Josh Eells, Rolling Stones 2/2015, 18 febbraio 2015
UNO SPINELLO VI SEPPELLIR
Non capita tutti i giorni di trovarsi faccia a faccia con due che hanno rischiato di far scoppiare la Terza Guerra Mondiale. Tanto meno di trovarseli di fronte sballati. «Hell-o!», mi dice Seth Rogen, mentre apro la porta del suo ufficio di Los Angeles e lo trovo impegnato a fare un gran tiro da un bong carico di marijuana insieme al suo amico e collega Evan Goldberg. I due hanno scritto e diretto insieme The Interview, storia di due imbranati giornalisti di spettacolo, ovvero lo stesso Seth Rogen e James Franco, che riescono a ottenere un’intervista con il leader della Corea del Nord Kim Jong-un e vengono incaricati dalla CIA di farlo fuori.
Un film che ha scatenato una crisi internazionale. Il problema è che, quando è uscito il trailer, la Corea del Nord si è incazzata molto di più di quello che ci si aspettava. Un portavoce del Ministero degli Esteri lo ha definito “un ingiustificato atto di terrorismo e una dichiarazione di guerra”, il regista è “un criminale”, il film ha provocato “una fiammata di odio e rabbia” nel popolo nord-coreano. Immediatamente dopo, la Sony è stata oggetto di pesanti attacchi hacker, che secondo l’Fbi sarebbero partiti proprio dalla Corea del Nord, e ha deciso di non distribuire il film. Attirandosi però una marea di critiche, tra cui quella piuttosto autorevole di Obama: non si può cedere al ricatto, ha detto il Presidente Usa. Così per Natale il film è uscito online e in 300 sale indipendenti: tutto esaurito, nuovi attacchi informatici alla Sony, che ha visto andare in tilt i servizi online di Playstation, e nuova reazione di Pyongyang . Che in una nota ufficiale del governo ha accusato Obama di essersi comportato sconsideratamente, come “una scimmia nella foresta tropicale” (recidivi i coreani, che già in precedenza avevano chiamato il Presidente: “Una scimmia nera malvagia”).
«Per una madre ebrea avere un figlio minacciato di morte da un’altra nazione è la cosa peggiore che possa succedere», dice Rogen. «Nessuna madre ebrea dovrebbe mai vedere una cosa del genere». Mi mostra lo scambio di messaggi con la terrorizzata signora Rogen: «Se solo Kim Jong-un sapesse cosa sta facendo a mia mamma! Avrebbe già la sua vendetta!» Rogen è vestito con la sua tipica divisa da lavoro: maglietta, ciabatte e barba lunga di parecchi giorni. Ha la stessa faccia da tonto e lo stesso fisico da giocatore di bowling dei personaggi che interpreta al cinema. Il suo amico e mentore Judd Apatow dice che è nato per far ridere come LeBron James è nato per giocare a basket. Rogen ride in continuazione, anche perché sulla sua scrivania tiene a portata di mano un vaso pieno della migliore erba per uso medicinale della California del Sud, dal quale pesca per rollare uno spinello dietro l’altro.
