Maurizio Belpietro, Libero 15/2/2015, 15 febbraio 2015
«CARTE FALSE DALLA BANCA DEL PAPÀ DELLA BOSCHI» DIECI DOMANDE A RENZI
Qualche giorno fa abbiamo suggerito al presidente del Consiglio di spiegare in Parlamento perché a metà gennaio abbia avuto tanta fretta di varare per decreto la riforma delle banche popolari. In un Paese dove in nome della Costituzione si è negata l’urgenza di intervenire per impedire che qualcuno staccasse la spina a una donna, decretandone la morte, può essere ritenuta prioritaria una norma per trasformare gli istituti di crediti cooperativi in società per azioni? A noi sembrava di no e dunque ci sarebbe piaciuto che il capo del governo illustrasse le ragioni che lo hanno condotto a firmare il provvedimento. In particolare ci incuriosiva la tempistica del decreto, varato proprio nel momento in cui il presidio del capo dello Stato era vacante, nonostante di cambiare le regole delle Popolari si discuta da anni. Tuttavia, oltre a chiarire perché abbia voluto intervenire per decreto su una materia tanto complessa e discussa (al punto che il ministro Padoan ha accennato qualche perplessità), il premier farebbe bene a svelare altri misteri. A cominciare da quante persone fossero a conoscenza di ciò che si preparava nel retrobottega di Palazzo Chigi. Quanti sono i ministri e i funzionari di governo che hanno avuto tra le mani la bozza del decreto? Saperlo per lo meno ci consentirebbe di circoscrivere i sospetti su una vicenda che ha visto forti speculazioni sui titoli della banche popolari e che ha generato un’inchiesta per insider trading della Procura di Roma. Non solo: forse sarebbe anche il caso di dire se il provvedimento sia stato sollecitato dalla Bce, se cioè ci sia stato un intervento esterno e comunque tale da giustificare l’accelerazione del normale iter di riforma. È stato Francoforte a chiederlo? E allora perché non rendere tutto noto e trasparente? Soprattutto perché non fare un normale disegno di legge, che avendo un percorso meno frettoloso avrebbe consentito non solo un più accurato approfondimento delle norme, ma avrebbe anche evitato speculazioni. Proprio a questo proposito, Renzi avrebbe detto che un ddl avrebbe impattato sull’andamento dei titoli delle banche, ma con il senno di poi si è visto che a far schizzare in Borsa le azioni (oltre il sessanta per cento nel caso della Popolare dell’Etruria, la banca vice presieduta dal papà del ministro Boschi) è stato proprio il decreto. Uno sbaglio? Un errore di valutazione? E quanto è costata ai risparmiatori questa svista? Ma soprattutto, quanto hanno guadagnato alcuni investitori? Certo, sugli anomali profitti c’è un’inchiesta della magistratura, ma forse anche una interna a Palazzo Chigi non guasterebbe, perché consentirebbe al presidente del Consiglio di dare risposte più chiare e certe sui modi e i tempi con cui si è giunti al decreto. Anche perché, lo diciamo senza intenzione di alimentare sospetti, un’indagine amministrativa permetterebbe di conoscere la parte avuta dal ministro Boschi nella faccenda. Sapeva delle misure che si stavano cucinando a Palazzo Chigi? Ha mai avuto tra le mani una bozza del decreto? E il 20 gennaio era in Parlamento o altrove? Già che ci siamo aggiungiamo anche qualche altro quesito cui il premier dovrebbe rispondere, il principale dei quali è il seguente: qual è la natura dei rapporti di Matteo Renzi con il finanziere Davide Serra? L’uomo d’affari in passato fu tra i finanziatori della Leopolda, ma adesso è tra le persone informate dei fatti che la Consob e anche i pm vogliono ascoltare per chiarire eventuali fughe di notizie sulle Popolari. Dunque non sarebbe meglio anticipare l’audizione e chiarire se in questa faccenda Serra ha avuto un ruolo? Ultima ma non meno importante domanda: corrisponde al vero ciò che avrebbe fatto intendere il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, cioè che il decreto potrebbe essere rivisto? Come abbiamo visto il provvedimento ha fatto abbastanza pasticci e generato parecchi dubbi e sospetti. Dunque, anche per non alimentarne altri, rispondere non sarebbe solo cortesia ma un dovere.