità giudiziaria? Abbrevierebbe i tempi dell’agonia. Evidentemente, se non fa questa mossa, ha una strategia la cui natura si ignora. Di certo c’è che il conto della Mapi Grup d.o.o., società domiciliata all’indirizzo Industrijska Cesta numero 7 di Nova Gorica (Slovenia) si è improvvisamente svuotato. Aperto il 10 aprile 2013 presso la Raiffeisen Banka D.D., è stato chiuso il 19 febbraio 2015. Cioè l’altro ieri. Se da queste cassaforti dovevano arrivare i soldi per salvare il Parma, i tifosi, perlomeno quelli che non lo hanno già fatto, possono cominciare a preoccuparsi. Gli uomini della Procura di Parma sono al lavoro per capire dov’è finita l’enorme mole di denaro gestita negli anni dal Parma Fc. Investigazioni sono in corso anche da parte dell’Antimafia, molto attenta nell’ultimo periodo a ciò che succede nel territorio emiliano. Nel 2006 l’indebitamento del Parma era di 16 milioni di euro, oggi arriva a 197 milioni. In questo periodo sono entrati nelle casse sociali 220 milioni solo di diritti televisivi, cui bisogna aggiungere i ricavi da botteghino e da sponsorizzazioni. Chi ha creato un simile buco nero?

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MARCO IARIA, LA GAZZETTA DELLO SPORT 21/2 -
La domanda che qualsiasi tifoso si fa è la stessa che ci facciamo noi: com’è possibile che nella Serie A del miliardo di euro di diritti tv una partita non si giochi perché una squadra non è in grado di pagare gli steward? Ma serve una domanda supplementare: Figc e Lega, attivissime nelle ultime 48 ore, cos’hanno fatto per evitare la figuraccia di Parma? Praticamente niente. Le istituzioni del calcio hanno osservato da lontano la deriva cui prima Ghirardi con la sua gestione spericolata, poi Taci ora Manenti hanno trascinato la squadra. I controlli ci sono ma non a sufficienza, se si è arrivati a questo punto. Ora la Federazione è corsa ai ripari e presto metterà sul tavolo le modifiche normativ: potenziamento delle licenze e dei controlli sui debiti a stagione in corso, paletti ai nuovi ingressi societari.
DISAGIO Nell’attesa bisogna risolvere il caso Parma. Tavecchio è intervenuto varando il tavolo di monitoraggio permanente col sindaco e la Lega. La partita è stata rinviata perché non sussistevano le «condizioni ambientali» per giocarla a porte chiuse. E infatti nel comunicato federale (non della Lega, chissà perchè...) si parla di «disagio dei calciatori e degli allenatori». È stato tenuto conto anche del clima pesante che si respira in città e non è da escludere che abbiano influito timori in tema di scommesse. Il rinvio sa tanto di temporeggiamento, nella speranza che qualcosa cambi. Manenti non suscita fiducia nelle istituzioni, che cominciano a studiare il piano B, cioè la strada del fallimento pilotato, aspettando con attenzione le mosse della procura e l’udienza del 19 marzo, che potrebbe essere pure anticipata se i creditori ne facessero richiesta.

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ANDREA SCHIANCHI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 20/2 -
Sarà una scena surreale. Giampietro Manenti, questa mattina alle 11, entrerà nella sala delle riunioni del centro sportivo di Collecchio per presenziare al suo primo consiglio di amministrazione in qualità di socio di maggioranza e, guardandosi intorno, scoprirà di essere solo. Stando a quanto si è saputo, non parteciperà nessuno dei soci di minoranza e anche l’immobiliarista Maria Isabella Camporesi, socia al 50% della Mapi Group di Manenti, ha declinato l’invito per divergenza sulla gestione del club. Solo e senza soldi, questo il destino del nuovo padrone del Parma che ieri si è presentato a Collecchio per parlare con la squadra e con i dirigenti che stanno lavorando all’organizzazione della partita contro l’Udinese. A Roma, invece, il sindaco Federico Pizzarotti ha incontrato Tavecchio e Beretta. La Federcalcio ha ribadito «il sostegno delle istituzioni, nel rispetto del quadro normativo vigente e delle reciproche responsabilità, affinché si creino le condizioni economiche e ambientali che consentano il proseguimento dell’attività sportiva».
DOVE SONO I SOLDI? Domani è il giorno-chiave per sapere se la gara di campionato verrà regolarmente disputata. Il Parma ha fatto presente alla Lega Calcio le pesanti difficoltà economiche: non ci sono abbastanza soldi in cassaforte per pagare gli steward, l’azienda che fornisce l’energia e il personale addetto al servizio sanitario. Una piccola scorta, comunque inferiore ai 40 mila euro, è stata salvata, ma probabilmente non è sufficiente. L’ipotesi più accreditata è che Parma-Udinese si giochi a porte chiuse. Domani il Gos, il Gruppo Operativo per la Sicurezza, si riunirà e prenderà una decisione sulla base anche delle risorse economiche garantite dalla società. Si tratta, in sostanza, di mettere insieme qualche migliaia di euro che, unite ai circa 40 mila già esistenti in cassaforte, servirebbero a pagare i rimborsi spese di chi lavorerà domenica allo stadio Tardini. Escluso che Manenti apra il portafoglio, perlomeno fino a ieri non ha dato questa disponibilità. E il fatto è abbastanza curioso, perché stiamo parlando di un uomo che si è presentato come un facoltoso imprenditore in contatto con ricchi investitori stranieri. Finora non gli è riuscito di sbloccare i 30 milioni di euro promessi che dovrebbero essere utilizzati per saldare gli stipendi dei tesserati e dei dipendenti, ma per organizzare Parma-Udinese serve una cifra molto inferiore: possibile che un imprenditore, che dice di aver preparato un dettagliato piano industriale per il risanamento del Parma, non abbia nemmeno tre o quattromila euro per «aprire» il Tardini? O forse, come molti sospettano da tempo, Manenti non è un facoltoso imprenditore ma sta tentando di aprire la strada a qualcuno che si muove nell’ombra.
CHE NUMERI A Collecchio anche ieri si è presentata la delegazione dell’Aic al completo: il presidente Tommasi, il vicepresidente Calcagno e il direttore generale Grazioli. «Siamo a giovedì e la situazione non è cambiata», il commento di Tommasi. I giocatori hanno incontrato Manenti dopo l’allenamento. Un confronto abbastanza lungo e movimentato al quale Daniele Galloppa ha preferito non partecipare (forse in segno di protesta). Manenti ha garantito che i soldi degli stipendi ci sono e arriveranno, ma i ragazzi di Donadoni hanno ribattuto che finora non hanno visto un euro e che il CRO bancario, il codice di undici cifre che dovrebbe fare riferimento alle operazioni, fornito dallo stesso Manenti ai giocatori non è regolare. È bastato che qualche giocatore entrasse nella filiale del Monte Paschi e chiedesse la verifica del codice per scoprire che quei numeri valevano, più o meno, quanto quelli del Lotto. Se non ci saranno improvvise (e al momento improbabili) svolte, lunedì partiranno le raccomandate dei tesserati che chiederanno la messa in mora del Parma Fc. La società avrà venti giorni di tempo per mettersi in regola e pagare gli stipendi. Nel frattempo procede l’inchiesta della Procura: il 19 marzo si discuterà l’istanza di fallimento.