ANIME GEMELLE
Dopo un po’ che stai con loro, Rogen e Goldberg cominciano a diventare indistinguibili. Si fondono in unico essere comico: ridono delle stesse cose, fanno battute che capiscono solo loro e arrivano persino a finire l’uno la frase che sta dicendo l’altro. Secondo Judd Apatow sono anime gemelle: «Non credo di aver mai visto una connessione simile tra due persone». Per The Interview, Rogen e Goldberg dicono di aver preso ispirazione da blockbuster d’azione come Spy Game o Argo: «Volevamo che sembrasse un film vero!». L’idea invece è nata qualche anno fa, più o meno nel periodo della caduta dei regimi di Saddam e Gheddafi. Da subito hanno deciso di prendere di mira un dittatore vero, e la scelta è caduta immediatamente sul nordcoreano Kim Jong-un. Quando però è morto ed è stato sostituito da suo figlio Kim Jong-un hanno fermato tutto, tanto per vedere se per caso il nuovo dittatore non si rivelasse un tipo a posto: «C’è stato un momento in cui abbiamo pensato: “Hey, forse questo non è così cattivo”. Poi è venuto fuori che ha ammazzato la fidanzata e ha dato lo zio in pasto ai cani!», dice Rogen. Il cambio di regime è stata in fondo una benedizione: «Kim Jong-un ha più o meno la stessa età mia e di Franco, il che dal punto di vista comico è perfetto. E poi sembra uno divertente. È un pazzo fottuto, ma nelle foto ride sempre istericamente. Voglio dire, è uno che poi magari finisce per piacerti anche se non dovrebbe!» Quando hanno letto che Dennis Rodman è andato a trovarlo più volte in Nord Corea, hanno capito che tutto può succedere: «Non saremmo mai riusciti a immaginare una cosa più assurda di questa, cazzo!»
Per scrivere la sceneggiatura, hanno studiato decine di libri sulla Corea del Nord («Beh, ce li siamo fatti riassumere») e per il ruolo del dittatore hanno scelto Randall Park, un attore americano di origine coreana che ha recitato nella serie televisiva Vicepresidente Incompetente: «È stato il primo a presentarsi all’audizione, quando è uscito non abbiamo avuto esitazioni: “Rimandate a casa tutti gli altri”», abbiamo detto. Park ha messo su 15 chili, si è rasato i capelli ed è diventato la copia perfetta del tiranno: «Quando è arrivato sul set la prima volta siamo rimasti tutti a bocca aperta. I ragazzi della crew dicevano: “Oh merda, lo stiamo facendo veramente!”».
Il primo fotogramma di The Interview, prima dello scontro a fuoco con i mitra e dell’attacco della tigre siberiana, è un cartello con il nome della casa di produzione di Rogen e Goldberg, la Point Grey. È lo stesso del liceo di Vancouver in cui hanno studiato insieme, e in cui si dice abbiano scritto Superbad quando avevano solo 13 anni. La maggior parte dei personaggi di quel film sono stati ispirati dai loro compagni di classe. Rogen non era certo il tipo più figo della scuola, ma non era nemmeno un emarginato. Ascoltava musica hip hop (Wu Tang Clan e Beastie Boys, soprattutto) e Nu Metal (Korn, White Zombie e Marilyn Manson), portava i dreadlock colorati di verde ed era anche uno sportivo. Giocava a rugby ed è diventato cintura marrone di karate, poi un infortunio al piede lo ha spinto definitivamente verso la carriera di attore comico. Le sue battute sulle palestre, sui suoi nonni e sui vani tentativi di toccare le tette delle ragazze attirano l’attenzione di un direttore di casting, che lo segnala a Judd Apatow per la serie Freaks and Geeks. Il progetto di Rogen è approdare a Hollywood, mettere un piede dentro, far arrivare Goldberg dopo il college e finalmente mettersi a scrivere e dirigere i loro film. Più o meno è andata proprio così. Rogen arriva a Los Angeles nel 1999, a 17 anni: «Era un po’ più riservato di adesso», ricorda James Franco, che lo ha conosciuto sul set di Freaks and Geeks, «non rideva così spesso». Lui e Franco si trovano sempre a casa di un altro protagonista della serie, Jason Segel, e passano il tempo a guardare film di Kubrick e a improvvisare sketch comici: «È stato lì che Seth ha cominciato a buttare giù delle brevi sceneggiature. Non ne abbiamo realizzata nessuna, ma abbiamo gettato i semi di quello che facciamo adesso». Dopo Freaks and Geeks e un’altra serie di Apatow, Undeclared, Rogen passa qualche anno «senza fare niente». Scrive un pilot con Segel, che viene scartato dalla HBO, e tira su qualche dollaro scrivendo battute per film come Shaggy Dog - Papà che abbaia... non morde e FBI: Operazione tata: «L’America aveva appena invaso l’Iraq, io sono rimasto chiuso in casa un mese intero a fumare canne e guardare il telegiornale».
