Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 20/2/2015, 20 febbraio 2015
PERCHÉ L’EUROPA STA SCRICCHIOLANDO
[Intervista a Roberto Giardina] –
La sua Guida per amare i Tedeschi, uscita 21 anni fa per Rusconi, ci fece capire un meglio i signori del marco. Oggi, e con tanti i libri in mezzo, Roberto Giardina, corrispondente del Quotidiano nazionale dal Nord Europa e firma apprezzatissima di ItaliaOggi, ci invita a essere un po’ più europei. O almeno a provarci. Romano di nascita ma cresciuto palermitano, classe 1940, Giardina ha infatti pubblicato per Imprimatur, il libro: Per un’Europa libera e unita, un saggio di 256 pagine che vanno via come un romanzo, non perché il contenuto sia leggero, tutt’altro, ma perché Giardina, con una scrittura felicissima, ripercorre la riunificazione dal basso, pescando dalle cronache e proponendo fatti e situazioni di cui ci siamo forse dimenticati.
Domanda. Giardina, parlare di Europa oggi, il titolo è l’attacco del Manifesto di Ventotene, è un po’ parlare della Germania, perché molti annettono a frau Angela Merkel un ruolo di dominus.
Risposta. Una convinzione talvolta errata. Certo l’antieuropeismo riveste spesso in panni antigermanici, come si sta vedendo in questi giorni di trattativa con la Grecia.
D. Allude alle vignette del quotidiano di Syriza, partito di Alexis Tsipras, che mostra il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble vestito da ufficiali nazista?
R. Starei su fatti più concreti, come la richiesta, di Atene a Berlino di pagare 70 anni dopo i danni di guerra.
D. La guerra, anzi le guerre europee del secolo scorso, nel suo libro sono a lungo affrontate.
R. Sì perché l’Europa nasce dietro anche quel tragico impulso e anche questo troppo spesso lo dimentichiamo. Ma per tornare ai danni di guerra, bisogna ricordare che la Germania ne ha pagati pochi, è vero, solo il 5%, ma perché avvenne per decisione unanime nel 1953. Dovremmo pagarne anche noi Italiani, visto che anche noi volevamo «spezzare le reni» ai Greci. E poi mi permetta...
D. Prego...
R. I Tedeschi hanno pagato non solo coi soldi...
D. E come?
R. Nessun Paese sconfitto è mai stato diviso per oltre mezzo secolo. Senza dimenticare che i sovietici, durante l’occupazione, han porto via impianti industriali smontandoli pezzo a pezzo. Hanno sbullonato i binari dei treni.
D. E pagarono anche i termini territoriali: se non ricordo male i Polacchi si presero una bella parte di Pomerania.
R. Massì, Stettino è una città tedesca e ci furono milioni di tedeschi, circa 14, che dovettero emigrare a Ovest.
D. Tra l’altro, come lei scrive, c’è un certamente tributo che l’Europa deva alla Germania, anzi alla lingua tedesca.
R. Sì, tutti i padri fondatori lo parlavano. Ovviamente il nostro Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer ma anche Robert Schuman, che era perfettamente bilingue, e Jean Monnet. Lo parlava persino Charles De Gaulle,
D. E questa, le confesso, è stata una sorpresa.
R. Sì perché il bisnonno proveniva da Stoccarda, anche se il generale preferiva non farne uso.
D. Bella la sua ricostruzione di un incontro fra il presidente francese e Adenauer, nella casa di campagna del primo.
R. E in quella occasione, pare che De Gaulle non abbia voluto usarla la lingua del nonno, come invece fece, anni dopo, con Willy Brandt. E per tornare ai fondatori, parlavano deutsch anche il belga Paul Henri Spaak e il nostro Altiero Spinelli, che sposò la berlinese Ursula Hirschmann.
D. Francia e Germania, che si sono fatte guerre per secoli, vollero fortemente l’Unione.
R. Non solo, De Gaulle si opponeva all’ingresso della Gran Bretagna con buone ragioni, diciamolo.
D. Ossia?
R. Perché ogni volta che i Britannici si avvicinavano all’Europa finivano inevitabilmente per fare gli interessi americani. Lei lo vede anche oggi, da come demonizzano la Merkel, col ricorso a quella stessa satira che dicevamo prima: la Cancelliera coi baffetti hitleriani o con l’elmo chiodato prussiano di Guglielmo.
