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 2015  febbraio 17 Martedì calendario

LA FINE DEL MONDO, QUELLA VERA

«È questo il modo in cui finisce il mondo. Non già con uno schianto ma con un lamento», scrisse T. S. Eliot nel poema Gli uomini vuoti per dare voce alla sua alienazione modernista. E la fine del mondo, nelle vesti di correlativo oggettivo dei timori della condizione umana, da allora è stata ritratta, discussa e certamente anche esorcizzata da una produzione ininterrotta di scenari entrati a far parte della cultura pop. Come il critico cinematografico americano Marshall Fine notava lo scorso giugno sul suo sito, «di certo queste tipologie di catastrofi epocali/racconti post-apocalittici non sono nulla di nuovo. Ma sono colpito da quanto siano presenti in questo momento nella nostra cultura».
Fine non aveva torto: oltre al vasto insieme dei classici del genere – tra i quali L’alba dei morti viventi e 28 giorni dopo rimanendo nell’ambito della pellicola, La nube pupurea di Shiel, pubblicato nel 1901 e immaginante una fatale intossicazione del genere umano, o La strada di Cormac McCarthy per passare a titoli letterari – la fantascienza apocalittica vive un periodo di particolare fortuna. A poco meno di due secoli dall’ultimo uomo ideato da Mary Shelley, e uno dopo La peste scarlatta di Jack London, tutti conosciamo Contagion di Soderbergh e abbiamo vaghi e recenti ricordi della bionda chioma di Brad Pitt versione zombie survivor in World War Z; in moltissimi possono dire di aver visto almeno una puntata di The Walking Dead. Marshall Fine nota che «nessuna di queste storie post-apocalittiche sembra immaginare un mondo in cui gli errori hanno insegnato qualcosa, in cui abbiamo imparato dal nostro passato e immaginato un’utopia che ci porta a fare le cose in modo corretto». Per fortuna però, oltre agli sceneggiatori specializzati in fiction catastrofiche, su questo globo terracqueo perennemente a rischio vivono anche scienziati in grado di stimare le probabilità che tutta questa sequela di devastazioni e flagelli accada davvero.
La Global Challenges Foundation è un think tank svedese che si occupa di «aumentare la consapevolezza dei più grandi rischi che l’umanità deve affrontare». Una dichiarazione d’intenti precisa, che spiega perché l’ente abbia di recente collaborato col Future of Humanity Institute (un’organizzazione il cui nome non ha bisogno di traduzioni) dell’Università di Oxford per stilare una lista di cause di apocalisse planetaria, con relativa probabilità di accadimento, ove possibile calcolarla. Uno degli autori, Dennis Pamlin del Global Challenges Foundation, ha commentato sul magazine del Financial Times lo studio: «Siamo stati sorpresi di scoprire che nessun altro aveva mai compilato una lista di rischi globali che possono essere considerati in sostanza infiniti. Non vogliamo essere accusati di allarmismo: vogliamo che i policy maker si parlino».
Cosa, dunque, può minacciare la placida Gaia? Contagi globali? Caduta di meteoriti? Invasioni aliene? Ma non erano cose da blockbuster di media fattura? Non soltanto. Per il report l’eventualità dell’impatto di un asteroide sul suolo terrestre, ad esempio, è pari allo 0,00013% delle possibilità considerate: asteroidi di diametro pari o superiore a 5 chilometri colpiscono la Terra in media ogni 20 milioni di anni e, fatti salvi ipotetici interventi artificiali per deviare il corpo celeste, il problema principale verrebbe dalle nuvole di polvere proiettate nella parte superiore dell’atmosfera dopo lo schianto. Nei fatti causerebbero effetti molto simili a quelli di un inverno nucleare.
La stessa «guerra nucleare» è un altro degli ipotetici pericoli che potrebbero spazzarci via per sempre. La Guerra fredda è finita da decenni, ma gli arsenali nucleari hanno moltiplicato i loro proprietari, avvicinando l’eventualità di uno scontro irrimediabile. Probabilità ferma allo 0,005%, in questo caso, e che sale allo 0,1% se si prende in considerazione una situazione di «cambiamento climatico estremo»: secondo gli esperti, se le stime sul global warming dovessero rivelarsi troppo ottimiste le temperature medie globali potrebbero subire innalzamenti da 4 a 6° C, rendendo possibili «stragi e carestie, collasso sociale e migrazioni di massa». Continuando con le possibili cause endogene al nostro pianeta, il team di ricerca ha individuato nell’eruzione di un «super vulcano» una sciagura di effetti simili ai precedenti, per il materiale scagliato nell’atmosfera (la causa geologicamente provata di estinzioni già avvenute nella storia). La notizia buona è che ha solo lo 0,00003% di opportunità di succedere. Quella cattiva è che in quel caso non potremmo fare nulla per scamparla.
Non così prevedibilmente, tre cause inserite nella lista dai ricercatori di Oxford derivano dagli sviluppi umani nel campo delle scienze: come il Will Smith di Io sono leggenda, l’umanità potrebbe trovarsi a dover fare i conti con la peggiore delle pandemie, scatenata da pur encomiabili passa avanti nel campo della bioingegneria. O perlomeno nello 0,1% dei casi, sostiene lo studio. Allo stesso modo, la nanotecnologia può verosimilmente essere un’arma a doppio taglio: «Potrebbe portare a un’agevole costruzione di enormi arsenali di armi convenzionali o più insolite rese possibili da manifatture di precisione atomica». E lo stesso valga per l’evoluzione potenzialmente malvagia dell’Intelligenza artificiale (ma non scomodate Isaac Asimov troppo presto: anche i ricercatori non hanno un parere univoco sulla probabilità di una Terra in mano a robot maligni. La forbice qui si estende dallo 0 al 10%).
Trovano ancora spazio nella lista il «collasso ecologico» – nel caso il pianeta non dovesse più essere in grado di far fronte a una popolazione di miliardi di persone, evenienza di cui, vista la complessità delle possibili motivazioni scatenanti, è difficile produrre stime, un «malgoverno globale» capace di devastare il mondo intero e un «crac del sistema globale», che trasla questo scenario su un piano più socio-economico. Per tutte queste casistiche, però, la valutazione delle probabilità è, si diceva, talmente ardua che gli esperti hanno preferito astenersi.
Lo stesso vale per l’ultimo punto dell’elenco, il più onnicomprensivo: le conseguenze impreviste, i potenziali rischi non considerati. Come recita quell’aforisma ampiamente abusato, la vita è ciò che capita mentre fai altri progetti. E lo stesso, in fondo, pare essere il destino di quel «piccolo puntino azzurro» a cui siamo tutti affezionati.