Una cosa a cui non è preparato sono le leggi della California sulla marijuana: «Un giorno stavo fumando uno spinello in spiaggia, come avevo fatto per tutta la mia vita e un attimo dopo mi sono ritrovato in manette dentro una macchina della polizia». Finisce davanti a un giudice («Insieme a gente accusata di pescare senza licenza, in aula ceravamo io e un centinaio di messicani») e se la cava con una multa. «Non credo sia rimasta traccia sulla mia fedina penale», dice, «o almeno non è mai venuto fuori».
SBALLATO. SOLO IN APPARENZA
I suoi primi ruoli al cinema sono sempre tipi burberi di nome Ron, Bob o Ken. Tutti i suoi sforzi sono però concentrati sulle sue prime sceneggiature, Superbad e Strafumati. Ma nessuno glieli vuole produrre: «Sapevamo di aver scritto due cose molto buone, ci sentivamo molto frustrati. E probabilmente ci comportavamo anche da stronzi». Adesso che i produttori gli rispondono al telefono, Rogen continua a fare film con i suoi amici, soprattutto con James Franco. La cosa più sorprendente è che, anche se scrive, produce e gira i suoi film, Rogen non vuole essere mai il protagonista assoluto: «Di solito i comici vogliono primeggiare, vogliono far ridere più di tutti. Nessuno può avere battute migliori delle loro, il loro ego soffoca gli altri», dice Lizzy Caplan, che in The Interview interpreta una improbabile agente della CIA. «Seth e Evan invece sono arrivati a una conclusione: se riempi il film di attori che fanno ridere, il film sarà più divertente».
Non tutti lo sanno, ma dietro all’aria da perenne sballato e al modo di fare da Labrador, Seth Rogen è un attento manovratore. Lui e Goldberg lavorano di solito ad almeno tre o quattro progetti contemporaneamente, che possono spaziare dall’adattamento per il cinema del fumetto Preacher a un film natalizio con Lizzy Caplan e Joseph Gordon-Levitt. Inoltre Rogen è riuscito a ottenere abbastanza importanza da fare anche qualche mossa azzardata. Non sono in molti a Hollywood quelli che possono permettersi di chiamare il potente produttore Harvey Weinstein “un emerito psicopatico” e “un vero figlio di puttana” e continuare a lavorare. Lui è uno di questi. Alla fine, paradossalmente, le mosse più assennate della sua carriera sono state quelle più sbagliate: The Green Hornet, un film da 110 milioni di dollari di cui nessuno sentiva il bisogno, e Parto con mamma, in cui attraversa gli Stati Uniti in auto insieme a una Barbra Streisand in menopausa. Non sono brutti, sono solo dei film convenzionali che seguono alla lettera le direttive degli studios di Hollywood. Il che, per dirla con Judd Apatow, “è come avere LeBron James nella tua squadra e dirgli di non tirare”. Il lato positivo è stato il fiasco: il pubblico ha detto chiaramente che non vuole vedere un Seth Rogen convenzionale. Quindi ora lui è libero di dedicarsi a cose completamente fuori di testa, tipo il nuovo progetto che ha scritto con Goldberg, Sausage Party, in uscita nel 2016: «È veramente schifoso, la cosa più proibita che abbiamo mai fatto». Un film di animazione in 3D diretto da uno dei registi di Shrek 2 con un tema religioso: una scapestrata banda di cibi invenduti sugli scaffali di un supermercato vuoto giunge alla conclusione che, alla fine, Dio non esiste (e fanno anche un’orgia). Il loro vecchio boss, Sacha Baron Cohen (Rogen e Goldberg erano tra gli autori del suo Da Ali G Show) dopo averlo visto si è congratulato così: «Siete riusciti a ottenere abbastanza successo da fare la cosa più folle che abbia mai visto in vita mia». Questo è quello che rende Rogen così degno di ammirazione: usa la sua reputazione per fare cose che, per dirla con parole sue, sono «fottutamente strane». Per The Interview «ci hanno riempito di soldi per fare quel cazzo che volevamo».
