Emanuele Mastrangelo, Libero 14/2/2015, 14 febbraio 2015
STRAMPELLI, IL GRANDE DIMENTICATO DELL’EXPO
Il tema dell’Expo di Milano è «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita» e la promozione dell’alimentazione all’italiana dovrebbe essere il principale mezzo per raggiungere l’obiettivo di migliorare quantità e qualità del cibo che abbiamo in tavola. Eppure, il grande assente di questi giorni è una figura storica che combina entrambe le cose: aumento della produzione alimentare ed eccellenza italiana: Nazareno Strampelli. Un nome che ai più non dice nulla, ma dovrebbe essere onorato come uno dei più grandi benefattori di tutti i tempi. Perfino una delle sue creature, il grano «senatore Cappelli», è più nota di lui, come varietà apprezzata dai gourmet per la produzione di pasta di alta qualità. In realtà il «Cappelli» non fu che uno dei primi tentativi di miglioramento genetico del grano e - paradossalmente - oggi viene considerato a torto come una varietà originaria di frumento. Ma il «Cappelli» è una creatura di laboratorio. Come lo sono la grandissima parte dei grani che vengono coltivati in tutto il mondo. E molti di essi discendono proprio da quei grani che Strampelli “inventò” nei primi 40 anni del ’900. Sì, perché Strampelli è considerato a ragione «il papà del grano». Nato a Castelraimondo (Macerata) nel 1866, si dedicò all’agronomia applicando alla selezione delle sementi le teorie di Gregor Mendel sull’ereditarietà. Mosso da sinceri sentimenti di filantropia, concentrò i suoi sforzi nella realizzazione di varietà di grano tenero - la base per la produzione del pane e dunque dell’alimentazione del popolo - che resistessero ai flagelli che fra fine Ottocento e inizio Novecento rendevano grama la vita dei contadini: l’allettamento (il piegarsi delle spighe sotto l’azione dei violenti temporali estivi), la stretta (il rachitismo dei chicchi di grano causato dalla siccità) e la ruggine (una malattia causata da funghi). Dopo molti tentativi, Strampelli, sempre più padrone delle leggi della genetica, intuì che incrociando fra loro grani differenti si sarebbe potuto selezionare varietà che racchiudessero le caratteristiche desiderate: una spiga non molto alta, la maturazione precoce e la buona produttività. Ottenne alla fine questo “miracolo” con l’ibridazione di un grano olandese, il «Wilhelmina» (ad alta resa) col rustico «Rieti» italiano e l’«Akakomugi» giapponese, un cereale di scarso valore alimentare ma dalla spiga bassa e a maturazione precoce. Fece tombola: il risultato fu il frumento «Ardito». L’anno era il 1913 e segnò una svolta epocale nella storia dell’agricoltura. Negli anni successivi Strampelli, assistito dalla moglie Carlotta, ottenne molte altre varietà di grano ibridato che miglioravano sensibilmente la resa. Nel 1923 il suo lavoro venne notato da Mussolini. Era l’uomo giusto per fornire al regime le armi con cui vincere la «battaglia del grano». Strampelli fu incoraggiato e finanziato: Vittorio Emanuele in persona mise a disposizione le tenute reali per le sperimentazioni degli ibridi. Non senza resistenza da parte dell’ambiente contadino - spesso conservatore e retrivo - le «sementi elette» (così erano chiamate le nuove varietà di grano ibridato di Strampelli), furono diffuse in tutto il territorio nazionale. Le rese dei campi aumentarono fino al 50%, da una media di scarsi 10 quintali per ettaro a quasi 15. I risultati eccezionali ebbero presto anche risalto all’estero, e molte nazioni chiesero e ottennero dallo scienziato italiano campioni dei suoi semi. Nel segno del suo grande altruismo, Strampelli inviava le sue creature a chiunque le chiedesse, senza pretendere alcun brevetto: dal Sudamerica all’Australia, fino alla Iugoslavia e alla Cina, dove - nel dopoguerra - le varietà di Strampelli contribuirono al successo delle rivoluzioni comuniste di quei Paesi, garantendo ai governi le risorse alimentari necessarie. In Italia, del resto, è probabile che durante la Seconda guerra mondiale furono proprio le sementi elette a evitare la tragedia della carestia, che invece sterminò centinaia di migliaia di persone in altri paesi d’Europa, come l’Olanda e la Grecia. Nel 1933 i sindacati fascisti lo proposero al re e al Duce per la nomina a senatore. Strampelli cercò di rifiutare, per il suo carattere schivo e modesto, ma il sovrano e Mussolini firmarono la nomina senza ascoltar ragioni. Al momento della pensione rifiutò tutti i vitalizi cui avrebbe avuto diritto affermando che la sola diaria di senatore gli sarebbe oltremodo bastata. Alla sua morte, avvenuta nel 1942, in piena guerra, chiese che il funerale fosse semplice e senza pompa per rispetto alle ristrettezze del Paese: la sola corona di fiori sul feretro fu quella che volle personalmente inviare Mussolini. Strampelli tuttavia non fu fascista nel senso ideologico della parola. Si iscrisse al PNF perché il regime lo aveva chiamato in posti di responsabilità, ma la sua adesione fu semplicemente quella di un uomo di buona volontà cui era stata data la possibilità di «lavorare per lo Stato e per la patria». L’abbraccio fra Strampelli e il regime consentì allo scienziato di disporre dei mezzi per condurre le proprie ricerche e vedere realizzati i suoi risultati a vantaggio dell’Italia e dell’intera umanità. Eppure fu proprio Strampelli che più di tutti dovette pagarne il prezzo: già negli anni Trenta il suo nome fu scartato per il Nobel. Dopo la guerra, poi, con la condanna del fascismo e la mistificazione dei risultati ottenuti dalla «Battaglia del grano», il suo nome scomparve dalla storia. Negli anni ’60 l’agronomo Norman Borlaug ottenne il Nobel per ricerche analoghe a quelle dello scienziato italiano e fu esaltato come il padre della «rivoluzione verde». In realtà le radici di quella rivoluzione erano tutte negli studi e nelle sementi di Strampelli.