Matteo Maresi, Rolling Stones 2/2015, 18 febbraio 2015
LO STRATEGA
[Andrea Scrosati]
«SE HAI UN MILIONE DI VISUALIZZAZIONI SU YOUTUBE, QUALCUNO CI HA FATTO dei gran soldi e non sei tu. Si chiama Google». Andrea Scrosati, 42 anni, romano, una mole da cestista, conosce molto bene gli arcani della comunicazione di massa. Nel 1991, poco più che maggiorenne, era già portavoce di un partito, La Rete di Leoluca Orlando. Nel ’97 ha canonizzato il mestiere di publicist fondando MN, l’agenzia di comunicazione di mezzo star System italiano. Nel ’99 ha dettato la strategia nell’epica campagna elettorale di Giorgio Guazzaloca, il primo sindaco bolognese di centrodestra dal Dopoguerra. Eccetera eccetera. Dal 2010 è l’Executive Vice President Programming di Sky Italia, l’uomo chiave, quello che decide cosa va in onda oggi, quello che ha inventato l’intrattenimento della prima serata di Sky Uno a colpi di X Factor, Masterchef Italia, Hell’s Kitchen e fra poco anche Italia’s Got Talent. Ha una moglie, due figli, vive tra Milano e Roma e va matto per le serie tv. Canzone preferita: Walk on the Wild Side. Lo incontriamo nel suo ufficio, circondato da monitor accesi e cofanetti di Gomorra – La serie, un altro suo fiore all’occhiello.
RS II tuo curriculum è l’anello mancante fra quelli di Forrest Gump e Winston Churchill. Manca solo la laurea...
SCROSATI Finito il liceo, mi sono iscritto a Giurisprudenza perche volevo diventare magistrato. Era il 1991, e stava nascendo La Rete, un movimento politico “eretico”: parlava di legalità e lotta alla corruzione. In pochi mesi mi sono ritrovato da militante a portavoce nazionale.
RS Come ci sei finito nella Rete?
SCROSATI Due anni prima avevo organizzato un’assemblea sulla mafia al mio liceo, il Visconti di Roma, alla quale invitai Orlando, che era sindaco di Palermo. Venne con Falcone e Borsellino. Fu una cosa inusuale, perché nel 1989 la mafia era considerata un fenomeno siciliano. Finimmo anche al TG1. Dopo la maturità lessi un’intervista in cui Orlando spiegava perche aveva lasciato la Democrazia Cristiana: serviva un nuovo schieramento in cui l’etica prescindesse la politica. Lo immaginava pieno di giovani. Pensai: bello, ma sarà una fregatura. Avevo il suo numero di telefono e lo chiamai. Mi diede appuntamento il giorno dopo.
RS Mafia, corruzione, legalità. Negli anni ’8o i liceali non si accontentavano di un paio di Timberland?
SCROSATI Mia madre era una giornalista che lavorava per la BBC e si occupava di mafia. Mio padre invece è stato uno dei pionieri nello sviluppo delle batterie moderne al litio: uno scienziato puro, il classico tipo con i calzini diversi e la cravatta storta. In lui vedevo le frustrazioni di un Paese che non riconosceva fino in fondo il valore della ricerca. Il fatto è che se hai una coscienza sociale devi soffrire per un’ingiustizia anche quando la subiscono gli altri.
RS Responsabile stampa di un partito a 19 anni... Una gavetta promettente, la tua.
SCROSATI L’esatto contrario. Dire che i gangli delle istituzioni italiane erano gestititi con poca trasparenza, in quel periodo, era il modo perfetto per non fare carriera. Ti racconto un aneddoto: ho il diploma in mano e un biglietto aereo per passare qualche mese negli States. Vengo selezionato in una rosa di 12 studenti romani usciti con il massimo dei voti per un ruolo fisso a Domenica In. Durante il pre-casting ci fanno delle interviste: “Vi interessate anche alla politica?”. Io mi alzo e dico sì. “Chi è un politico che non ti piace?”. Rispondo: “Andreotti. Non è chiaro su alcune cose...”. Dieci minuti dopo vengo convocato in un ufficio e accompagnato gentilmente alla porta: “È stata una bellissima esperienza... sappiamo che stai per andare negli Stati Uniti... sei in gamba, dovresti proprio fermarti là a studiare”. Ho smesso di essere “quello che ha cominciato con Orlando” solo tre anni fa.
RS Hai mollato la politica nel ’94, quando Berlusconi è sceso in campo. Una coincidenza?