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FRANCESCO ALBERTI, CORRIERE DELLA SERA 21/2 -
Chiuso per indigenza. La farsa Parma partorisce uno di quei precedenti di cui il pianeta calcio, che pure ne ha viste tante, avrebbero volentieri fatto a meno.
Stadio Tardini chiuso domani: salta la gara tra Parma e Udinese. La prefettura aveva dato il via libera allo svolgimento della partita a porte chiuse, ma il presidente della Figc Carlo Tavecchio, dopo aver toccato con mano «il disagio e l’indisponibilità» di Assocalciatori e Assoallenatori, in aggiunta al parere contrario del sindaco di Parma Pizzarotti e del numero uno della Lega Beretta, ha deciso di rinviare l’incontro a data da destinarsi.
La verità è che nella sua caduta libera verso il fallimento, mentre il presidente Giampietro Manenti continua a promettere bonifici che nessuno vede, il Parma non ha nemmeno i soldi per aprire lo stadio. Steward e dipendenti, non pagati da mesi, hanno deciso di alzare la voce e vano è stato il summit svoltosi ieri al centro sportivo di Collecchio. Un vertice che (meglio tardi che mai) ha visto la presenza anche di rappresentanti della Figc: cosa che non ha mancato di suscitare commenti pepati nell’entourage parmense. Il capitano Alessandro Lucarelli, che per conto della squadra sta gestendo con il presidente dell’Assocalciatori Tommasi la partita della messa in mora della società (per ora i giocatori pazientano), alla vista dei rappresentanti federali non si è trattenuto: «Se venivano prima era meglio, a Parma c’è una situazione che dura da 7 mesi: non è chiaro se sono interessati alla sorte del campionato o al bene della società… ».
L’impressione è che stia andando tutto a rotoli. La sorte del Parma, al di là degli esiti societari, è ormai a tutti gli effetti un problema serio per la regolarità del campionato. Oltre a essere a rischio le prossime gare interne (con quali soldi aprire il Tardini?), c’è la questione della squadra da mettere in campo (la Primavera?) nel caso i giocatori decidessero per la messa in mora, senza considerare l’eventualità che si arrivi alla cancellazione del club dal campionato.
Ma, crac o no che sia, la vicenda getta un’ombra pesante sull’operato degli organismi di controllo delle autorità del calcio e, più in generale, sulla vulnerabilità dell’intero sistema. Con i suoi 96 milioni di passivo (ma il debito consolidato della Eventi Sportivi, che detiene il 90% della società, arriva a 201 milioni), quattro presidenti in due mesi, un via vai di gente sconosciuta, un tycoon come Taci che acquista da Ghirardi senza nemmeno vedere i conti e poi Manenti che candidamente confessa al Corriere di Bergamo «nemmeno io so esattamente quali sono i debiti del Parma, sto facendo la due diligence», viene da chiedersi dove erano o da che parte stavano guardando le istituzioni del calcio mentre a Parma andava in scena, a essere generosi, il ballo dei dilettanti.
Ora c’è il vuoto attorno a Manenti, che ieri si è dileguato da un’uscita secondaria. Lui continua a dire che i bonifici arriveranno, ma in pochi gli credono. Il sindaco Pizzarotti, dopo averlo incontrato, lo ha di fatto scaricato: «Penso che la pazienza sia finita, di garanzie non ne abbiamo viste».
Il problema ora è quello di salvare il titolo sportivo. In caso di fallimento, si va all’asta e comunque il Parma dovrà ripartire dalla Lega nazionale dilettanti. Il Comune giocherà in prima persona: «Terremo monitorata la situazione — ha aggiunto il sindaco —, ci sono ancora molti punti oscuri». Anche per questo Pizzarotti ha ieri incontrato i pm della Procura che hanno avanzato istanza di fallimento per inadempienze fiscali della società. L’abisso è davvero vicino.
Francesco Alberti

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F. AL., CORRIERE DELLA SERA 21/2 -
Pure il sospetto di firme falsificate. L’agonia del Parma sta dando lavoro alla Procura della Repubblica. Dopo l’istanza di fallimento per inadempienze fiscali (16 milioni non pagati tra redditi di lavoro dipendente e Irap: udienza il 19 marzo), i magistrati hanno aperto un fascicolo per truffa e falso su una presunta firma falsificata in un documento presentato dal Parma Calcio a un istituto di credito per ottenere un anticipo di finanziamento di un milione e 50 mila euro. In particolare, si tratterebbe di una cessione di credito da parte del club a una banca.
L’ex presidente Tommaso Ghirardi, che all’epoca dei fatti era ancora al vertice della società, si è detto all’oscuro: «Non ne so nulla — ha affermato —, e ho affidato ai miei legali il compito di verificare la notizia». L’indagine è contro ignoti e, a quanto trapelato, la cessione del credito da parte del Parma sarebbe avvenuta all’insaputa del debitore. La vicenda è venuta alla luce nel momento in cui l’istituto di credito ha inviato al debitore (un’azienda di abbigliamento sportivo) una lettera di diffida per riscuotere la somma erogata. Il sospetto è che la cessione sia avvenuta con una firma falsa. Il documento rientrava in un’operazione che ha consentito al Parma di ottenere un finanziamento di 4 milioni.
F. Alb.

