Enrico Franceschini, Affari&Finanza – la Repubblica 16/2/2015, 16 febbraio 2015
ROCCO FORTE “DARÒ ALL’ITALIA GLI HOTEL DI LUSSO CHE MERITA”
Londra
«Vuole sapere quant’è importante per me l’Italia? Mio padre è nato in Italia, parlo italiano da quando ero bambino, ho sposato un’italiana, i miei figli quando si gioca Italia-Inghilterra fanno un tifo scatenato per gli azzurri. Io faccio l’equilibrato, ricordo loro quanto la Gran Bretagna ha dato alla nostra famiglia, ma quando l’Italia segna sono il primo a esultare ». I n una suite del Brown Hotel su Albermarle street, cuore chic di Londra, uno dei dieci alberghi da favola di cui è proprietario, sir Rocco Forte parla in italiano, in effetti, come un italiano. E dell’italiano ha anche l’aspetto: pelle e capelli scuri, niente a che vedere con il pallore tipico dei nativi di queste latitudini. Eppure è nato qui, 69 anni or sono e ha cittadinanza britannica. Adesso, come in un’odissea, questo figlio di un emigrante che ha fatto fortuna si appresta a tornare in grande stile nella patria dei suoi avi. Ci aveva già fatto ritorno con gli hotel di lusso che ha a Roma (de Russie), Firenze (Savoy), Sicilia (Verdura Resort), ma ora ha avviato un piano per creare una vera catena nel nostro paese: un bell’investimento per fare del-l’Italia una delle mete del turismo più ricco che porti soldi non soltanto all’albergo ma molti di più con l’indotto: shopping, cene, auto, barche. L’operazione ha suscitato qualche malumore sulla Penisola, perché la Cassa Depositi e Prestiti è entrata con il 30% nel Gruppo Forte, un’iniezione da 80 milioni di euro per creare appunto un polo del lusso in Italia. Perché, chiede la Federalberghi, il nostro Paese deve finanziare iniziative di questo tipo di un gruppo straniero? Quei soldi non potevano andare a una catena di alberghi a 5 stelle di proprietà italiana? «Intanto non mi pare che una catena italiana in grado di compiere un’operazione simile ci sia», risponde Forte davanti a un bicchiere di acqua minerale gassata italiana. «Poi non mi sento tanto straniero, sia per le mie solide radici italiane, per i legami che ho con l’Italia, sia perché in Italia sono già presente con tre alberghi. Se vogliamo fare un polo di hotel di lusso in Italia, a chi ci rivolgiamo? A turisti stranieri danarosi. E credo che il mio gruppo sia ben posizionato per attirarli, avendo già una vasta rete di clienti di questa categoria: il 27% dei clienti dei nostri hotel vengono dagli Stati Uniti, il 10 dal Medio Oriente, il 9 dalla Russia. I migliori alberghi italiani sono già in mano a gruppi stranieri con rare eccezioni: non mi sento un caso anomalo ». Rocco Forte è la smentita vivente del luogo comune secondo cui i figli dei grandi uomini non sono all’altezza dei padri. Suo papà, Charles, era nato nel 1908 in provincia di Frosinone. Emigrato in Scozia seguendo le orme di parenti e amici, aprì il primo milk bar su Regent’s street a Londra, poi una catena di caffè, quindi passò agli alberghi. Al suo apice, dopo che da self made man era diventato lord (nominato dalla Thatcher), aveva un impero di 1000 alberghi in mezzo mondo. «Ma restò sempre con i piedi per terra», ricorda Rocco. «Il successo e i soldi non lo cambiarono. Vivevamo in un piccolo appartamento a Londra, poi in una casa più grande, poi comprammo una barca, ma lui restava sempre com’era. Una volta gli chiesi perché dedicava tanto tempo a un dipendente che non era importante per noi. Sì, mi rispose, ma il tempo che gli dedico è importante per lui. Questa è stata la sua lezione: passione, umanità, sincerità. E tanta gavetta, perché a 15 anni ha cominciato a farmi fare le vacanze lavorando, ho cominciato come cantiniere al Cafè Royale, poi ho fatto il cameriere, il portiere, il centralinista, i mestieri che ci sono in un albergo li ho provati tutti». Non aggiunge, sir Rocco, che nel frattempo si è laureato in economia a Oxford, è entrato nel management dell’azienda paterna ed è diventato l’amministratore delegato del gruppo, quando lord Charles è andato in pensione. Pochi anni