SCROSATI No. E comunque la carica ideale si stava esaurendo.
RS Perché non hai finito l’università?
SCROSATI Lavorando con una persona sottoposta a un servizio di sicurezza elevato, in un periodo in cui a Palermo giravano i tank per le strade e fuori dalla sede avevamo i sacchi di sabbia e i mitra spianati, fare gli esami a Roma era complicato. Decisi di mollare dopo aver sostenuto Diritto Parlamentare. Io ci lavoravo, alla Camera, conoscevo alla perfezione i regolamenti, che venivano puntualmente aggiornati. Mi sentii dire dal professore: “Ma questo non c’è nel libro di testo”. Lasciai l’università con 13 esami sul libretto.
RS Hai recuperato poi con i classici corsi di aggiornamento?
SCROSATI Quelli li ho fatti sul campo. Lavoro 12 ore al giorno da 23 anni.
RS Come ti sei riciclato dopo il flop elettorale?
SCROSATI Il giorno dopo aver detto basta con la politica ho preso un aereo per New York. Gianni Minà, che si era candidato con la Rete e aveva perso, mi aveva proposto di aiutarlo in un programma sui Mondiali per la Rai. Fu l’anno in cui Maradona venne escluso per lo scandalo efedrina: era la persona più ricercata dai media di tutto il mondo e non dava interviste a nessuno. Eccetto che a noi, grazie ai rapporti che Minà aveva costruito negli anni. Quel programma era prodotto dalla Network, una società esterna che aveva inventato il concerto del primo maggio. Dopo questo scoop mi offrirono il posto di direttore marketing e nel 1997 lasciai la Network e fondai con un socio MN Italia.
RS Il tuo primo cliente?
SCROSATI Adriano Celentano.
RS Uno a caso.
SCROSATI Era un amico del mio ex capo. Quando ci incontrammo, gli dissi quello che pensavo su certe cose che mi chiedeva. In quel periodo era in causa con la Rai... Due giorni dopo mi richiamò la Mori dicendomi che ero stato l’unico a dirgli le cose in faccia.
RS Uno dei rari casi in cui l’onestà paga.
SCROSATI È che fino ad allora nessuno aveva preso sul serio il ruolo del publicist. Mentre negli Stati uniti è sempre stata una professionalità acquisita, in Italia voleva dire stare in camerino e portare il tramezzino alla star. Il nostro approccio era professionale, cercavamo di lavorare su una strategia. Un publicist deve avere un obiettivo, e l’obiettivo non è sempre che si parli tanto di un cliente, a volte è meglio che non se ne parli proprio.
RS A Bologna avete tracciato un solco...
SCROSATI Quella di Guazzaloca fu l’unica campagna elettorale di MN. Era un uomo dalla cultura sconfinata e con una conoscenza millimetrica della sua città. Pensavo non fosse il mio pane, volevo rinunciare. A farmi cambiare idea fu un dirigente dei Ds. Il centrosinistra era in crisi, continuavano a uccidere i loro candidati, lo incontrai e gli dissi che avevano un problema, che a Bologna si percepiva l’insicurezza e il disagio, erano stati anche fatti dei sondaggi che lo dimostravano... Mi rispose: “Noi abbiamo le sezioni, cosa volete capirne voi, dei sondaggi?”. Quell’arroganza mi convinse che valeva la pena rischiare, anche a costo di schiantarsi. È una storia incredibile, perché l’obiettivo era andare al ballottaggio. Ci rendemmo conto che si poteva vincere 48 ore prima del voto.
RS Come sei entrato nella galassia Murdoch?
SCROSATI Nel 2002 partecipammo a una gara come consulenti di News Corp, che aveva il 50% di Stream. Ci eravamo fatti notare inventando una specie di servizio di agenzia con Il Grande Fratello: facevamo arrivare il segnale tv su dei computer che registravano tutto e facevamo selezionare a delle persone i frame dei momenti hot da mandare a tutti i giornali con su il logo di Stream.
RS E alla fine Lo Squalo ti ha voluto in casa. Che tipo è?
SCROSATI Totalmente diverso da quello che leggi sui giornali. Al mio colloquio si è presentato in maniche di camicia, sapeva tutto di mio figlio, che in quel momento aveva un problema di salute. È un imprenditore vero, che ti trasmette energia, ma anche un concetto fondamentale: la missione non è solo fare al meglio il tuo lavoro, ma anche produrre cose sempre più fighe.
RS Quale la prima cosa figa che hai fatto a Sky?