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DARIO DI VICO, CORRIERE DELLA SERA 21/2 -
Il caso Parma si potrebbe sintetizzare così: c’era una volta una ricca città di provincia che aspirava ad essere «une petite Capitale» e che invece per l’insipienza delle sue classi dirigenti si è ritrovata, nel giro di un lustro, in bolletta. La squadra di calcio che pure aveva addirittura scalato i vertici europei vincendo una Coppa Uefa non ha nemmeno i soldi per pagare gli steward per una normalissima partita di campionato, l’aeroporto rischia di venir chiuso perché non ci sono i 2,5 milioni l’anno per farlo funzionare, il debito del Comune viaggia comunque tra i 600 e i 700 milioni e per di più il sindaco Federico Pizzarotti, figlio di una rivolta popolare che aveva portato nelle urne i Cinque Stelle al potere, lancia un disperato avviso ai cittadini perché Parma è in mano agli spacciatori.
La somma degli avvenimenti che stanno scuotendo la città ducale ha dell’inverosimile e passa ancora per il declassamento della Biblioteca Palatina e il varo di una stagione del Teatro Regio che gli appassionati considerano a scartamento ridotto e indegna della tradizione verdiana.
Sembra che tutte le contraddizioni che si sono accumulate negli anni stiano scoppiando in contemporanea e la sensazione di sconfitta che ne se ricava è unanime. Commenta Giuliano Molossi, direttore dello storico quotidiano locale, la Gazzetta di Parma : «Non si può sfuggire alla sensazione di un declino su più fronti e la chiusura dello stadio per mancanza di soldi è la goccia che fa traboccare il nostro vaso. Non ricordo francamente un precedente analogo in Italia».
La città, dunque, langue eppure tutti i Paesi del mondo vorrebbero avere una Parma tra le loro città e quelli che ce l’hanno invece l’hanno svalutata. Gli anni della grandeur, quando per soddisfare il vorace blocco di potere costruito sul mattone (i costruttori, l’ex ministro Pietro «Tunnel» Lunardi e gli amministratori comunali) si voleva fare della città una piccola Parigi strapiena di nuovi edifici, sono lontanissimi e ora arrivano solo dei grandi S.O.S. al governo, alla Lega Calcio e all’imprenditoria sana. Racconta Molossi: «Nelle chiacchiere da bar si spera che a risolvere i problemi venga qualcuno da fuori oppure che si muovano i Barilla per comprare il calcio e l’aeroporto. Ma non avverrà niente di tutto ciò, nessuno è disposto a buttar soldi».
Il sindaco Pizzarotti alla sua prima esperienza politica si è trovato un fardello di problemi obiettivamente pesante da affrontare. Doveva incarnare un nuovo modello far di politica, dar vita a un’esperienza che da Parma si sarebbe estesa a Roma portando i grillini a palazzo Chigi, ma nei fatti il suo bilancio è gramo. Aveva promesso agli elettori di fermare l’inceneritore che si stava costruendo alle porte di Parma ma ha perso tutti i ricorsi presentati ai tribunali amministrativi e, soprattutto, davanti al maxi-debito lasciatogli dalla precedente giunta Vignali ha scelto di minimizzare o addirittura in qualche occasione si è vantato pubblicamente di averlo ridotto. «Nella realtà ha solo liquidato e ceduto alcune società trasformando una quota del debito in perdita patrimoniale» sostiene Massimo Iotti, consigliere comunale del Pd e acerrimo contestatore del sindaco.
Se all’inizio della giunta Pizzarotti i debiti dovuti alla grandeur edilizia erano di 850 milioni oggi mancano riscontri precisi anche perché, incalza Iotti, «avevano promesso un bilancio consolidato ma non lo hai mai redatto». Ad aprile 2015 si conosceranno i dati delle società municipali ma si può stimare che si arrivi tra i 600 e i 700 milioni di rosso. E il piano di ristrutturazione che doveva essere negoziato con le banche almeno per la holding Stt non è stato ancora siglato.
Il clima di sconfitta lo si respira anche perché i cittadini hanno ripreso a protestare. Contro i tagli operati da Pizzarotti all’assistenza ai disabili (un fiaccolata di 2 mila persone è sfilata sotto il Comune) e contro il degrado di intere zone in mano allo spaccio e alla malavita. Proprio ieri il sindaco ha rivolto una lettera aperta ai cittadini sostenendo che i pusher vengono arrestati e rimessi in libertà dai tribunali, che le leggi statali sono inefficaci e ci vogliono «nuovi strumenti giuridici» in mano ai Comuni.
Parole che sono destinate a restar tali. Anche perché se per un periodo il sindaco, in virtù del coraggio mostrato nella contrapposizione in sede nazionale allo strapotere di Beppe Grillo, si era conquistato qualche favore ora nessuno è disposto a fargli sconti. Né il dissesto dell’aeroporto né tantomeno quello della squadra di football dipendono dal Comune ma il balletto di avventurieri di tutti i Paesi che gira attorno a questi due business copre la città di ridicolo. Per lo scalo si erano fatti avanti i cinesi della Izp, poi però alla prova pratica si sono dileguati senza aver avanzato proposte concrete, per il calcio era spuntato un albanese, Rezart Taçi, che però vista la mala parata si è allontanato, ora il club di football è in mano al faccendiere Giampietro Manenti che la controlla attraverso una società slovena. È come se l’Onu dei filibustieri si fosse data appuntamento a Parma. Manenti in passato ha cercato di scalare le cartiere Pigna e comprare il Brescia e la Pro Vercelli ma i veri investimenti non sono stati mai il suo forte.
Il paradosso di questa situazione è che il declino di Parma riguarda solo la vita politica e amministrativa, non l’economia reale. «Ci sono eccellenze manifatturiere che hanno retto alla crisi, non solo nell’alimentare ma anche nella farmaceutica e nella meccanica — spiega Franco Mosconi, studioso del modello emiliano e docente all’università di Parma — Quelli che non hanno funzionato sono stati gli esperimenti pubblico-privato. Purtroppo».