D. Giardina, però l’antieuropeismo, almeno qui in Italia, è ai livelli di guardia. Perché?
R. Perché si guarda solo all’Europa della finanza e si dimenticano i passi fatti. Quello che cerco di dire nel libro.
D. Per esempio?
R. Per esempio, oggi, un giovane, dall’Italia, va a Berlino e si mette al lavorare lì. Prima era impossibile. Quando arrivai in Germania a fare il corrispondente mi obbligarono alla visita medica, oggi nessuno ti chiederebbe niente.
D. Si diceva che oggi, complice la crisi, guardiamo solo agli aspetti economici. Ce la pigliamo con l’euro.
R. Sì ma anche qui spesso con superficialità. Dimentichiamo che con l’euro, l’inflazione è sparita: era una tassa anche quella. Certo si vendeva qualche Fiat in più all’Estero ma non era facile. Ricordo che alla fine degli anni ’70, rientrando da Parigi, avendo anche un divorzio alle spalle e quindi alimenti da pagare, pur con un buono stipendio mi trovai in difficoltà. La lira perdeva valore continuamente.
D. Si obietta anche che la nostra non è un’unità politica vera, che l’Italia conta sempre meno rispetto all’asse Parigi-Berlino.
R. L’Italia sconta un certo disinteresse alle vicende europee. Eravamo nel nucleo duro dei fondatori poi, quando Silvio Berlusconi arrivò, e cominciò a dire di «stare con George Bush prima ancora di star a sentire quel che dice», insomma di stare Stati Uniti a prescindere...
D. Un atlantismo un po’ singolare in effetti.
R. Non sono mai stato andreottiano, però con Giulio Andreotti l’Italia aveva una politica estera che sapeva guardare a Bruxelles. Nessun governo, ha per esempio proseguito nel rapporto col Mediterraneo e coi Paesei arabi, presso i quali l’Italia era naturalmente candidata a essere interlocutore. Insomma, se abbiamo perso posizioni in Europa, è anche per colpa nostra.
D. Troviamo un difetto a questa Europa.
R. È ancora quello che scrissi in un tema sul Trattato di Roma al liceo, premiato proprio in un concorso sull’Unione.
D. E cioè?
R. Mi giocai il primo premio concludendo così: «Siamo uniti ma dobbiamo rimanere diversi». Una chiusa poco europeista ma che, invece, considero ancora vera: siamo molto diversi. Anche se questa multiculturalità che Bruxelles predica, rischia di fare dell’Unione una maionese impazzita.
D. Diamo per buona l’equazione Europa uguale Germania, che molti fanno seppure in negativo, e parliamo del Paese in cui lei vive.
R. Ecco, per esempio, la Germania non chiede a nessuno di assimiliarsi ma a tutti di integrarsi.
D. Spieghiamolo meglio...
R. Per esempio in Baviera lasciano costruire le moschee purché non tirino su i minareti che non si sposano col panorama locale. Mi pare un buon compromesso. Oppure non c’è alcun problema per le donne musulmane velate, ma alla giovane che aveva vinto il concorso da professoressa hanno imposto di toglierlo: «Lei è un funzionario dello Stato», hanno detto. Come pure alla ragazzina che non poteva fare nuoto.
D. Prego?
R. Sì in Germania il nuoto, a scuola, è obbligatorio ma un padre islamico non accettava la situazione di promiscuità per la figlia in piscina.
D. E gli hanno mandato la Polizei a casa?
R. No, ma il suo ricorso alla Corte costituzionale è stato bocciato.
D. Della Germania si contesta la durezza, con la Grecia per esempio.
R. Vede i Tedeschi sono stati spietati con loro stessi e lo sono anche con gli altri. Quando fecero l’unificazione applicarono subito l’economia di mercato e chiusero le fabbriche inefficienti: rimase sì e non il 10%. Milioni di persone, nell’Est, si ritrovarono disoccupate o prepensionate. Lei pensi a un 40enne che, nella Ddr, avesse avuto una posizione e si ritrovasse di colpo a piedi. Ricordo Helmut Kohl che andò a fare un comizio a Dresda.
