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 2015  febbraio 16 Lunedì calendario

POPOLARE ETRURIA, LA TRAGICOMMEDIA DEI FURBETTI DELL’ARETINO

Giuseppe Fanfani, nipote del leader storico della Democrazia cristiana Amintore e figlio del leader locale Ameglio, è fuggito appena in tempo dal piccolo mondo antico che ruota intorno alla ’banca dell’oro’, gigante nel trading del metallo e propulsore del polo orafo aretino. Lasciato l’incarico di sindaco di Arezzo, Fanfani junior si è subito trasferito nella poltrona di membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura, lasciandosi dietro le spalle la tragicommedia della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio – 76 mila azionisti, 186 sportelli, 1800 dipendenti – impegnata da anni a difendere con ogni mezzo la presunta superiorità del modello di ’banca del territorio’, che il sindaco aretino, chiunque egli sia, è costretto a difendere ’per contratto’. Un modello che si fonda su un groviglio di interessi intrecciati tra loro: banchieri improvvisati, politica locale, imprenditori, azionisti, grandi famiglie feudatarie. La tragicommedia ha avuto forse il suo momento più alto (o basso?) mercoledì scorso, quando, dopo mesi e mesi di ispezioni, avvertimenti, raccomandazioni e intimazioni sono piombati i due commissari nominati della Banca d’Italia, Riccardo Sora e Antonio Pironti. Ad Arezzo erano convenuti i capi-area per avere comunicazione dei tragici dati di bilancio (126 milioni di rosso, 1,66 miliardi di crediti deteriorati contro un patrimonio netto di 536 milioni). Il presidente vuole annullare la riunione, ma i commissari dicono: no, la facciamo noi. E, di fronte ai dirigenti e ai capi area, esordiscono così: ’Scusate l’attesa, ma qualcuno in consiglio d’amministrazione insiste a non voler capire bene la situazione’. E dalla sala si alza un commento: ’Meglio i commissari che il geometra’. Il ’geometra’ è il presidente commissariato Lorenzo Rosi, di cui Pier Luigi Boschi, padre del ministro Maria Elena, era fino a mercoledì il vicepresidente e Alfredo Berni vicario, già direttore generale ai tempi del presidente amico di Gelli Elio Faralli. In carica da nove mesi, la simpatica combriccola, integrata dal membro del comitato esecutivo Luciano Nataloni, provvido finanziatore di un centro commerciale in quel di Monte Sant’Angelo, nei pressi di Pescara, ha lavorato alacremente soprattutto per bloccare l’integrazione con un’altra banca di ’elevato standing’. Con scorno della Banca d’Italia, che inutilmente faceva ’pressing’ con continue ispezioni dai risultati sempre più funesti. Così, traccheggiando senza neanche portarla in consiglio o in assemblea dei soci, fu fatta fallire l’Opa proposta dal presidente della Popolare di Vicenza Gianni Zonin a un euro per azione, quasi il doppio della valutazione dei giorni scorsi. Perché l’idea del ’geometra’, dei suoi e della politica locale era sostanzialmente di beffare la banca centrale, accettando la trasformazione in Spa, ma trovando un socio che comprasse un po’ di quote, in modo da conservare la struttura iper-territoriale, attenta più che ai rischi d’impresa e ai conflitti d’interesse, alla conservazione del potere locale. Così, dopo nove mesi della nuova dirigenza, i commissari hanno trovato una banca dai conti fuori controllo, mentre la Consob e la magistratura hanno cominciato a indagare sui sospetti di insider trading nei giorni precedenti al decreto governativo sulla trasformazione in Spa dell’Etruria con altre dieci banche popolari. Si attendono ora sviluppi smaglianti della tragicommedia dal titolo ’Banca&Politica’. a.statera@repubblica.it
Alberto Statera, Affari&Finanza – la Repubblica 16/2/2015