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FRANCESCO SAVERIO INTORCIA, LA REPUBBLICA 21/2 -
Sul campionato s’abbassa all’improvviso una saracinesca, come in certe sudicie pizzerie di periferia. Il cartello recita: chiuso per debiti. Mai successo in Serie A. Parma-Udinese di domani è stata rinviata: l’ha deciso il presidente Tavecchio. Piuttosto che disputarla a porte chiuse per assenza di soldi, come ordinato dal Prefetto, o rischiare una plateale protesta dei giocatori, la Federcalcio è intervenuta d’imperio. E ha fatto guadagnare ore preziose nella delicata missione di salvare il Parma da una fine ingloriosa. Adesso, paradossalmente, la sopravvivenza sportiva può passare dal fallimento: anticipandone i tempi, si può ipotizzare l’ingresso di una proprietà che rilevi all’asta il titolo sportivo e il parco atleti, accollandosi solo i debiti calcistici, per consentire al Parma di finire la stagione e iscriversi alla B. All’alternativa, nessuno vuole pensare: la squadra che non si presenta più in campo, le sconfitte a tavolino, l’esclusione dal campionato dopo averlo falsato. Uno scenario drammatico.
È stata un’altra giornata di attesa e tensione a Collecchio. Il club non ha più un euro, gli steward non lavorano più gratis, neppure per Giampietro Manenti, il discusso presidente che il 5 febbraio ha rilevato a un euro una società schiacciata da quasi cento milioni di debiti netti. Scena surreale, avrebbe dovuto fare da solo l’assemblea dei soci, poi superata dagli impegni: non c’era la minoranza (la Energy T. I. Group non ha firmato il bilancio e ha chiesto il commissariamento della società), non c’era neppure, non è entrata nell’operazione, Isabella Camporesi, fino a ieri socia del presidente nella slovena MaPi Group, che ha la sede in un casolare a Nova Gorica. La squadra non s’è allenata, ha incontrato Manenti. C’erano anche i delegati Aic, il legale della Federcalcio Galavotti, l’assessore allo sport Marani e il sindaco Pizzarotti, reduce dall’incontro con Tavecchio e Beretta in Figc, giovedì. Colloquio molto teso, con i giocatori stufi di promesse non mantenute e mesi di isolamento e soprattutto contrari a scendere in campo senza pubblico, per rispetto dei tifosi. Dopo un vertice in Prefettura, con il sindaco e, in rappresentanza dei calciatori, Damiano Tommasi, la decisione di Tavecchio: non si gioca. «Avremo un tavolo di concertazione continuo, il vaso è colmo — ha spiegato Pizzarotti — Da Manenti nessuna garanzia, le parole non sono utili a pagare i conti. Ci sono ancora tanti punti oscuri». Il sindaco si è recato in Procura per conoscere nel dettaglio tempi e iter della procedura fallimentare chiesta dai pm. L’udienza è fissata il 19 marzo: rischia di essere troppo lontana per i destini sportivi del club. Perché, adesso, bisogna trovare i soldi per giocare ogni domenica, Manenti non ha dato garanzie neppure su questo, al momento, e ha lasciato il centro sportivo da un’uscita secondaria, schivando d’un pelo i giornalisti che provavano a fermarlo per una dichiarazione.
Il tavolo guidato da Pizzarotti ha dunque due obiettivi. Il primo: reperire fondi per continuare a giocare. «Neppure la farmacia ci fa più credito», dice un dipendente, bisogna pagare benzina e hotel per andare in casa del Genoa domenica prossima, non si potranno rinviare le partite all’infinito. Il secondo: tentare il salvataggio del club con ogni mezzo, anche quello del fallimento “pilotato”. Questo mentre i magistrati indagano sul Parma per truffa e falso e l’ex presidente Ghirardi commenta solo: «Non ne so nulla».

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MAURIZIO CROSETTI, LA REPUBBLICA 21/2 -
Anche le sedi delle società di calcio sono ormai terra di conquista e devastazione, mica solo le curve e i centri storici. Hai cento milioni di debiti? Non paghi gli stipendi da luglio? L’Uefa non ti ha ammesso alle Coppe perché non hai versato l’Irpef? Non importa. Puoi iscriverti lo stesso al campionato, trasformando il buco in voragine e la voragine in abisso.
Il clamoroso paradosso del Parma, primo club nella storia a non giocare una partita per mancanza assoluta di denaro, ribadisce che in Italia non esistono regole. Qualunque imprenditore tarocco, in realtà peracottaro da quattro soldi, può sborsare un simbolico euro e portarsi a casa una società di calcio, anche se possiede un capitale di appena 7.500 euro, ha la sede in una specie di cascina in Slovenia e forse si lancerà nel business delle stufe a pellet. I presidenti del pallone non si sono accorti che il Parma stava facendo questa fine e non hanno mosso un dito. Più tonica, una volta tanto, la Figc di Tavecchio che promette di inasprire le sanzioni contro chi sgarra. Vedremo. Il futuro assomiglia a Parma-Udinese: rinviato a data da destinarsi.
Resterebbe da capire perché una società cacciata dall’Europa per indegnità fiscale, in Italia abbia avuto l’okay per iniziare la stagione: la Covisoc potrebbe spiegarlo, grazie. In mancanza di norme su faccendieri e prestanome senza garanzie, il calendario rischia di avere una casella vuota fino a maggio, quella appunto del Parma: è dunque pacifico definirlo falsato, almeno in parte. Un tempo, il calcio era amato e foraggiato da ricchi forse scemi (se ne sente peraltro la mancanza), oggi i magnati sono scomparsi e le storiche dinastie prosciugate. Gli unici denari freschi arrivano dall’estremo oriente, e servono più che altro per comprare debiti. Nazioni più ricche e forse più serie hanno investitori solidissimi, qui siamo agli avventurieri da strapazzo: forse ce li meritiamo.

