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 2015  febbraio 18 Mercoledì calendario

PERISCOPIO

I 50 carri armati russi sono entrati in Ucraina proprio mentre Putin era impegnato a Minsk. Un alibi geniale. Edelman. Il Fatto.

Questo Festival una cosa l’ha fatta: è riuscito a riunire Al Bano e Romina e gli Spandau. Fra un poco ce ne andiamo a Bruxelles, a vedere se si può fare qualcosa per mettere d’accordo la Merkel e Tsipras, quello che ha detto «Noi non paghiamo la troika», ma Berlusconi non era d’accordo: le troike van pagate. Giorgio Panariello, comico (Renato Franco). Corsera.

Livio Garzanti osteggiava ogni trasferta, perfino la nostra presenza alla Buchmesse di Francoforte, in quegli anni un appuntamento fondamentale, perché era convinto che fossero tutte scuse per divertirsi a spese sue. Diffidava anche delle riunioni editoriali, temeva fossero congiure ai suoi danni. Le facevamo quasi sempre di nascosto, a tarda ora. Gianandrea Piccioli, dirigente della Garzanti (Nanni Delbecchi). Il Fatto.

Ragioniere, Michele Ferrero rifiutava le lauree honoris causa, rispondendo che «basta il buon senso». In privato era anche più severo: «Mi raccomando, pochi laureati»; «pì a studiu, pì ven stupid», più studiano più diventano stupidi. Aldo Cazzullo. Corsera.

Qualche sassolino nelle scarpe, però, gli è rimasto: «Il loden! Alla fine era diventato una specie di simbolo spregevole. Cosa avrà mai, il loden! Finché, con l’elezione di Mattarella, c’è stato un revival. Anzi, una contrapposizione, a Monti, fra loden: il suo, positivo, e il mio, negativo. Un tweet diceva: Mattarella è così sobrio che porta i loden usati di Monti...». Mario Monti (Gian Antonio Stella). Corsera.

L’accordo era che avrei fatto delle domande scritte cui Berlusconi avrebbe risposto e poi ci saremmo visti per un vis-à-vis di 45 minuti ad Arcore. Mandai le domande all’Ufficio Stampa di Milano che le trasmise a quello di Roma per un vaglio definitivo. Dovevo quindi telefonare a Roma. Mi rispose Paolo Bonaiuti. «Ah, sei tu?», domandai un po’ sorpreso. Quando eravamo stati colleghi al Giorno negli anni Ottanta Bonaiuti era di sinistra, per lui io ero un mezzo fascista. «Ma qui ci sono delle domande?». «Paolo (Bonaiuti ndr), sono domande scritte, lui, o chi per lui, ha tutto il tempo di rifletterci sopra e di rispondere a tono». «Ma ci sono queste domande sulla mafia?». Avevo posto la questione più o meno in questi termini: «Lei dà molta importanza ai valori di lealtà e di fedeltà. Ma questi sono anche i valori omertosi della mafia. In che modo i suoi concetti di lealtà e fedeltà si differenziano da un legame mafioso?». All’interno delle tre domande che vertevano su questo argomento davo naturalmente per scontato che per Berlusconi i valori di lealtà e di fedeltà fossero interpretati in modo molto diverso da quello dell’omertà mafiosa. Ma questo a Bonaiuti non bastava. «Non potresti togliere quelle tre domande? Eppoi ce ne sono anche un altro paio?». «No». «Fammici riflettere. Ne parlerò col Presidente. Ti richiamo io». Non richiamò. Quell’intervista non si fece. Massimo Fini, Una vita - un libro. Marsilio.

Nei monasteri ho trovato maestri che insegnano senza mettersi in cattedra, solo con l’esempio. Solitudine, praticata però in comunità. Silenzio. Gusto per il lavoro ben fatto: nell’abbazia di Praglia un monaco novantenne ha curato per 60 anni da solo le siepi di bosso del giardino all’italiana e oggi controlla che un confratello più giovane esegua la potatura a regola d’arte. Giorgio Boatti, storico (Stefano Lorenzetto). il Giornale.

Mio padre, un greco bellissimo e molto maschilista con cui non ho diviso la vita un solo giorno, aveva divorziato da mia madre quando ero appena nata e mamma, una donna straordinaria capace di supplire alla sua assenza e all’interpretazione di due ruoli, aveva dovuto rimboccarsi le maniche. Arrivai a Catania a sette anni. Dopo le scuole medie, mi iscrissi al Liceo Cutelli dominato dall’estrema sinistra. Assemblee. Occupazioni. Impegno. L’estate era un passaggio lieto. Quindici giorni a Taormina e 15 a Vulcano. L’isola pareva Ibiza e mia madre, una ragazzina, sembrava nostra sorella. Girava in shorts e ci accompagnava a ballare. Una sera ci ritrovammo al Pyro Pyro. Non esiste più, ma all’epoca era un locale alla buona in cui si ballava. A Vulcano, ogni estate, arrivavano 20 mila ragazzi da tutta Italia. Tra loro, Anna Kanakis, Miss Vulcano 1977. Anna Kanakis, attrice (Malcom Pagani). il Fatto.

L’Arco della Vittoria di Monaco di Baviera, il Siegestor, è diverso e unico. Eretto nel 1840 per celebrare il valore dei bavaresi nelle guerre napoleoniche, nelle quali peraltro i nemici erano spesso altri Stati tedeschi, il Siegestor si offre allo sguardo nel suo lato Nord nel più tradizionale dei modi: ricche decorazioni, sculture e, a dominare il tutto, la statua in bronzo della Baviera su un carro trainato da leoni. Il lato sud è tutt’altra cosa. Danneggiato nella Seconda guerra mondiale, non è stato restaurato e tutta la sua parte superiore è un’unica pietra nuda e levigata. Su di essa, nient’altro che la scritta «Dem Sieg geweiht, vom Krieg zerstört, zum Frieden mahnend» («Dedicato alla vittoria, distrutto dalla guerra, incitante alla pace»): un messaggio a un tempo di gloria e di vergogna, di unità e di divisione, di futuro e di passato. Riccardo Franco Levi. Corsera.

Avevo quattro anni. I miei si separarono. Due metà che diedero vita a due mondi paralleli e incomunicabili. Mio padre era un uomo dell’ancien régime, legato ai poteri economici. Mia madre una donna semplice. Papà continuò a vivere nella sua villa sulla Cassia, con la cuoca e l’autista. La mamma andò ad abitare a San Lorenzo. Mi divisi, con mio fratello, tra queste due realtà. Tra lo sfrenato nazionalismo di lui e la precarietà di lei. Fu nel 1943 che decisi di andare in Russia come civile. Raggiunsi a Odessa un parente che era console. Avevo sentito parlare della città raccontata magistralmente da Puskin e Babel e sul cui splendore si era posata, come un gioiello, la scena della carrozzella che scendeva dalla scalinata nella Corazzata Potemkin. Mi accorsi che il celebre leone, simbolo della ribellione delle masse, in realtà era un’invenzione di Eisenstein. Non si era mai alzato, non aveva mai ruggito. Non c’era. Ero andato per ripercorrere le tracce di una rivoluzione. Vidi solo paura, miseria e morte. Gianfranco Baruchello, pittore. (Antonio Gnoli). la Repubblica.

Il demagogo è un farabutto che promette cose in cui lui stesso non crede. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 18/2/2015