Roberto Costantini, Corriere della Sera 15/2/2015, 15 febbraio 2015
QUANDO SIRTE ERA SOLTANTO PASTORI E SILENZIO
Misurata dista circa 250 chilometri da Sirte, andando lungo il golfo della Sirte verso Tripoli. Venerdì a Sirte sventolavano i vessilli nero cerchiati dell’Isis e i miei amici non si sono mossi da casa. A Misurata la gente approfittava della giornata festiva per affollare le moschee e i bar sul lungomare dove si fuma la shisha .
Quindi la distanza reale sembra inadeguata, come se un continente intero separasse le due città. È stato così da sempre.
Quasi un secolo fa i colonizzatori italiani conquistarono Misurata abbastanza facilmente. Ma per conquistare Sirte e la Cirenaica dovettero passare dalla semplice determinazione all’assoluta crudeltà.
Mezzo secolo fa, con i miei amici, andavamo all’alba a Misurata per la mattanza nella tonnara. Ma la sera ci spostavamo a Sirte per mangiare carne alla brace nel deserto. Perché Misurata sin da allora era commercio, mare, vita. E Sirte era pastorizia, agricoltura, silenzio. E a metà della guerra civile del 2011 Misurata fu la città più ribelle e Sirte quella più leale a Gheddafi.
I miei amici di Misurata dicono che i vessilli nero cerchiati dell’Isis non sventoleranno mai sui loro minareti e sul loro Municipio. Credo non lo dicano in virtù di una forza di resistenza militare troppo frammentata per essere reale ma per il convincimento fortissimo che l’Isis può arrivare ma non attecchire dove è forte lo spirito individuale, dal piccolo bottegaio all’imprenditore peschiero, il desiderio di viaggiare, l’accettazione della diversità multiculturale. In una parola sola, dove la libertà è un valore imprescindibile.
Ecco, credo che qualunque cosa l’Occidente debba o voglia fare bisogna partire da quello spirito e da quella città. Intervenire prima che quello spirito possa essere sepolto per altri 40 anni come ha fatto il Colonnello. Perché tra l’altro Gheddafi era un dittatore che inizialmente aveva coltivato la fantasia di poter esportare il terrore trasformando i soldi del petrolio in bombe, ma non aveva seguaci pronti a seguirlo per un ideale, solo per danaro. Così si era reso conto che era meglio lasciar perdere e badare agli interessi della sua numerosa famiglia. Con l’Isis i seguaci già ci sono e i soldi del petrolio libico potrebbero solo moltiplicarne la potenzialità.
Ho rifatto ai miei amici la vecchia domanda, quella che faccio loro ogni tanto da quando è caduto Gheddafi: meglio così? Rimpiangete il Colonnello? A Misurata, come sempre, nessuna esitazione, nessuno rimpiange Gheddafi. A Sirte mi sono sentito rispondere come allora: «Lui era diventato pazzo, ma altri pazzi arriveranno».
Bene, ora è il momento. Ora o mai più. Termini aborriti dalla diplomazia. Eppure è così. Un secolo fa andammo per prenderci una terra che non era nostra. Quasi mezzo secolo fa abbiamo lasciato che un dittatore prendesse in mano la Libia e ci abbiamo fatto tanti begli affari, alcuni particolarmente vantaggiosi. Poi nel 2011 abbiamo esitato da bravi italiani, in attesa di capire se schierarci col Colonnello e coi ribelli, salvo poi bombardarlo dopo avergli baciato la mano pochi mesi prima.
È ora per l’Italia di tornare dove forse non sarebbe mai voluta tornare. Questa volta non per prendersi qualcosa ma nello spirito della libertà di Misurata. Ed è il tempo di farlo non in coda agli altri, come nel 2011. Ma in prima fila, trainando anche gli indecisi, senza nascondersi dietro l’incertezza del dopo per procrastinare. Perché se lasceremo tempo all’Isis di colmare i 250 chilometri che separano Sirte da Misurata, poi tutto sarà terribilmente più difficile.