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 2015  febbraio 15 Domenica calendario

IL DIAVOLO ZOPPO CHE SALVÒ LA FRANCIA

Trovo che vi sia tra gli storici, e non solo tra loro, una spiccata schizofrenia. Non è da lodarsi la coerenza e l’onestà intellettuale e il mantenimento dei propri principi e delle proprie idee anche a costo di rimetterci,
cosa che ci viene ribadita spesso?
E allora perché viene esaltato e definito di grande intelligenza politica e anticipatore dei suoi tempi Talleyrand, che è il principe del camaleontismo? Era stato un fedele suddito di Luigi XVI ma non esitò a schierarsi con Napoleone dopo il crollo della monarchia, così come senza pudore ridiventò monarchico con Luigi XVIII. Potrebbe tracciarne un profilo rispondendo al quesito che ho posto?
Antonio Fadda


Caro Fadda,
V i è più coerenza in Maurice de Talleyrand Périgord, principe di Benevento, di quanta ve ne sia in certi uomini politici che muoiono nello stesso partito a cui si erano iscritti in giovane età. Lo spirito tagliente delle sue battute, il suo cinismo, la sua capacità di sopravvivere da un regime all’altro e, soprattutto, le accuse dei suoi nemici, gli hanno cucito addosso la figura del «diavolo zoppo», scaltro, spregiudicato e corrotto. Ma la sua spregiudicatezza fu sempre al servizio della Francia.
Non fu, anzitutto, un fedele suddito di Luigi XVI. Quando furono convocati gli Stati generali, nel maggio 1780, Talleyrand era Vescovo di Autun e partecipò ai lavori del primo Stato insieme agli altri rappresentanti del clero francese. Votò la legge sulla costituzione civile del clero perché credeva nelle prerogative dello Stato rispetto alla Chiesa e riteneva che la Francia avesse bisogno di una riforma simile a quella che Giuseppe II, figlio di Maria Teresa d’Austria, aveva adottato per l’Impero austriaco.
Gli incontrollabili sussulti della società francese durante il Terrore lo avevano convinto della necessità di un forte potere esecutivo. Nella edizione riveduta e aggiornata del suo Napoleone , pubblicata da Salerno Editrice, Luigi Mascilli Migliorini ricorda uno scambio di lettere, nel 1797, fra Talleyrand (allora ministro degli Esteri del Direttorio) e Bonaparte, ancora impegnato nella campagna d’Italia, da cui risulta che i due uomini avevano su questo punto le stesse idee ed erano fatti per intendersi. S’intenderanno, infatti, sino a quando Talleyrand, prima della campagna di Russia, avrà la sensazione che Napoleone stesse trascinando la Francia verso il precipizio. Ebbe contatti con l’imperatore Alessandro di Russia perché sperò di costringere Napoleone a ripensare le sue strategie. E lavorò per la restaurazione dei Borbone perché soltanto il ritorno alla legittimità dinastica avrebbe salvato la Francia dagli avvoltoi che si sarebbero precipitati sul suo corpo.
La parola «legittimità» fu quella a cui ricorse più frequentemente durante il Congresso di Vienna. Gli permise di portare nel suo campo altri principi spodestati e di garantire alla Francia le sue vecchie frontiere. Il suo ultimo capolavoro diplomatico fu il Belgio. Quando era ambasciatore a Londra fece da padrino, con il governo inglese, al nuovo Stato, nato dalla rivoluzione del 1830.
So che fra le molte accuse rivolte a Talleyrand vi è quella di essere stato corrotto e venale. Posso soltanto ricordare, caro Fadda, che il concetto di «conflitto d’interessi» era alquanto diverso da quello dei nostri giorni, che la frontiera fra servizio pubblico e vantaggi privati era pressoché invisibile. Come a bordo delle navi di Sua Maestà britannica valeva il principio che una parte del bottino spettasse al capitano.