Massimo Rebotti, Corriere della Sera 21/2/2015, 21 febbraio 2015
ROMANO
Se c’è un «manifesto programmatico» da stendere, c’è Andrea Romano. Storico, ghost writer, saggista e (dal 2013) deputato, ha attraversato diverse vite: con D’Alema nella fondazione Italianieuropei, con Montezemolo a Italia Futura, con Monti in Scelta civica e ora nel Pd, pronto a scrivere (con altri) le «tavole» della nuova corrente renziana. «Ma in fondo ho sempre detto la stessa cosa, quasi un copia e incolla» spiega a chi trova rocambolesco il percorso. Per Romano, che si definisce un liberale di sinistra, il filo conduttore è stato cercare casa dove si prometteva di combattere i conservatorismi. Ma poi la «svolta liberale» di D’Alema «è durata poco», quella di Montezemolo è finita in Scelta civica che a sua volta è fallita dentro al «falso mito della società civile», quell’essere «terzi», sostiene adesso. E ora Renzi, il Pd, e l’ennesimo testo da scrivere. Non più nei luoghi protetti delle fondazioni, ma sul terreno instabile della politica, che di parole ha sempre bisogno anche se poi le disattende. «Si chiama wishful thinking», sorride, e nel suo caso significa aver voluto vedere «liberali di sinistra» anche dove non c’erano. Con Renzi però la sintonia è antica. Nel 2009 in un articolo per il Riformista scriveva: «Oggi ho visto il futuro leader del Pd».