Amelia Beltramini, Focus 3/2015, 20 febbraio 2015
Ecco a cosa serve lo sbadiglio– Nei congressi è un classico: il relatore parla dal podio, e in platea parte uno sbadiglio, poi due, poi dieci
Ecco a cosa serve lo sbadiglio– Nei congressi è un classico: il relatore parla dal podio, e in platea parte uno sbadiglio, poi due, poi dieci. Alla fine sbadigliano tutti. Non si offenda l’oratore pensando di avere annoiato il pubblico. Sarebbe un limite ritenere che l’atto di chiudere gli occhi e spalancare la bocca aspirando a fondo sia soltanto un segnale di insofferenza. Le ipotesi alternative infatti non mancano: il primo sbadiglio può essere dovuto a una malattia, come epilessia, Parkinson e sclerosi multipla, oppure a un farmaco (per esempio gli antidepressivi), o alla temperatura troppo elevata della stanza che ha surriscaldato i cervelli, alla fame, a una precedente notte insonne. Il seguito è contagio: basta vedere un altro sbadigliare, o sentir parlare di sbadigli... A questo punto alcuni dei nostri lettori, circa il 60%, potrebbero già aver cominciato a sbadigliare. «E infatti», conferma Steven Platek, docente di neuroscienze al Georgia Gwinnet College, «non è necessario vedere qualcuno sbadigliare per imitarlo: basta pensare allo sbadiglio, parlarne, leggerne o guardare foto di sbadiglianti». CONTAGIOSO O SPONTANEO? Ma andiamo per gradi, perché sullo sbadiglio abbiamo molte cose da raccontare: non a caso nel database di PubMed, il gotha della letteratura scientifica, il vocabolo (in inglese yawn) compare nel titolo di 700 pubblicazioni scientifiche, e tutta questa ricerca ha messo alcuni punti fermi. Per prima cosa che sbadigliano tutti, mammiferi, rettili e uccelli, ma, tanto per complicare le cose fin dall’inizio, sbadiglio spontaneo e sbadiglio contagioso sono due categorie assai diverse. Non che siano a prima vista riconoscibili, però nei milioni di anni dell’evoluzione sono comparsi in tempi diversi e sono legati a diversi contesti. Lo sbadiglio spontaneo è il più antico: si ritrova in tutte le classi di vertebrati. E il risultato di un meccanismo fisiologico di ricerca dell’equilibrio dell’organismo (omeostasi) rispetto a mutate condizioni ambientali e segue l’alternarsi del giorno e della notte, il cosiddetto ritmo circadiano. Fra gli animali sbadigliano più i maschi delle femmine, ma non tra gli esseri umani, che iniziano a fare sbadigli spontanei tre mesi dopo il concepimento, come ha accertato per via ecografica un gruppo di ricercatori dell’Università di Durham (Gb). La frequenza degli sbadigli nel corso della gravidanza si riduce, e da ciò i ricercatori hanno ipotizzato che l’atto serva allo sviluppo del sistema nervoso e cerebrale del bambino. Eppure anche dopo la nascita, e fino alla quarta e quinta età, quando la scusa dello sviluppo cerebrale non c’è più, si continua a sbadigliare... Il dizionario definisce lo sbadiglio un “atto involontario, accessorio della respirazione”. Ed è vero. «Non si sbadiglia a comando, così come non ci si può impedire di sbadigliare; si esegue un programma biologico», spiega Robert Provine, neuroscienziato della University of Maryland. Ma sul resto la definizione è errata, perché gli psicologi già nel 1987 avevano studiato la frequenza degli sbadigli negli studenti del college e contemporaneamente la quantità di ossigeno e di anidride carbonica presente nel loro sangue e nel liquor cerebrale, senza trovare correlazione fra le due variabili. Semplicemente, la definizione del dizionario, a distanza di 30 anni, non ha ancora preso atto dei progressi della scienza. Ma allora perché si sbadiglia? PENTOLONI IN EBOLLIZIONE. Nel 400 a.C. Ippocrate aveva ipotizzato che lo sbadiglio fosse in qualche modo correlato con le «arie cattive» che si accumulavano nel corpo «come grandi quantità di vapore che scappano dai pentoloni quando l’acqua bolle». E la sua ipotesi, una sorta di anticipazione della termoregolazione, ha oggi molti sostenitori. Gordon Gallup, ricercatore americano che ha impiegato la vita a studiare lo sbadiglio, sostiene che è un meccanismo di raffreddamento del corpo. In effetti, come diceva Ippocrate, spalancare le