Sandra Rizza, il Fatto Quotidiano 19/2/2015, 19 febbraio 2015
CIANCIO: GIORNALI, AFFARI
& COSA NOSTRA -
E ora Mario Ciancio, l’editore de La Sicilia di Catania, sotto inchiesta per i suoi presunti rapporti con Cosa Nostra, potrà rifiutarsi di rispondere quando, la prossima settimana, sarà convocato davanti alla Commissione parlamentare Antimafia per parlare dei condizionamenti sui cronisti bersagliati dai boss.
LA PROCURA DI CATANIA ha depositato, infatti, l’avviso di conclusione dell’indagine per concorso esterno in associazione mafiosa nei suoi confronti: dopo che i pm in passato avevano chiesto per ben quattro volte l’archiviazione della sua posizione, sul tavolo di Ciancio adesso è arrivata quella che, di fatto, è l’anticipazione di una richiesta di rinvio a giudizio. L’avvocato Carmelo Peluso, difensore dell’editore catanese, ancora non ci crede: “Sono molto sorpreso – ha detto – è del tutto evidente la stranezza di questo mutamento di opinione da parte della Procura”. Il patron de La Sicilia ha adesso 30 giorni di tempo per presentare una memoria difensiva o per farsi interrogare, nel tentativo di far cambiare idea ai pm.
Ma nel frattempo cambiano completamente le modalità della sua attesissima deposizione a San Macuto fissata dal vicepresidente Claudio Fava per il prossimo 25 febbraio: il principale azionista di quotidiani e tv del Mezzogiorno, che è stato ai vertici della Fieg e dell’Agenzia Ansa, a questo punto potrà tranquillamente presentarsi all’Antimafia in compagnia del suo legale e addirittura avvalersi della facoltà di non rispondere.
ALCUNE DELLE ACCUSE mosse dai pm di Catania costituiscono, infatti, l’oggetto delle stesse domande che i parlamentari, da mesi al lavoro sul corposo dossier “mafia e informazione’’, vorrebbero porre all’editore sotto inchiesta. Quali? In primo luogo, i chiarimenti su quei 52 milioni di euro, che sarebbero stati depositati in Svizzera e non dichiarati in occasione dei precedenti scudi fiscali, così come risulta dagli atti dell’indagine. A San Macuto, il gruppo coordinato da Fava è alle battute finali del primo “libro bianco” che tenta di radiografare l’influenza delle mafie sulle redazioni di tutto il Paese: minacce ai giornalisti, pressioni sugli editori, ricatti e precariato, sono gli argomenti che promettono di rendere “rovente’’ il rapporto sull’informazione che sarà presentato in plenaria a marzo.
E conterranno, stavolta, anche le nuove risultanze dell’inchiesta su Ciancio. Negli ultimi due anni, infatti, i pm catanesi hanno accumulato nuove prove sul conto del patron dell’editoria in Sicilia. E tra le carte dell’indagine sarebbero confluite anche le motivazioni della sentenza di primo grado, che condanna l’ex Governatore Raffaele Lombardo a 6 anni e 8 mesi per concorso esterno a Cosa Nostra.
IN QUELLE 325 PAGINE, il gup Marina Rizza più volte fa riferimento a Ciancio, sottolineando come “attraverso i contatti con Cosa Nostra di Palermo”, l’editore “avrebbe apportato un contributo concreto alla famiglia catanese”. Il riferimento è alle varianti urbanistiche che avrebbero fatto schizzare il valore di alcuni terreni a Catania di proprietà di Ciancio, in società con Tommaso Mercadante, (figlio di Giovanni, ex deputato regionale di Fi, condannato in appello a 10 anni e 8 mesi per concorso in mafia) e con Giovanni Vizzini, fratello del senatore Carlo, Psi, ex Psdi, ed ex presidente della commissione affari costituzionali.
DALL’UFFICIO INQUIRENTE etneo, diretto da Giovanni Salvi, nelle ultime ore è partita una nota nella quale si fa esplicito riferimento proprio all’esistenza di quei “conti bancari con ingenti somme di denaro (52.695.031 euro), che non erano state dichiarate in occasione di precedenti scudi fiscali’’.