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GIUSEPPE SALVAGGIULO, LA STAMPA 21/2 -
Ormai il caso Parma è diventato il caso Italia. Il rinvio della partita di domani con l’Udinese è senza precedenti: non si gioca perché non si sa che altro fare, per una specie di ammutinamento collettivo, per mettere nell’angolo un presidente squattrinato che sta trascinando tutti a fondo. Sta per fallire una squadra di serie A a campionato in corso, cosa mai avvenuta. Conseguenze: catastrofe d’immagine per il calcio italiano, ipoteca sulla regolarità del torneo, contenziosi con tv (anche straniere), scommettitori, tifosi, sponsor. La puntata di ieri, al di là della bizzarra comunicazione istituzionale (non si gioca, anzi sì ma a porte chiuse, invece no... tutto nel giro di un paio d’ore), si riassume così: senza i soldi per pagare gli steward, si potrebbe a porte chiuse. Ma questa soluzione non piace a calciatori, allenatore, Comune. Se scandalo dev’essere, meglio che lo sia fino in fondo: niente pallone, tifosi in corteo fuori dallo stadio. E allora si è chiesto a Tavecchio di rinviare la gara d’imperio, per imprecisabili ragioni.
«Hai i soldi o no?»
Lo scenario si è delineato giovedì sera a Roma, quando Tavecchio e Beretta hanno parlato per un paio d’ore con il sindaco Pizzarotti, il quale ha candidamente chiesto come si possa acquistare una squadra di A senza capitali né controlli, sentendosi rispondere: «Certo che servirebbero regole diverse, ma non possiamo introdurle perché sono le stesse società a non volerle». Ma il clou del summit è stata la telefonata in viva voce a Giampietro Manenti, ultimo dei tre proprietari della squadra avvicendatisi da dicembre. «Se i soldi non li hai, è meglio dirlo subito a noi. Fingere e andare avanti così è inutile e autolesionista». Per mezz’ora l’hanno incalzato, ma lui niente. «Tranquilli, i soldi ci sono, il ritardo dipende dalle banche. Arriveranno presto». Rassicurazioni – le stesse da 15 giorni - a cui nessuno ha creduto. Sintesi di Pizzarotti: «Con le parole non si pagano gli stipendi». Il cerchio si è chiuso ieri: al primo Cda, Manenti s’è ritrovato solo, mollato anche dai suoi soci, mentre i codici dei bonifici portati dai giocatori in banca si sono rivelati inesistenti. A quel punto, da parte di calciatori, Federazione, Lega e Comune è scattato il piano B. Ieri mattina Pizzarotti e gli emissari di Tavecchio hanno incontrato la squadra. A un certo punto, mentre montava il nervosismo, Manenti è stato fatto uscire dallo spogliatoio e a sua insaputa s’è deciso di non giocare. Il tour di Pizzarotti s’è chiuso nel pomeriggio in Procura, dove si lavora sull’istanza di fallimento e sull’inchiesta penale.
Modello Bari
Questa, dunque la strategia elaborata tra Roma e Parma. Nell’immediato, meglio prendere tempo, mettendo in mora Manenti e dimostrandogli che ha tutti contro, per indurlo a seguire la strada dell’autofallimento «modello Bari». Deve portare subito i libri in tribunale, avviando un «default pilotato» con il curatore nominato dal giudice che conclude il campionato, fa i conti ed entro giugno vende all’asta quel che resta del Parma, ovvero il titolo sportivo. Obiettivo: non scivolare tra i dilettanti, ripulire la società di 150 milioni di vecchi passivi e aprire la porta a un cavaliere bianco (si parla di Zanetti, patron Segafredo, ma Pizzarotti s’è già rivolto agli industriali di Parma) che si accolli solo i debiti sportivi di questa stagione e ricominci dalla serie B. Un’operazione da 10-20 milioni.

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GIGI GARANZINI, LA STAMPA 21/2 -
È possibile, anzi è assai probabile che il Parma abbia chiuso domenica scorsa all’Olimpico la sua lunga avventura in serie A. Con grande dignità, la stessa che gli ha permesso di attraversare questa stagione tragicomica in cui si è misurata una volta di più la differenza tra gli attori e i pupari. Tra chi il calcio lo suda e chi sul calcio ci lucra, senza pudore e senza controllo. Quando, nello scorso mese di maggio, la società aveva dovuto rinunciare all’Europa League per un debito Irpef di – soli - 300mila euro, il puzzo di bruciato era evidentemente arrivato sino a Nyon. Ma senza transitare per Milano, dove la Lega di Beretta non aveva fatto una piega. Lo stesso Beretta, d’altra parte, di cui Lotito ha recentemente certificato il peso specifico. Zero. Facile adesso prendersela con l’improbabile Manenti. Ma il vero impresentabile è Ghirardi, che dal liquidatore della Parmalat aveva ricevuto una società ripulita dai debiti: e l’ha ridotta in condizioni tali da costringere alla fuga persino gli ultimi avventurieri.
Ora la Figc si sta tardivamente attivando per salvare il salvabile in materia di regolarità del campionato: ma il legittimo «mi scappa da ridere» di capitan Lucarelli anticipa che per la prima volta nella storia della serie A una società non riuscirà a concluderlo causa fallimento. Un altro fiore all’occhiello per il trio-Lescano che governa il movimento, Tavecchio-Lotito-Beretta. Un’altra apertura di credito nei confronti di un’Europa che per le rette parallele di Galliani sogghigna, ma per i troppi neri in Primavera del profeta Arrigo non riesce a fare a meno d’indignarsi.