fauci fa aumentare la circolazione sanguigna nel cranio portando sangue fresco e facendo uscire quello caldo. Con quale meccanismo? Nell’arco di 4-7 secondi (tanto dura mediamente) lo sbadiglio si srotola in tre fasi distinte. Si apre in modo abnorme la mascella e contemporaneamente si verifica una profonda inspirazione; segue un breve periodo di acme in apnea con picco della contrazione muscolare; e infine la mascella si chiude passivamente e si verifica una breve espirazione. Ebbene, nella prima fase arriva nel naso e nella bocca un’ondata di aria fresca che per convezione raffredda le arterie del cranio. Questo processo dissipa calore con lo stesso meccanismo con cui il radiatore dell’auto raffredda il motore. STAGIONALE. Una serie di esperimenti a basse temperature (ghiaccio applicato sulla fronte o tuffi in piscine gelate) ha dimostrato che il freddo riduce il numero di sbadigli. E se ci fosse allora una correlazione anche fra lo sbadigliare e la stagione? E stata l’ipotesi di un gruppo di ricercatori di Vienna e Tucson (Arizona), che per verificarla ha contato il numero di sbadigli nei pedoni: d’estate sbadigliava il 41,7% contro il 18,3% d’inverno. L’efficacia del “radiatore” del cervello non è di poco conto. Nell’uomo la temperatura del cervello è intorno a 37 °C con fluttuazioni circadiane di mezzo grado. E l’effetto rinfrescante di uno sbadiglio riduce la temperatura della corteccia frontale del cervello di 0,36 °C. Se poi uno sbadiglio solo non basta, a distanza di poco più di un minuto (in media 68,3 secondi) ne subentra un altro, e un altro ancora finché il surriscaldamento non cessa. Una raffica di sbadigli può ridurre la temperatura cerebrale di 1,6 °C. Altri ricercatori hanno notato che lo sbadiglio spontaneo compare con particolare frequenza in alcune malattie: sclerosi multipla, mal di testa, emicrania, epilessia, stress e ansia, schizofrenia. «Tutte patologie che sono state correlate a problemi di termoregolazione», nota Gallup. E a chi fa notare che gli sbadigli aumentano la sera, con la sonnolenza, ribatte che proprio in quelle ore la temperatura cerebrale raggiunge il massimo. Lo sbadiglio “da sonnolenza” potrebbe avere quindi molto in comune con lo sbadiglio da surriscaldamento cerebrale. Fine della storia? Macché. Ronald Baenninger, studioso di Filadelfia, ha ipotizzato che quando l’ambiente offre pochi stimoli lo sbadiglio serva a mantenere e rafforzare il livello di attenzione. Le ricerche hanno del resto confermato che allo sbadiglio da noia segue una rinnovata concentrazione, come uno svegliarsi dal sopore. Qualcosa di simile avverrebbe anche nel caso degli sbadigli degli atleti prima della gara, degli scienziati prima di una relazione, dei concertisti prima dell’esecuzione, dei toreri in attesa della corrida. Qui non si tratta ovviamente di noia o di sonnolenza, ma, secondo Provine, di segnali inviati dal cervello al corpo per indurre il passaggio da uno stadio di relativa quiete a uno di più completa attenzione. RESIDUO FOSSILE. Tutt’altra storia invece è lo sbadiglio contagioso. E infatti suscitato dalla semplice rilevazione dello sbadiglio in altri, e non è presente dalla nascita (neonati o infanti non imitano lo sbadiglio della madre fino a 5 anni) e soprattutto si sviluppa con altri comportamenti sociali, come l’empatia. Alcuni ricercatori ipotizzano perciò che abbia un significato sociale. Molti studi dimostrano in effetti che si sbadiglia con parenti più che con gli amici, con gli amici più che con i conoscenti, mentre non si sbadiglia affatto con i nemici. Alcuni studiosi hanno anche notato che chi soffre di autismo e di schizofrenia ha sì un aumento dello sbadiglio spontaneo, ma non ha (o ha meno) sbadigli contagiosi. Altri ribattono che con l’avanzare dell’età si è meno sensibili allo sbadiglio altrui, ma non per questo meno empatici. Alla fine resta l’ipotesi che in fondo lo sbadiglio non sia altro che un residuo di quando l’uomo viveva in tribù, un segnale di socialità molto primitivo che, senza parole, comunica agli altri membri del gruppo stanchezza, noia, ansia, fame. Come dice Provine, un residuo fossile del nostro passato.