Fausto Biloslavo, Panorama 18/2/2015, 18 febbraio 2015
IL CAOS LIBICO MILIZIA PER MILIZIA
La profezia del colonnello Muammar Gheddafi si sta avverando. Nelle ultime interviste nel marzo 2011, prima che le bombe della Nato gli piombassero sulla testa, aveva previsto tutto: «Se al posto di un governo stabile prendono il controllo queste bande legate a Bin Laden, gli africani si muoveranno in massa verso l’Europa. E il Mediterraneo diventerà un mare di caos». Poi aggiungeva: «La scelta è tra me o al Qaeda. Avrete Bin Laden alle porte: ci sarà una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo».
Oggi si calcola che i gruppi armati siano 1.500 e che contino, considerando anche il sud, almeno 100 mila uomini, anche se solo in parte con una preparazione militare. La Libia è divisa fra due Parlamenti e altrettanti governi, che si appoggiano alle milizie più forti. La comunità internazionale riconosce l’assemblea eletta dal voto dello scorso 25 giugno, che per motivi di sicurezza ha dovuto evacuare a Tobruk, nell’est del Paese vicino al confine egiziano. Il premier, Abdullah al Thani, ha invocato il 16 febbraio un intervento aereo occidentale contro le bandiere nere dello Stato islamico che sventolano in Libia. «Altrimenti questa minaccia si estenderà ai Paesi europei, in particolare all’Italia» prevede il capo del governo libico. Al Thani conta sulle baionette dell’ex generale Khalifa Haftar: era un uomo di Gheddafi, ma gli voltò le spalle e trovò asilo negli Usa. Al Bayda, sempre in Cirenaica, è il quartier generale dei circa 6 mila uomini dell’Esercito nazionale libico guidato da Haftar e appoggiato dall’aviazione egiziana.
A Tripoli, la capitale, governano invece gli islamisti del vecchio Parlamento eletto nel primo voto libero del 2012. Al timone del governo, ribattezzato di «salvezza nazionale», c’è Omar al Hassi, vicino ai Fratelli musulmani. L’esecutivo, appoggiato dietro le quinte da Qatar, Sudan e Turchia, sta in piedi grazie a Fajr Lybia (Alba libica), un cartello di milizie dominato dai 40 mila combattenti di Misurata, terza città del Paese.
Dalla scorsa estate, i miliziani di Alba libica hanno cacciato dalla capitale i rivali di Zintan. Il governo di Tripoli estende la sua influenza fino al confine con la Tunisia, grazie alle alleanze con le «katibe» (milizie) della costa, da dove partono le ondate di migranti verso l’Italia. I miliziani di Zintan (23 gruppi armati che si estendono sulle montagne di Nafusa, nel nordest della Libia) si sono schierati con il parlamento di Tobruk e tengono prigioniero Seif el Islam, figlio di Gheddafi.
I gruppi armati legati ad al Qaeda o all’Isis hanno radici soprattutto nell’est del Paese, ma si stanno espandendo. Bengasi, capitale della Cirenaica, dove nel 2012 venne ucciso l’ambasciatore americano Chris Stevens, è la culla di Ansar al Sharia. Il capo dei partigiani della dura legge del Corano, Mohammed al Zahawi, era stato il primo a dichiarare il Califfato lo scorso agosto. Agli inizi di febbraio è morto per le ferite riportate nei combattimenti con le truppe di Haftar, che ora stanno riconquistando Bengasi. Al Zahawi era un seguace di Osama bin Laden fin dai tempi del soggiorno dello sceicco del terrore in Sudan negli anni Novanta. A Bengasi (e non solo) operano anche i 12 battaglioni jiahdisti dei Martiri del 17 febbraio, data d’inizio della rivoluzione anti Gheddafi, e gli uomini dello Scudo libico bollati come terroristi, ma che hanno collaborato con i servizi italiani per la liberazione dei nostri ostaggi.
Le bandiere nere dello Stato islamico sventolano a Derna, ex provincia coloniale italiana, dove il 3 ottobre la Gioventù islamica della Shura locale ha annunciato l’adesione al califfato di Abu Bakr al Baghdadi. Lo scorso aprile 300 jihadisti libici sono tornati a Derna dopo aver combattuto nella brigata Al Battar, prima in Siria e poi in Iraq sotto gli stendardi del Califfo. Al Baghdadi ha inviato a Derna due plenipotenzari: Abu Nabil al Anbari, veterano del conflitto iracheno, e il predicatore Abu al Baraa el Azdi.
I miliziani affiliati all’Isis hanno conquistato agli inizi di febbraio la cittadina di Nofaliya, con una colonna di un centinaio di fuoristrada pesantemente armati. E si sono aperti la strada verso Sirte, vicino ai gangli petroliferi libici, dove hanno occupato diversi edifici pubblici, compresa la radio che ha trasmesso proclami e minacce contro l’Italia. I vessilli neri sventolano già da tempo a Sabrata, in Tripolitania, uno dei porti di partenza dei migranti per Lampedusa.
Gli estremisti impongono il pizzo ai trafficanti di uomini, circa il 10 per cento di incassi su ogni barcone, come i talebani in Afghanistan per il passaggio dell’oppio. A Gharabulli, a est di Tripoli, l’intelligence ha segnalato Abdel Raouf Kara, capo di un gruppo jihadista di 900 armati, che si autofinanzia con la tratta dei migranti. Dal sud del Paese, nella regione desertica del Fezzan, gli uomini di Mokhtar Belmokhtar, del gruppo Al Qaeda nel Maghreb, gestiscono il flusso dei clandestini africani verso i porti delle milizie alleate.
«Lo Stato islamico conquisterà un suo territorio sul Mediterraneo nell’arco di due mesi, se l’Occidente non interviene» ha ammonito l’ex premier libico Ali Zeidan. I caccia egiziani bombardano da mesi i gruppi estremisti e anche gli Emirati arabi avrebbero compiuto sortite in Libia, ma sono visti come fumo negli occhi dalle forze che non amano le bandiere nere, come la milizia di Misurata. Una soluzione per evitare il peggio è avvicinare i due governi libici, come sta facendo con trattative segrete il rappresentante dell’Onu, Bernardino Leon. «I governi di Tripoli e Tobruk devono unirsi contro lo Stato islamico» ha spiegato Ahmed Safar, ambasciatore libico a Roma.