«È anche incredibilmente sincero», dice Judd Apatow. Lo ha dimostrato su Twitter, dove negli ultimi mesi ha detto la sua in modo molto esplicito su argomenti vari, tipo i Washington Redskins, la catena di negozi Hobby Lobby, il conduttore televisivo conservatore Sean Hannity, Burger King, la televisione via cavo, i Repubblicani, il commissario della NFL Roger Goodell e il poliziotto che ha sparato a Ferguson. Non si sa bene quando sia iniziata questa striscia di esternazioni. Forse a maggio, quando ha dovuto difendersi da un critico del Washington Post che accusava i suoi film di aver ispirato indirettamente una sparatoria all’Università di Santa Barbara, o forse a febbraio quando è andato a Washington a parlare di fronte a una Commissione del Senato dei fondi per la ricerca contro l’Alzheimer (una causa a lui molto vicina, dato che la sua matrigna è stata colpita dalla malattia): «La situazione è così grave da aver spinto uno come me, pigro, egoista e immaturo a fondare un ente benefico!», ha detto ai senatori. O forse a gennaio, quando è stato ritwittato 200mila volte dopo aver scritto: “A parte gli scherzi, Justin Bieber è un pezzo di merda”.
ALLERGICO AL GOSSIP
Gran parte della satira di The Interview è rivolta contro l’inutile categoria dei giornalisti di gossip e di spettacolo: «Ho fatto parecchie interviste e mi sono trovato di fronte alcuni dei più stupidi figli di puttana sulla faccia della Terra. Roba da non credere!”. Niente di personale, ovviamente». Il personaggio che interpreta in The Interview. Aaron Rapoport, è un neolaureato in giornalismo alla Columbia University che sogna di diventare reporter del programma 60 Minutes e decide di intervistare Kim Jong-un perché vuole fare qualcosa di meglio nella vita che passare il tempo a produrre servizi su Matthew McConaghey che fa sesso con una capra (succede davvero, nel film). Anche questo è un film autobiografico, esattamente come Superbad era la storia di Rogen e Goldberg teenager, che cercano disperatamente di portarsi a letto una ragazza, Strafumati era la storia di loro a 25 anni completamente fumati e allo sbando e Facciamola finita parla di loro alle prese con il terrore e le meraviglie di Hollywood. The Interview è la storia di Rogen e Goldberg che arrivati a 30 anni cercano di rispondere alla domanda: hai intenzione di combinare qualcosa di buono? «Mi sento più vicino ad Aaron che a tutti gli altri personaggi che ho interpretato, e vuoi sapere perche? Perché ha un lavoro vero! Solo quando metti la tua vita a posto ti rendi conto di certe cose. Fai un passo indietro e ti chiedi: ho una carriera, cosa voglio fare? Ti accontenti solo di essere famoso o vuoi provare a fare qualcosa di buono? Per me la risposta sta da qualche parte in mezzo: ho fatto un film che magari anche solo per due secondi farà riflettere un ragazzino di 18 anni. Oppure, chi può dirlo? Ci hanno detto che uno dei motivi per cui Kim Jong-un si è arrabbiato così tanto è che ha paura che il film arrivi in qualche modo in Corea del Nord. Magari una copia pirata di The Interview farà scoppiare una fottuta rivoluzione!». Il che potrebbe essere la più grande beffa del secolo: i tizi di Strafumati che ispirano un epocale cambio di regime nel Paese più isolato del mondo. «Diciamo che nell’ipotesi migliore questo film renderà libero un intero popolo», dice Rogen, «nella peggiore farà scoppiare una guerra nucleare. Direi che è un bel margine!».