Giulia Zonca, La Stampa 18/2/2015, 18 febbraio 2015
GORLITZ, LA CITTA’ DEI 37 FILM
Prima di diventare un set, Görlitz era una città fantasma. Risparmiata miracolosamente dalla guerra e dimenticata dall’Est per mancanza di fondi, è rimasta come era fino a diventare il posto ideale per evocare il passato. La scenografia perfetta l’ha trasformata in «Gorlywood», il paese che attira il cinema.
Piazzata al confine tra Germania e Polonia, sulla famosa linea Oder-Neisse, si è cibata di Storia fino a che negli Anni Ottanta ha sfiorato la rottamazione. Non poteva permettersi un vero restyling così si è accontentata di una mano di vernice alle facciate fatiscenti, la sua fortuna.
È da un muro già un po’ scrostato che è nato il rosa confetto di Grand Budapest Hotel anche se l’esterno non è davvero come lo si vede nel film candidato a nove Oscar: il regista Wes Anderson ha usato un modellino. Però le sale, l’enorme ingresso in legno, le scale che si incrociano e persino le stanze della pasticceria sono reali. Sono il Görlitzer Warenhaus, una struttura del 1913, un pezzo di art nouveau scampato ai bombardamenti, ora pronto a riscoprire antichi splendori grazie alla notte delle statuette. Forse anche lì ci sarà un tappeto rosso.
Görlitz è abituata ai riflettori, ha fatto da sfondo a 37 titoli. Ha ospitato i Bastardi senza gloria di Tarantino, i Monuments Men guidati da George Clooney, Il giro del mondo in 80 giorni del 2004. Ha prestato le strade a Storia di una ladra di libri e le case alla fiction su Wojtyla.
Ha già vinto due Oscar, uno con Kate Winslet attrice protagonista in The Reader che si muove sopra il tram cittadino come Hanna, e uno da interprete non protagonista con Christoph Waltz, nazista spietato ed elegante dei Bastardi tarantiniani. È persino la città dove è cresciuto il primo attore capace di guadagnarsi un Oscar, Emil Jannings, il professor Rath dell’Angelo azzurro che si è preso il riconoscimento nel 1928 per Crepuscolo di gloria.
Stavolta è diverso: in Grand Budapest Hotel Görlitz è la vera protagonista del film. Gli dà l’aria vetusta e stralunata, gli dà il colore e anche se è il tocco surreale di Anderson a definire la fantasia dominante, è il fascino di una città che non si è mossa per decenni che consente al film di risultare così autentico, di conservare lo spirito della storia originale scritta da Zweig.
La città fatica a star dietro all’improvviso successo. Non è proprio dinamica e aperta e si è attirata diverse polemiche quando il proprietario del Warenhaus (quello vero, non F. Murray Abraham, alias Zero) ha rifiutato di ospitare nel palazzo vuoto un concerto per rifugiati. Ha tradito un po’ anche il film, nel quale Zero si aggira senza documenti, protetto da un mondo in estinzione che forse inconsciamente gli riconosce un posto nel futuro.
Görlitz arriva da troppo lontano e non si è mossa così in fretta. Le ci vogliono ancora un po’ di film.