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 2015  febbraio 16 Lunedì calendario

FRANCO SVIZZERO E CORONE, LE TENSIONI VALUTARIE DALLA SCANDINAVIA ALLA CINA

La settimana scorsa la Risksbank, Banca centrale svedese, ha colto di sorpresa i mercati, tagliando il tasso di interesse di riferimento di 25 punti base e portandolo sotto zero, a -0,1% Una decisione presa all’unanimità, fanno sapere da Stoccolma. Tutti si aspettavano un taglio meno drastico, ma ormai la strada è tracciata. Anche la Svezia ha lanciato il suo programma di acquisto di titoli di Stato, per tenere a bada l’inflazione. La domanda che ora tutti si pongono è: toccherà anche i rapporti di cambio tra la corona svedese e l’euro? Un interrogativo che, dopo il caso Svizzera e l’improvviso sganciamento del franco dalla moneta europea, si estende ora a diversi paesi. L’attenzione è puntata, oltre che sulla Svezia sugli altri due stati scandinavi, Danimarca e Norvegia. Ma lo sguardo si volge verso frontiere ben più lontane, come quelle della Cina, e al legame, in questo caso, tra il renminbi e il dollaro Usa. Ma quale sarebbe l’impatto sui mercati in caso di manovre monetarie impreviste? Per quanto riguarda la Scandinavia, la situazione è complessa. Tra quei Paesi, solo la Danimarca adotta un cambio quasi-fisso in base al meccanismo Erm, European Exchange Rate Mechanism. Dopo lo choc causato dalla decisione della Banca centrale svizzera, si teme l’effetto domino. Secondo quanto dichiarato a Bloomberg, la Seb Ab, uno dei principali broker danesi, è tempestata di telefonate dai fondi hedge, che insistentemente si chiedono se la Danimarca potrebbe essere la prossima a ’cedere’ alle pressioni dei mercati e ordinare così la fine del ’peg’. Il ministro dell’economia, Morten Oestergaard, getta acqua sul fuoco. E anche il governatore della Banca centrale Lars Rohde ha detto che c’è ancora tanta strada da fare prima che la Danimarca «testi i limiti del suo parco di strumenti monetari». Molti operatori non si aspettano sorprese. «Pensiamo che la Banca centrale danese sia determinata a continuare la sua politica monetaria basata sul corridoio del tasso di cambio con l’euro», commenta Kevin Zhao, gestore del fondo Ubs Currency Diversifier. Ma se invece, come ha fatto la Svizzera, all’ultimo momento decidesse di cambiare idea? «La Danimarca non ha gli enormi avanzi della bilancia dei pagamenti della Svizzera – spiega Zhao – Lo squilibrio del flusso dei pagamenti e degli investimenti con l’Eurozona è molto limitato. Inoltre la Danimarca non ha lo status di Paese rifugio, perciò dovrebbe essere molto più facile difendere il tasso di cambio con l’euro». L’impatto, insomma, sarebbe meno dirompente della decisione svizzera. Il discorso cambia dal punto di vista dei fondi, che sono sempre in allerta perché le valute sono un grande bacino di scommessa, una forma di investimento molto difficile e anche molto rischiosa. «Il mercato dei cambi valutari movimenta più di 5,3 miliardi di dollari al giorno, è una quota di mercato più alta di tutti gli altri mercati messi insieme», commenta Luciano Turba, consigliere Assiomforex, l’associazione dei mercati finanziari che raccoglie 1.300 soci. Spiega Turba: «Il mercato degli scambi valutari è l’unico mercato, non regolamentato, aperto 24 ore su 24, e questo vuol dire che necessita di un monitoraggio continuo. Non solo. Anche in caso di tetti imposti alle oscillazioni, i cosiddetti stop-loss, su questo mercato funzionano relativamente, per come è congegnato: per consuetudine si prende il primo prezzo trattabile dopo che è stato toccato il livello imposto dallo stop-loss, Ma nel caso della Svizzera sono saltati tutti gli stop-loss e non pochi trader online sono rimasti scottati». La Danimarca, dopo quattro tagli consecutivi ai tassi nel giro di poche settimane, sembra determinata a proteggere l’export e dunque l’aggancio con l’euro che si deprezza. E gli altri paesi scandinavi? «Svezia e Norvegia non hanno un cambio fisso, e la loro politica monetaria, in questa fase almeno, ha come primo obiettivo il controllo dell’inflazione», sostiene Alan Cauberghs, senior investment, direttore fixed income di Schoders. Svezia e Norvegia rappresentano due situazioni profondamente differenti da quella della Svizzera. La corona svedese tende al ribasso, non al rialzo, come il franco svizzero. E anche la corona norvegese, sotto la spinta del prezzo del petrolio che è crollato, punta verso il basso. Qualsiasi intervento, porterebbe a un deprezzamento della loro divisa. Lo stesso succederebbe alla Danimarca: «Se dovesse abbandonare il corridoio di fluttuazione con l’euro il risultato più probabile sarebbe un deprezzamento della corona danese, dato il differenziale del tasso di interesse rispetto all’Eurozona». commenta Cauberghs. La Danimarca ha adottato un cambio fisso, meglio sarebbe dire quasi-fisso, quando ha deciso di non entrare nell’euro. Con il cambio si tutelava da eventuali fluttuazioni valutarie troppo ampie con il principale partner commerciale. I motivi per cui una Banca centrale decide di stabilire un cambio fisso oppure no, ecco uno dei punti chiave. «Dipende da molti fattori – spiega Cauberghs – i flussi commerciali sono probabilmente il driver più importante». Ecco perché la Cina è invece ancorata al dollaro Usa, paese con il quale ha le principali transazioni. La Cina ha un sistema a fluttuazione controllata con il dollaro Usa: «Finora ha gestito con discreto successo il cambio bilaterale, consentendo al renminbi di apprezzarsi in linea con il differenziale di produttività relativa tra Usa e Cina nel medio-lungo termine – spiega Kevin Zhao – ha la flessibilità necessaria a regolare il tasso in base ai suoi obiettivi di politica economica: se per esempio il dollaro si dovesse deprezzare significativamente e l’inflazione in Cina dovesse essere alta, Pechino permetterà un veloce apprezzamento del renminbi, in modo da allentare la pressione dell’inflazione. D’altra parte, se il dollaro si dovesse apprezzare in modo significativo rispetto ai principali partner commerciali della Cina e l’inflazione interna fosse molto bassa, come in questo momento, il Dragone non permetterebbe un apprezzamento della valuta cinese rispetto al dollaro, e potrebbe persino tollerare un moderato deprezzamento rispetto al biglietto verde».
Paola Jadeluca, Affari&Finanza – la Repubblica 16/2/2015