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GIUSEPPE SALVAGGIULO, LA STAMPA 20/2 -
Si potrebbe dire che il Parma Calcio è come la Grecia, ma sarebbe sbagliato. È peggio. Non è un’iperbole, quando cambi sei presidenti e tre proprietari in due mesi, hai un debito cresciuto del 1200% in sette anni e pari a quattro volte il fatturato (ad Atene in proporzione meno della metà: dilettanti); quando la Procura chiede il fallimento per 16 milioni di tasse non versate, ti pignorano la palestra e ti sequestrano i pulmini, costringendo le squadre giovanili ad andare a giocare con l’auto dei papà; quando non paghi gli stipendi da almeno sette mesi, non sai come prenotare l’hotel per la prossima trasferta e non hai cinquemila euro per gli steward di domenica (forse si gioca a porte chiuse, con inevitabile class action degli abbonati).
A questo siamo, nella città che meglio di ogni altra ha recitato la narrazione della deriva italiana nel ventennio delle bolle di sapone. Dieci anni fa la Parmalat, quattro anni fa il Comune, ora il Parma Calcio: il fallimento è ormai una categoria metastorica.
Dall’era Tanzi solo guai
L’epopea del capitalismo familiare che si fa multinazionale, il cavalier Tanzi che porta una piccola squadra di provincia alla gloria europea. Poi l’overdose finanziaria, i bond truccati, i risparmiatori raggirati. La galera. E in politica, stesso copione: un modello di governo tutto lustrini e grandi opere, la perversione di decine di società partecipate dal Comune per nascondere 600 milioni di debiti. E ancora arresti. Non restava che il calcio, con la lenta riconquista dell’Europa. Anche quella, si è scoperto, alimentata da artifici contabili su cui la Procura ha aperto un’inchiesta. A questo siamo, alla storia che si ripete diabolica, se è vero che mentre la Procura depositava l’istanza di fallimento della squadra del 2015, il tribunale fissava l’udienza preliminare del processo per il Parma di Tanzi, con undici calciatori imputati.
Mancano venti milioni
Tutto è come parte di un’unica sceneggiatura. Fausto Tonna, il ragioniere di Tanzi che taroccava le carte. Pietro Vignali, il sindaco berlusconiano che sognava una metropolitana da 24 milioni di passeggeri in una città di 180 mila abitanti. E i personaggi in cerca d’autore – il pingue Ghirardi, l’ineffabile amministratore Leonardi, l’enigmatico petroliere albanese Taci e i suoi sodali, dal gioielliere lodigiano Doca al rampante Kodra – che negli ultimi due mesi si sono accomodati al capezzale del Parma Calcio. Fino all’ultimo patron, Giampietro Manenti, che vive in una modesta casa a Limbiate nell’hinterland milanese, ha una società di consulenza in Slovenia con 7500 euro di capitale sociale e dovrebbe trovare in qualche giorno una ventina di milioni per garantire la regolarità del campionato. Quando gli è stato chiesto se fosse partito il primo bonifico, ha risposto: «Ha una domanda di riserva?». Ieri ai giocatori superstiti (e senza stipendio dall’estate scorsa) ha proposto di pazientare ancora un giorno. Il centrocampista Galloppa nemmeno è rimasto a sentirlo. A chi gli diceva che gli steward non vogliono più lavorare gratis (non vedono soldi da ottobre), Manenti ha risposto come se si fosse fulminata una lampadina: «Pazienza, ne troveremo altri».
L’intervento della Figc
In Comune assistono al melodramma «da spettatori sgomenti», parole dell’assessore allo sport Marani. Anche il Comune è tra i creditori, visto che il Parma dal 2011 non paga il canone per l’uso dello stadio Tardini (154 mila euro annui) e per questo è partito un decreto ingiuntivo. Ma da ieri sera il sindaco Pizzarotti – prima di incontrare i tifosi, è stato convocato a Roma da Tavecchio (Federcalcio) e Beretta (Lega) – non è più solo spettatore. La Federcalcio ha chiesto «soluzioni di emergenza» per evitare «in ogni modo» che il Parma non giochi. E ha implorato i calciatori di evitare azioni giudiziarie. Oggi arriva a Parma un emissario di Tavecchio. Una dignitosa fine di campionato; poi si cercherà un proprietario vero, possibilmente con un capitale.
Giuseppe Salvaggiulo

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MARIO SCONCERTI, CORRIERE DELLA SERA 18/2 -
C’è un problema nel calcio italiano che negli altri Paesi hanno risolto grazie a sceicchi e petrolieri: da noi il calcio ha smesso di essere il divertimento degli imprenditori. Manca chi lo finanzia. E chi lo fa ancora, insiste su una grande attenzione al bilancio. Ormai tutto il movimento si regge sui diritti televisivi e sugli sponsor, siamo passati con grande fretta dal mecenatismo più entusiasta (pensate a Tanzi, Cecchi Gori, Cragnotti, gli stessi Moratti e Berlusconi giovani) alla ricerca del guadagno.
Si è rovesciato il mondo, non potevano non rovesciarsi anche i risultati. Non siamo stati mai più bravi degli altri, non abbiamo mai avuto un modello da esportare. Spendevamo semplicemente tanti soldi in più, sceglievamo i giocatori migliori. Poi sono arrivati altri ricchi che hanno alzato dieci volte la posta e a noi non è rimasto che lasciare il tavolo. Sono fallite un centinaio di società professionistiche quasi nel disinteresse generale perché il nucleo del sentimento resisteva, le grandi società non erano toccate.
Ora Milano ha ceduto l’Inter e Berlusconi pensa inevitabilmente a cedere il Milan. Il Bologna è di un canadese, la Roma di un americano. Senza Tanzi, Parma si accorge che la serie A è un lusso.
Resta la domanda iniziale: perché oggi gli imprenditori non mettono più soldi nel calcio? Perché detestano l’attenzione che il calcio porta, la selezione avviene nel silenzio come i migliori affari. Perché i costi del calcio, per chi vuole provare a vincere, sono sempre più alti, perché gli stipendi dei calciatori mangiano tutto e il resto del business è una scommessa: chi arriva secondo ha speso quanto chi è arrivato primo, ma ha perso tutto. Perché il calcio è diventato un problema sociale, produce incidenti, rancori, malavita, difficile venderlo come un prodotto buono. Perché anche in un momento in cui tutti capiamo l’importanza dei soldi, non c’è pubblico che abbia coscienza dello sforzo economico di un presidente. Deve sempre spendere di più.
Il Milan ha 256 milioni di debiti e una gestione quasi in pareggio: come può recuperare? L’Inter non sta meglio, per la prima volta è stata data come garanzia alle banche per lo spostamento del suo debito. Manca dovunque chi abbia voglia di metterci i soldi. Ma la domanda nuova è: in cambio di cosa?