SCROSATI Gli Sgommati, la striscia satirica di pupazzi animati. Tecnicamente doveva essere impossibile, perché i testi dovevano essere scritti giornalmente, ma in due anni non abbiamo mai cannato una messa in onda. Un’altra fu inviare Fabio Caressa dai nostri soldati in Afghanistan. Grazie all’archetipo del calcio riuscì a entrare subito in empatia con loro.
RS Poi sono arrivati il restyling di X Factor e Masterchef...
SCROSATI L’operazione X Factor è stata più strategica di quello che pensi. La tecnologia oggi ti permette di vedere quello che vuoi quando vuoi e dove vuoi. Il rischio però è di lasciare per strada la visione collettiva, familiare, tipica della televisione generalista, perché con l’on demand tu parcellizzi, ti vedi la tua cosa nella cameretta. Invece la televisione è anche un luogo dove tu incontri, discuti e condividi. Siamo l’unico Paese al mondo in cui X Factor va in onda su una pay tv. È stato un grosso rischio. Se Masterchef fosse solo on demand perderebbe il 70% di audience.
RS Con Masterchef però siete andati sul sicuro. SCROSATI Affatto. Il mondo conservatore diceva che era una follia: “Non fare mai vedere una ricetta che la casalinga di Voghera non può fare da sola a casa sua”. Invece la gente quando è a casa aspira proprio a fare quei piatti lì! Masterchef ha fatto cultura popolare...
RS E ora tocca a Italia’s Got Talent.
SCROSATI È il format più di successo al mondo.
RS Lo cambierete?
SCROSATI Ci sono due possibili direzioni. Quella della Corrida, dove i concorrenti sono buffi perché credono di avere un talento che in realtà non hanno. L’altra è quella in cui cerchi gente che ti fa rimanere davvero di stucco. Io voglio seguire questa via, perché il racconto che da X Factor si sviluppa con Masterchef e continua con Italia’s Got Talent è basato sul merito.
RS Anche Gomorra puzza di meritocrazia...
SCROSATI La cosa più sorprendente è la sua dimensione internazionale, abbiamo superato i 100 Paesi, e questo ti dice la potenzialità enorme che c’è. In Italia per 20 anni un certo tipo di creatività è stata bloccata da un duopolio in cui nessuno rischiava.
RS ...E intanto cresce l’attesa per 1992. Cosa ci puoi anticipare?
SCROSATI Fino a oggi i prodotti con dei riferimenti storici andavano in due direzioni: quella di House of Cards, dove tu hai dei personaggi inventati che si muovono su uno sfondo reale, e questo ti permette di doparli, costruendo attorno a loro un background molto più ampio, poi c’è il modello dei biopic. 1992 invece fa un salto quantico, perché ci sono sei protagonisti inventati ma verosimili, con storie molto intense, che interagiscono con personaggi reali, il che ti estranea parecchio.
RS Sei stato un videodipendente da piccolo?
SCROSATI No. La tv in casa mia è arrivata quando avevo 13 anni. Leggevo tanto.
RS Quindi la dirigi da intellettuale.
SCROSATI Quello che facciamo noi è un racconto di storie e credo che se tu hai vissuto una vita che ti ha dato tanti spunti, ancora di più hai la voglia di confrontarti con storie forti. La vita di questi contenuti è per il 60-70% quella che c’è fuori dallo schermo, e nella capacità che hanno di generare conversazione, empatia, elementi di riferimento culturale. Ci sono programmi che fanno il 25% di share ma di cui il giorno dopo la gente non si ricorda niente. Io credo che tu debba fare le cose non solo perché la mattina dopo se le ricordino, ma addirittura ne parlino.
RS Non è questa, in fondo, la dote della generazione youtuber?
SCROSATI Oggi il talento di un ragazzino può essere condiviso senza passare dal broadcast. Fantastico. Però dopo la fase anagrafica in cui ti accontenti dei fan che ai Web Awards vogliono farsi i selfie con te, arriva il momento in cui devi pagare l’affitto. Con alcuni youtuber mi sono trovato in riunioni surreali, dove la reazione era: “Però la mia roba deve essere libera sulla Rete”. Dopodiché Youtube ci vende la pubblicità, e chi ci guadagna è Google. A questo modello di intrattenimento serve una sintesi che permetta a chi lo fa di trovare le risorse per continuare. Il rischio è molto alto.
RS Il rischio è l’anarchia?
SCROSATI No, l’anarchia è facilissima. Il rischio è una delusione micidiale.