Loretta Napoleoni, il venerdì 20/2/2015, 20 febbraio 2015
SE IL RE SAUDITA COMPRA LA PACE INTERNA IN CONTANTI
Come vuole la tradizione, l’ascesa al trono del nuovo re saudita Salam è stata accompagnata da una pioggia di doni. 32 miliardi di dollari distribuiti alla popolazione. Un’usanza che ha consentito alla casa Saud di evitare la contestazione della primavera araba nel 2011. Il vecchio re, Abdullah, morto poche settimane fa, all’indomani della caduta del governo tunisino ed egiziano annunciò ai sudditi un pacco regalo di ben 130 miliardi di dollari. Questo il prezzo della pace interna durante gli ultimi anni del suo regno.
Sebbene l’Arabia Saudita abbia 730 miliardi di dollari di riserve, equivalente a circa tre anni di importazioni, e non abbia debiti, l’acquisto del consenso popolare con mazzette da cento dollari non piace agli analisti finanziari, né tantomeno alle agenzie di certificazione. Questi guardano alla struttura dell’economia che non è certo delle migliori, data la dipendenza dall’industria energetica e il ruolo di primo piano dello Stato. Il 90 per cento delle entrate provengono dalla vendita di gas e petrolio, e l’85 per cento dalle esportazioni. Il 60 per cento degli investimenti è statale e il settore privato è in mano agii stranieri, con l’85 per cento della forza lavoro: i sauditi preferiscono il posto fisso nel pubblico.
Non sorprende quindi che con il crollo del prezzo del petrolio e le mancate riforme per ridurre l’ingerenza dello Stato nell’economia, all’inizio di febbraio la Standard & Poor’s abbia tagliato il rating dell’Arabia Saudita e lo stesso Fondo Monetario abbia messo in guardia il governo sulle conseguenze negative di un’economia non liberalizzata, Una cosa è certa, non sarà possibile per il nuovo re risolvere questi problemi con l’ennesima doccia di contanti.