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GIUSEPPE DE BELLIS, IL GIORNALE 21/2 -
Siamo alle soglie di un campionato falsato. Non per scommesse, non per partite truccate. Per crisi. Parma-Udinese di domani non si gioca, non ci sono abbastanza soldi per garantire gli standard minimi di sicurezza dentro lo stadio. Non si parla di soldi ai giocatori, quello non importa a nessuno perché i calciatori sono considerati troppo ricchi e troppo privilegiati per poter pretendere di essere pagati. Si tratta del denaro per le ambulanze, per gli steward, per la pulizia e il controllo dello stadio Tardini. Quel che resta di un club fallito sotto gli occhi (consapevoli) di tutti non garantisce soldi sufficienti per tutto questo, il prefetto dice che si può giocare solo a porte chiuse, la Figc rinvia la partita. A quando? Boh. Data da destinarsi.
È l’inizio della fine e forse anche di qualcosa di più. Perché il Parma fallito rischia di essere estromesso dal campionato: nella storia del calcio italiano è accaduto due sole volte e mai in serie A. Nel 1933 il Monfalcone si ritirò, per motivi finanziari, a metà stagione. E nel 1943 il Palermo non potè disputare le ultime quattro partite e si ritirò: erano sbarcati gli alleati anglo-americani.
Alla serie A può succedere adesso, nel 2015, con il calcio inondato dei milioni dei diritti tv. Sarebbe qualcosa di molto simile a un disastro: il regolamento dice che se una squadra si dovesse ritirare dopo l’inizio del girone di ritorno, tutte le partite successive sarebbero da considerare nulle, ovvero ci sarebbe la vittoria a tavolino di ciascun avversario. Le partite precedenti, invece, no. Ecco perché sarebbe un campionato falsato. Esempio: che cosa direbbe la Roma che ha pareggiato con il Parma? Griderebbe allo scandalo e per una volta con qualche ragione.
Il calcio italiano è alla frutta. La decisione di non giocare Parma-Udinese può essere il punto di non ritorno: Lega, Federazione, altri club erano a conoscenza della situazione del club parmigiano da tempo, quantomeno dall’esclusione del Parma dalla Europa League per inadempienze finanziarie. Lasciare che la situazione arrivasse dove è arrivata è una responsabilità grave e collettiva. Che cosa dovrebbero fare Sky e Mediaset che per quelle partite del Parma hanno pagato un mucchio di soldi?
Le responsabilità qui sono molteplici e si sovrappongono. Formalmente il Parma è stato acquistato da un signore che dice di avere i soldi: dovrebbe pagare gli stipendi dei calciatori, sostiene anche di averlo fatto ma quando i giocatori sono andati in banca a controllare, hanno scoperto che il codice del bonifico era sbagliato, oppure falso. Una storia da commedia, se non fosse che economicamente stiamo parlando di una tragedia. Al Parma e a ciò che ne rimane oggi non fa più credito neanche la farmacia per acquistare i medicinali per i giocatori e il medico è rimasto senza auto, pignorata dall’ufficiale giudiziario.
La domanda è: come ha fatto il calcio a non vedere? E siccome non è vero che non vedesse, le domande che derivano sono altre. Perché il Parma è stato tenuto in vita nonostante fosse tecnicamente morto? Perché si è aspettato che si arrivasse alla possibile messa in mora da parte dei giocatori? Non si può rimanere senza risposte. Ci lamentiamo che il calcio italiano non abbia più campioni, ma forse prima dovremmo pensare ad assicurarci che le società siano quantomeno quasi sane. Invece abbiamo club che se trattati da aziende normali sarebbero a decine con i libri in tribunale. Ai tifosi, agli appassionati tutto non importa fino a quando questo non rischia di cambiare le regole del gioco. Ora sta accadendo: se non si trova una soluzione e il Parma si ritira, il campionato di Serie A sarà oggettivamente falsato. E non si provi a dire «il regolamento ecc.». Quella norma che parla di questa possibilità è stata scritta nella sciocca certezza che non sarebbe mai accaduto. Invece sta succedendo. E questo scatenerà polemiche infinite e il caos totale. Solo che a quel punto nessuno provi a dire che è colpa dei tifosi. Perché loro sarebbero, e sono, le vittime.

