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 2015  febbraio 20 Venerdì calendario

NOVE MESI DI «FORMAZIONE» IN CARCERE. E AL BAGHDADI È DIVENTATO IL CALIFFO

Di Abu Bakr al-Baghdadi, lea­der dello Stato isla­mico, abbiamo una nuova foto. Risale al 2004, quando il futuro, auto-proclamato «Califfo» era cono­sciuto con il nome di Ibra­him Awwad al-Badri al-Samarrai. Barba lunga e ben curata, sguardo spae­sato, capelli corti, occhiali dalla mon­ta­tura metal­lica, tuta gialla: appare così nella foto che accom­pa­gna il dos­sier della sua reclu­sione nel car­cere mili­tare di Camp Bucca, nella pro­vin­cia ira­chena di Bas­sora, nel 2004.
Par­zial­mente declas­si­fi­cato, il dos­sier è stato reso pub­blico due giorni fa da alcuni media sta­tu­ni­tensi. L’uomo che oggi guida uno dei gruppi ter­ro­ri­stici più spie­tati del pia­neta, nel 2004 è un dete­nuto come molti altri.
Reli­gione, islam sun­nita. Con­di­zioni fisi­che, buone. Occu­pa­zione, lavoro ammi­ni­stra­tivo (segre­ta­rio). Luogo dell’arresto, Fal­luja. Peso, 165 lib­bre (74 kg circa). L’arresto avviene il 4 feb­braio del 2004. Il rila­scio, l’8 dicem­bre dello stesso anno. È que­sta la noti­zia che emerge dai docu­menti: al-Baghdadi è rima­sto in car­cere 9 mesi, molto meno di quanto rac­con­tato spesso dai media, che intorno gli hanno costruito miti e sto­rie spesso fasulle. Qual­che noti­zia in più, e più fon­data, si ottiene dalla let­tura di Isis. Inside the Army of Ter­ror, del ricer­ca­tore siriano Has­san Has­san e del gior­na­li­sta sta­tu­ni­tense Michael Weiss. La prima è che il futuro Califfo fu arre­stato quasi per sba­glio, come rac­conta ai due autori Hisham al-Hishami, un esperto di Isis, già con­su­lente del governo ira­cheno. Insieme a un amico, Abdul Wahed al-Semayyir, il «Califfo» era andato a tro­vare un cono­scente a Falluja.
L’obiettivo è al-Semayyir, ma l’intelligence ame­ri­cana fini­sce per arre­stare tutti e tre. All’epoca, al-Baghdadi ha matu­rato vaghe idee radi­cali, ma fino a poco tempo prima non era che un padre di fami­glia, con moglie e una figlia. Sfog­gia un dot­to­rato e un master in studi reli­giosi con­se­guiti all’università di Scienze isla­mi­che, nel quar­tiere Adha­miyah di Bagh­dad. Ai tempi dell’università pare fosse vicino ai Fra­telli musul­mani, in par­ti­co­lare a uno dei suoi lea­der locali, Moham­mad Har­dan, che aveva com­bat­tuto con i muja­hed­din in Afgha­ni­stan. Al-Baghdadi è casa e moschea.
Gli capita di gui­dare la pre­ghiera in una moschea di Tob­chi, quar­tiere di Bagh­dad dove sciiti e sun­niti con­vi­vono in pace. Evita i ser­moni e il pro­ta­go­ni­smo. Quando gli Usa inva­dono l’Iraq, il suo san­gue ancora non ribolle di odio. Nel 2003 dà vita a un gruppo isla­mi­sta, Jaysh Ahl al-Sunnah wa al-Jamaah (l’esercito del popolo della comu­nità sun­nita). Un anno dopo fini­sce nella vera pale­stra del jihad: Camp Bucca. All’inizio viene scam­biato per un dete­nuto modello.
Gli ammi­ni­stra­tori del car­cere cre­dono di poterne sfrut­tare l’autorevolezza in ambito reli­gioso per mediare i con­flitti interni. Gli per­met­tono di girare tra i vari bloc­chi. Ne appro­fitta per reclu­tare sol­dati, dif­fon­dere il suo verbo, ancora con­fuso. Nel 2004 viene rila­sciato. È un uomo diverso: più con­vinto della sua mis­sione e delle sue capa­cità spe­ri­men­tate sugli altri dete­nuti e sulle guar­die del car­cere. Gli ame­ri­cani capi­scono in ritardo che i mili­tanti isla­mi­sti usano le pri­gioni gestite dagli Usa in Iraq come vere e pro­prie «uni­ver­sità del jihad». I bar­buti si spin­gono a inviare degli infil­trati per il reclu­ta­mento interno, come ammette agli autori di Isis il gene­rale Doug Stone. Stone è l’uomo a cui nel 2007 viene asse­gnato il con­trollo sull’intero pro­gramma di deten­zione e inter­ro­ga­tori in Iraq.
Camp Bucca è «un posto fuori con­trollo», rico­no­sce il gene­rale, che intro­duce un pro­gramma di de-radicalizzazione e di divi­sione dei vari bloc­chi. Tra i gruppi jiha­di­sti, il più orga­niz­zato è quello dei «tak­firi», i mili­tanti con­vinti che il vero Islam sia solo quello da loro pra­ti­cato, e che tutti gli altri meri­tino la sco­mu­nica. E la morte. Si stima che a Camp Bucca ne siano pas­sati quasi 2.000. Molti di loro non lo sanno, ma il loro tak­fi­ri­smo pro­viene da un altro car­cere. È il mag­gio del 1955. In Egitto lo scrit­tore e peda­go­gi­sta Sayyd Qutb, padre dell’islamismo poli­tico con­tem­po­ra­neo, sconta una con­danna all’ergastolo, ridotta a 15 anni. È accu­sato di far parte dell’apparato segreto dei Fra­telli musul­mani, che il 26 otto­bre 1954 ave­vano ten­tato di far fuori il pre­si­dente Nas­ser. Sayyd Qutb sta male, ha due attac­chi di cuore. Un’emorragia polmonare.
Viene tra­sfe­rito nell’ospedale del car­cere. Alcuni Fra­telli musul­mani orga­niz­zano uno scio­pero. Si rifiu­tano di uscire dalle celle. Ven­gono tru­ci­dati: 23 morti, 46 feriti. Sayyd Qutb vede i corpi sfi­gu­rati. Met­ten­dosi al ser­vi­zio di Nas­ser e di uno Stato seco­la­riz­zato, pensa Qutb, i car­ce­rieri hanno negato Dio. È la sco­mu­nica, il tak­fir. Lo stesso che molti anni dopo avrebbe ali­men­tato le bru­tali gesta del «Califfo» al-Baghdadi.