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 2015  febbraio 18 Mercoledì calendario

TERREMOTO A VENETO BANCA

Prestiti facili a imprenditori e soci di riferimento che avrebbero progressivamente decurtato il patrimonio di vigilanza e forse finanziato l’acquisto di pacchetti azionari della banca. È questo il teorema di fondo dell’inchiesta che la Procura di Roma ha aperto su Veneto Banca e che ieri ha portato a una raffica di perquisizioni nelle principali sedi dell’istituto.
Nell’arco della giornata i militari del nucleo speciale di polizia valutaria e del nucleo di polizia tributaria di Venezia, coordinati dai magistrati Nello Rossi e Maria Francesca Loy, hanno passato al setaccio uffici e abitazioni private con uno spiegamento di forze che i testimoni diretti definiscono «impressionante». Segno che il procedimento (che vede al momento indagati per ostacolo alla vigilanza il direttore generale, Vincenzo Consoli, e l’ex presidente Flavio Trinca) potrebbe essere destinato a modificare in profondità le geografie del potere finanziario nel Nord Est.
Secondo quanto risulta, la Procura di Roma si sarebbe mossa sulla base delle risultanze ispettive della Banca d’Italia. Nel 2013, infatti, Via Nazionale ha fatto visita per ben due volte a Veneto Banca, passando al setaccio il 90% dei crediti dell’istituto e presentando poi agli amministratori un conto salatissimo. Le sanzioni da 2,7 milioni arrivate la scorsa estate agli ex amministratori sono infatti tra le più onerose mai comminate.
Ma quali sono state le contestazioni che la Vigilanza ha trasmesso poi alla magistratura? Nel mirino sono finite la tendenza della popolare «a concedere finanziamenti in assenza delle prescritte tutele in materia e a scapito di una puntuale valutazione del merito creditizio, con conseguente scadimento della qualità del portafoglio prestiti», spiega il rapporto di Bankitalia. Il management, inoltre, non avrebbe valutato correttamente i crediti deteriorati e le svalutazioni sarebbero risultate «inferiori a quelle dettate da una sana e prudenziale gestione degli impieghi, tali da far emergere in sede ispettiva maggiori perdite per 193 milioni».
Alcuni dei prestiti concessi, poi, potrebbero essere serviti per finanziare l’acquisto di consistenti pacchetti azionari della banca, secondo una pratica non del tutto inedita tra gli istituti non quotati. Dopo l’ispezione e la presentazione del verbale c’è stato un fitto scambio di corrispondenza tra Bankitalia e Veneto Banca, che, secondo i pm, avrebbe determinato il configurarsi del reato di ostacolo alla vigilanza.
La documentazione di Banca d’Italia costituisce insomma larga parte del materiale raccolto dai magistrati in questi mesi. L’indagine, infatti, sarebbe incardinata proprio sui rapporti tra le figure apicali della banca e un parterre di clienti-azionisti di riferimento. Le perquisizioni di ieri, infatti, non hanno interessato solo Veneto Banca, ma anche le abitazioni di sedici soci che «nel tempo, sono risultati destinatari di ingenti finanziamenti». Nuove rivelazioni in merito emergeranno quasi certamente nei prossimi giorni. «Veneto Banca ripone piena fiducia nell’operato della magistratura e della Guardia di Finanza», ha spiegato il presidente dell’istituto, Francesco Favotto, mentre le perquisizioni erano ancora in corso. «La banca», ha aggiunto, «garantisce la massima disponibilità a collaborare con le autorità, nelle modalità che riterranno più opportune».
Il terremoto giudiziario è arrivato proprio quando Veneto Banca sembrava aver ritrovato la normalità. Non solo per il superamento del comprehensive assessment della Bce, ma anche per la recente decisione di rinnovare il mandato a Consoli, passato lo scorso anno dal ruolo di amministratore delegato a quello di direttore generale. Forse però, suggerisce qualcuno, proprio la tenace difesa della continuità e dell’autonomia a tutti i costi ha prodotto quello scontro frontale con la Vigilanza di cui questa inchiesta è frutto.
Difficile per il momento prevederne gli esiti perché, se da un lato il lavoro investigativo potrebbe richiedere ancora qualche tempo, dall’altro lato il clima di incertezza non gioverà certamente all’attività ordinaria della banca. Forse la soluzione ideale potrebbe essere riaprire il dossier dell’aggregazione e non è escluso che qualcuno dalle parti di Montebelluna ci stia già pensando.
Luca Gualtieri, MilanoFinanza 18/2/2015