dopo, un’acquisizione ostile da 3 miliardi di dollari gli ha portato via tutto lasciando alla sua famiglia un decimo di quella somma. Ma Rocco ha ricominciato costruendo un nuovo gruppo, più piccolo e selezionato, con alberghi da sogno come l’Astoria di San Pietroburgo, il Balmoral di Edimburgo, il Brown di Londra, oltre a quelli in Italia. «Mi diverto di più», dice. «Quando amministri 1000 alberghi è più difficile avere un rapporto diretto con i tuoi hotel. Con una decina, è possibile. E a me piace, come piaceva a mio padre, parlare con ogni dipendente. Mi piace fare l’albergatore. Sennò farei un altro mestiere». Cosa vuol dire fare l’albergatore? Lo spiega così: per ricevere un bonus, ai direttori dei suoi alberghi non basta produrre buoni risultati economici. Ogni anno c’è anche un’indagine per verificare la contentezza e il morale dello staff: se baristi, cameriere e portabagagli lavorano felici, lavorano meglio, e se lavorano meglio, i clienti tornano e consigliano quell’albergo ad altri clienti. Ma sir Rocco non si accontenta dell’indagine interna: invia un team esterno in incognito a visitare regolarmente i suoi hotel, facendosi passare per clienti, e da questo ottiene un rapporto sulla qualità del servizio, «la cosa più importante». In ogni città in cui c’è un albergo di Rocco Forte, quell’albergo è il numero uno o il numero due in base a una graduatoria calcolata sul prezzo e sul numero di camere occupate: nel campionato del lusso, lui vince sempre o come minimo si qualifica per la Champions League. Il suo preferito qual è? «Sono come i figli, li amo tutti, ma devo confessare che quando passo un week-end di vacanza al Verdura, vicino a Sciacca, mi passano in un lampo tutte le preoccupazioni e i malumori, mi sento rinascere, anche perché c’è un magnifico campo da golf». Non è l’unico passatempo sportivo: accanito maratoneta, sir Rocco ha rappresentato la Gran Bretagna ai campionati mondiali di triathlon e pure all’Iron Man, la gara più estenuante della terra, arrivando sempre primo o secondo (come i suoi alberghi) nella propria categoria di età. L’aria mansueta e il sorriso gioviale nascondono un’energia e uno spirito di ferro. Gli chiedo come vede l’Italia, da figlio di immigrati. «Un enigma. Il paese più bello del mondo per l’arte, la natura, lo stile di vita. Anche ora con la crisi nessuno mangia, veste e sa vivere bene come gli italiani. Un paese pieno di gente geniale e di grandi lavoratori. E che, però, è limitato dalla burocrazia, dalla difficoltà a prendere decisioni, a riformare e a rinnovarsi». Lui rimane ottimista: «Altrimenti non avrei intrapreso questa ambiziosa operazione per dare all’Italia la catena di hotel di lusso che si merita ». Ce l’avevamo, in verità, una catena così: gli alberghi della Ciga. Ma poi furono acquisiti dalla Sheraton e venduti un pezzo alla volta. «Avevo provato a rilevarla io, la Ciga. Non ci riuscii. Questa è una nuova opportunità. L’Italia è il paese leader mondiale del fashion, del design, del buon cibo. Vorrei farne il leader anche dell’hotellerie». Dove li aprirà? «Dove mancano hotel di super lusso in grado di attirare il meglio della clientela internazionale. A Milano, a Napoli, in Sicilia». Altri dieci? «Faremo un passo alla volta, ma la mia ambizione mi fa dire anche di più. I dieci del mio gruppo attuale li abbiamo aperti in cinque anni. Non sono in grado di indicare delle date, ma vorremmo fare in fretta ». Rocco Forte si alza, vuole farmi vedere la fantastica suite del Brown Hotel in cui mi ha dato appuntamento: il bagno, il guardaroba, la camera da letto, il salotto. Manca poco che apra l’acqua della doccia per mostrare lo spruzzo e controlli se le lenzuola sono rimboccate bene. «La posizione di un grande albergo è importante. La bellezza della struttura e degli arredi pure. Ma il fattore chiave è il servizio al cliente». Carmine “Charles” Forte, l’emigrante nato povero in provincia di Frosinone e morto barone a Londra, nel 2007 a 98 anni d’età, probabilmente approverebbe.
Enrico Franceschini, Affari&Finanza – la Repubblica 16/2/2015