Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 15 Domenica calendario

IL CALCIO RIDOTTO A REALITY (MA CONTINUA A STREGARCI)

Tanto tempo fa il calcio è stato uno sport dove era possibile credere che vincesse il migliore. L’ultima volta è stato nel 1985, con lo scudetto del Verona. Poi arrivarono tv, globalizzazione, intrecci societari, scandali… Nessuno osa più dire, come si usava anni fa, che in fondo «il calcio è solo un gioco». Il calcio è prima di tutto un business .
Così, dopo il rigurgito del calcioscommesse e le dichiarazioni di Lotito, il tifoso che è in me combatte con la natura di homo sapiens e si chiede: fino a quando io e tutti gli altri appassionati potremo credere alla gigantesca messa in scena che è diventato il calcio? Poi, all’improvviso, la mia terza identità, quella professionale di regista, mi viene in soccorso: se ci crediamo ancora, è proprio perché è una messa in scena.
Il calcio moderno è un reality show . In questo senso, non solo è assolutamente in linea con lo spirito dei tempi, ma è anche ingenuo interpretarlo tramite concetti quali l’onestà. Chiunque sa che un reality è pilotato da una regia: ma è anche vero che, al contrario di un film, non è scritto in tutti i dettagli. Gli interpreti e le loro interazioni forniscono un margine di imprevedibilità che finisce per incuriosire il pubblico. Lo sai che è finto — ma è anche un po’ vero. Ed è proprio quello che ti piace.
Una partita è diventata come la puntata di un reality . In fondo all’animo, nessuno crede che ciò che succede in campo non sia influenzato da fattori esterni. Giocatori, arbitri, dirigenti hanno tutti a turno dimostrato di non essere credibili fino in fondo, proprio come uno del Grande fratello in confessionale. Eppure, ogni domenica, noi tifosi siamo lì a soffrire e sperare, illudendoci che il copione sia contraddetto da un evento non previsto dal reticolo di interessi economici che condizionano tutto il sistema. E quindi, paradossalmente, una giustificazione l’abbiamo. Tifare un senso ce l’ha ancora. Solo che, credendo di guardare il campionato, stiamo invece assistendo a una puntata di MasterChef.