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 2015  febbraio 18 Mercoledì calendario

GLI SCACCHI E UN SOGNO: «UN GIORNO SARO’ RICCO»

Per chi li vede da lontano, gli scacchi sono il trionfo del silenzio, la capacità di infilarsi in un altro mondo e chiudersi a chiave. Pedoni, torri, cavalli e nulla più: ogni rumore esterno un nemico. Ma Fahim Mohammad ha 14 anni, è diventato giocatore in mezzo al mondo: la vita di Dacca, Bangladesh, casa sua, che improvvisamente si riempie di minacce, la sua famiglia che si spezza, la fuga con il papà, il viaggio alla ricerca dell’Europa giusta, l’infinita attesa in Francia, sans papiers, clandestino, in mezzo a lezioni, tornei, mosse, speranze. Con tante colonne sonore, però. «Spesso gioco alla play station. Ma se c’è la lezione, smetto, so isolarmi, so capire quando è il momento. La musica, invece, mi aiuta a concentrarmi con gli scacchi. Non mi piace quella francese, però, solo rap americano».
Confessa che negli scacchi non ha idoli. «Forse sarà perché io pratico questo gioco». «Gli scacchi invitano a essere attori, non spettatori», aggiunge Xavier Parmentier, il suo maestro. Nel calcio, invece, l’idolo c’è: «Gareth Bale. Non so spiegare perché, ma è un giocatore che ha qualcosa che gli altri non hanno». Un alfiere targato Real Madrid? «No, facciamo una torre. E velocissima». Proviamo a buttare fuori il pallone, ma lui rilancia. Racconta cosa sa dell’Italia. L’Impero romano studiato a scuola, la cucina assaggiata in questi giorni, «meglio di quella francese». Ma non il calcio: «Prima sì, ma ora in serie A non vedo grandi squadre!».
VIVA IL RE Però com’è che in Bangladesh – poco meno di metà dell’Italia, ma tre volte i nostri abitanti – un ragazzino di cinque anni s’inventa giocatore di scacchi? «Non lo so. E’ come qualcosa che mi ha preso e non mi ha più lasciato. Sì, è vero, gli altri giocavano a cricket, io pure, ma poi qualcosa è successo». All’inizio non ha preferenze, quei pezzi hanno ruoli diversi, ma non riesce a scegliere. «Ora è il re a piacermi di più». Nel libro che presenta in Italia racconta quando lo «conobbe»: «Debole, lento, quasi irrilevante, si mostra docile come un bambino e mi supplica di proteggerlo dalla morte».
I suoi scacchi, però, non sono la ricerca di un’enclave, di una terra promessa, dove non ci sono le minacce che l’hanno costretto a partire per un altro mondo, e neanche la delusione del padre Noura quando gli negano il diritto d’asilo in Francia. «Per me gli scacchi sono combattimento, competizione». L’inizio è un inseguimento scriteriato allo scacco matto. Ma poi Xavier è costretto a tirare il freno, a insegnargli una parola: strategia.
Fahim parla con un filo di voce, ma non sbaglia una parola. «Da grande che cosa vorresti fare? «Diventare ricco». Ricco per fare che? «Ricco e basta. Penso che essere ricco ti dà una visione più ampia delle cose. Poi è chiaro che da ricco cercherei di aiutare gli altri. Magari». Il «re clandestino» vuole restare in Francia. «Non è che non mi piaccia stare con le famiglie che sono venute anche loro dal Bangladesh. Anzi. Però io credo che bisogna aprirsi, mischiarsi, non creare delle sette, dei gruppi chiusi». E il tempo che passa abbatterà nuovi muri, barriere, si mischieranno di più i mondi che ha conosciuto? «No, al contrario, le cose si complicheranno. Le famiglie venute prima di noi hanno impiegato meno tempo per sistemare i documenti. È una certezza. Ma io non ho grandi sogni, vorrei soltanto una vita normale e continuare a giocare a scacchi». Perché è là, su quel campo diviso per 64, che il mondo di Fahim si ricompone, che riesce a battere gli incubi della fuga da casa, della lunga anticamera in Europa. Forse è qui che – senza idoli, ma con tanta voglia di giocare – abitano i suoi sogni. Sogni di vittorie, certo. Ma non solo.