D. Dicendo, cosa?
R. Che erano Tedeschi anche loro e che avrebbero avuto lo stesso tenore di vita. E poi aggiunse, «non appena possibile». Da siciliano capii subito. Ancora oggi gli stipendi e le pensioni all’Est sono inferiori del 10% ma hanno fatto infrastrutture, opere pubbliche, hanno ricostruito un’economia.
D. Un’Europa più tedesca che significherebbe, in politica?
R. Un rigore maggiore.
D. Eppure hanno le grandi coalizioni...
R. Sì, che da noi chiamiamo «inciuci», ma le assicuro che qui non funziona in quel modo. In quattro mesi hanno fatto un programma di governo, magari facendo trattative estenuanti su piccoli dettagli, ma poi marciando come treni. Da noi, come si siedono, si contendono RaiUno o RaiDue. Sarà pure una politica più grigia, di piccoli compromessi, ma...
D. Ma...
R. Ma più seria. Qui i liberali, nella passata coalizione, pur comprendendo di finire per essere fagocitati dalla Cdu, non si sono sognati di provocare la crisi di governo. E poi consideri questo dettaglio: a guidare il Paese c’è una donna, ex-comunista dell’Est. Come è un ex della Repubblica democratica il capo dello Stato.
D. Significa che il sistema è tutt’altro che bloccato. In Italia, dicono che i Tedeschi ce l’abbiano con noi, perché ci siamo arricchiti pagando poche tasse. E ora vogliono farcela scontare.
R. Esagerazioni, il revanchismo tedesco non esiste, casomai c’è una tendenza all’isolazionismo, a dire «si stava meglio col nostro supermarco». Derivante dal fatto che l’euro glielo ha imposto il resto d’Europa.
D. Edward Luttwak, che intervistai tempo addietro, diceva che la Germania ha protetto il proprio super-export grazie alla moneta unica: il marco avrebbe finito per rivalutarsi troppo e le esportazioni sarebbero cadute.
R. È vero. Ma la moneta è un po’ come il pallone di calcio, uno la tira dove vuole. I tedeschi oggi si sono convinti che senza stabilità non si vada da nessuna parte. Era una vecchia massima del cancelliere Helmut Schmidt, che mi fa venire un’altra differenza fra noi e loro.
D. Cioè?
R. Cioè che la Fiat, un tempo, per vendere, giocava sui prezzi e anche sulla svalutazione della lira, per vendere. Bene quando Schmidt era cancelliere, la Volkwagen, che era a partecipazione pubblica, andò a chiedere aiuto al governo.
D. E il cancelliere cosa rispose?
R. Fate modelli migliori. Oppure chiudete.
D. Cos’hanno i Tedeschi che noi non abbiamo. Quale lo spread vero?
R. Il patto sociale viene rispettato, ossia i cittadini pagano le tasse, perché sanno di ricevere servizi. Sono certi che nessuno cambierà loro le regole del gioco. L’aumento dell’età pensionabile, in Germania, l’hanno fatto così: da 65 a 67 anni, salendo di un mese all’anno per 20 anni. Vai prima? Perdi il 2% all’anno.
D. La gente paga davvero le tasse?
R. Sì, anche perché c’è controllo sociale: se un giorno io arrivassi a bordo di una Ferrari fiammante, due minuti dopo qualche vicino telefonerebbe all’agenzia delle entrate.
D. Qual è il personaggio tedesco più europeo di questo libro?
R. Egon Bahr, segretario e consigliere di Willy Brandt.
D. Che cosa fece?
R. Erano gli anni della Ostpolitik, e Bahr volò a Washington per informare Henry Kissinger.
D. E il segretario di Stato?
R. Gli disse che non era affatto contento di quello che sentiva. Sa che cosa rispose Bahr?
D. Me lo dica...
R. Segretario, sono venuto a informarla non a chiedere il suo parere.
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Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 20/2/2015