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FABRIZIO BIASIN, LIBERO 21/2 -
Cari lettori attenti alle sorti del Parma moribondo, vi sembrerà strano, curioso, farsesco, ma neanche ieri sono arrivati i 50 milioni promessi da patron Manenti. Incredibile, nessuno dal Paese dei Balocchi ha fatto pervenire l’assegnone e, pensa te, i bonifici promessi da giorni e giorni e giorni si sono rivelati farlocchi. Ci hanno pensato gli stessi giocatori gialloblu a provvedere a una verifica. Sapete come hanno fatto? Sono andati in banca. La stessa cosa poteva farla qualche capoccione del Palazzo pallonaro ma evidentemente lorsignori erano troppo impegnati a questionare dei Lotito e di altre faccende certamente più importanti. Nel frattempo il Parma è morto. Direte «No, è ancora vivo! Respira!». No, rispondiamo noi, è morto per «eccesso di indifferenza». Ieri la Figc sorpresa dal fatto che le casse del club martoriato dalla gestione Ghirardi siano stranamente vuote, ha fatto sapere che per ragioni di sicurezza la partita in programma domani è stata spostata a data da destinarsi. In realtà chi di dovere ha provato a far disputare la gara a porte chiuse, ma Prefettura e Assocalciatori si sono opposte: non ci sono i dindi per gli steward, soprattutto non esiste garanzia che i tifosi dei Ducali continuino a portare pazienza così come hanno fatto fino ad ora. La stessa cosa dicasi per i giocatori, arcistufi di ascoltare il patron che dice «abbiate fede, il bonifico arriverà» e si ricordano che da bambini quando la nonna dava la mancia semplicemente apriva il portafogli e tirava fuori la centomila. Poche chiacchiere, tanti fatti. Con Manenti, al momento, i fatti sono un optional. Ieri Donadoni - giustamente esasperato - ha annullato l’allenamento, ché tanto sarebbe stato ridicolo far finta che il campionato dei due volte vincitori della Copa Uefa abbia ancora senso. La situazione è chiara: il club è a un passo dal fallimento (udienza in programma il prossimo 19 marzo), il presidente va avanti a promettere (del resto il reato di «reiterata promessa» ancora non esiste), la Figc guarda da un’altra parte, la Lega fa finta di niente, nessuno prende una decisone ufficiale per dare un taglio a una tragicommedia che va oltre le questioni legate alla malagestione e sconfina nel rispetto per una città devastata nell’orgoglio. Ne va, tra l’altro, della credibilità del calcio tricolore, costretto oggi e nel prossimo futuro a trovare soluzioni di sorta per dare sostanza a un campionato a un passo dal risultare falsato e che rischia di terminare con 15 partite decise dal 3-0 a tavolino e con un club che poteva «semplicemente» fallire e, invece, viene quotidianamente umiliato dai dispensatori di illusioni. Qualche giorno fa il ministro Delrio è intervenuto per mettere una pezza alla questione Lotito, ora faccia qualcosa per Parma e per «il Parma». Come dicono i tifosi: «L’amore va oltre la categoria».

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MARCELLO DI DIO, IL GIORNALE 19/2 -
I campanelli d’allarme erano suonati e anche forti. Una società non piomba in uno stato d’insolvenza dall’oggi al domani e nel mondo del pallone se un club rischia il fallimento, come fa a iscriversi a un campionato, per di più quello di serie A? Ecco che il caso Parma diventa la cartina tornasole delle incapacità del calcio italiano: chi deve controllare o non lo fa o lo fa male, se è vero che il club emiliano già più di un anno fa poteva essere «bacchettato» per strane e folli operazioni di mercato, come la compravendita in ogni sessione di centinaia di giocatori senza alcun fine sportivo e poi dislocati in varie squadre dell’ex Jugoslavia. I media stranieri parlavano di «mercato degli schiavi», in Italia si è incensato il «meccanismo scientifico» di tali operazioni.
Ma c’è di più: qualcuno è andato a spulciare il bilancio riferito alla stagione 2012-13, scoprendo che la liquidità che avrebbe dovuto essere prodotta e usata in quella attuale sarebbe già stata utilizzata più di un anno e mezzo prima, con dettagli di alcuni anticipi di denaro già incassati tra diritti tv e campagna di trasferimento. E nonostante questo, i debiti del Parma sono comunque aumentati.
In Italia esiste un organismo della Federcalcio incaricato dei controlli, la Co.Vi.Soc. Tale organismo ha accesso a diversi documenti che attestano la situazione finanziaria del club, tra cui il progetto di bilancio o il budget su base trimestrale o ancora il trimestrale prospetto di calcolo dell’indicatore R/I (ricavi/indebitamento). Nè la Figc nè la Lega calcio hanno svolto indagini, fatto dichiarazioni o richieste di chiarimenti al club ducale sulle strane operazioni di mercato, sulle cifre del passaggio di proprietà o sulle garanzie delle persone che hanno acquisito il club.
Gli inteventi della Co.Vi.Soc., forse gli unici che può compiere (questo è il sospetto), sono stati legati all’esclusione dell’Europa League, recependo le direttive, per il mancato pagamento di 300mila euro di contributi Irpef; ai deferimenti di novembre – che hanno portato al punto di penalizzazione – e dello scorso 13 febbraio, con il rischio concreto di un -5. Il club non paga gli stipendi (a un centinaio di dipendenti) da otto mesi e ha un debito di quasi 100 milioni di euro. All’estero una situazione del genere non sarebbe tollerata: c’è l’esempio del Cluj, uno dei club più prestigiosi in Romania, penalizzato di 24 punti per un debito di 20 milioni con il fisco.
A Parma era ancora aperta la ferita del 2004 quando la squadra dei miracoli sportivi e dei grandi ingaggi costruita da Calisto Tanzi venne travolta dall’onda del crac Parmalat. L’amministrazione straordinaria di Enrico Bondi salvò il club dal fallimento e dopo tre stagioni di purgatorio, l’arrivo carico di attese di Tommaso Ghirardi, che nonostante una retrocessione riesce a risollevarsi. Ora che i soldi di Ghirardi sono finiti, quelli di Taci mai arrivati e quelli di Manenti che forse mai arriveranno, nonostante gli annunci di presunti bonifici partiti dalla Slovenia, il rischio del fallimento è più che mai reale, dopo che la Procura ha confermato la richiesta.
Il 19 marzo è la data x, ed entro quella data il Parma dovrà dimostrare di essere solvente e per dimostrarlo non potrà che pagare intanto tutti quanti i calciatori (che continuano ad allenarsi con professionalità al centro sportivo di Collecchio) e soprattutto le pendenze di carattere fiscale. E mentre Ghirardi continua a essere vittima di insulti e minacce (l’ultimo episodio le scritte offensive sui muri esterni della sua villa di Carpenedolo) e il dg crociato Leonardi è stato ricoverato per la seconda volta a causa di un malore (era già successo il 26 gennaio scorso), la serie A si mostra per l’ennesima volta un torneo in preoccupante crisi di credibilità.

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