Stefano Montefiori, Corriere della Sera 15/2/2015, 15 febbraio 2015
«NON SPARANO NEL MUCCHIO SONO SIMBOLI SCELTI CON CURA PER ESASPERARE LE REAZIONI»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI «Se guardiamo anche a quello che è successo in Francia un mese fa, è difficile capire quanto ci sia di organizzato e quanto di spontaneo in questo genere di azioni». Il politologo francese Dominique Moïsi, docente a Sciences Po a Parigi e al King’s College di Londra, analizza il nuovo attacco terroristico nel quadro europeo.
Gli episodi si stanno ravvicinando. È il frutto di una strategia decisa da un’autorità centrale?
«Per il momento è impossibile dirlo. Assistiamo a dei giovani islamisti che si radicalizzano via Internet e passano all’azione, ma è sempre complicato stabilire se siano appartenenti in modo organico a un gruppo terroristico internazionale o se siano dei lupi solitari che prendono iniziative autonome, che vanno comunque nella direzione dei principi enunciati da Isis (lo Stato islamico, ndr) o Al Qaeda».
Perché la libertà di espressione torna al cuore dello scontro?
«C’è una situazione in Europa che vede dei giovani musulmani che si sentono in guerra con la società occidentale, che si sentono “aggrediti” dalle caricature. La Danimarca è il Paese dove le caricature di Maometto furono pubblicate per la prima volta a fine 2005 e dove scoppiarono manifestazioni di strada a inizio 2006».
Copenaghen è quindi un luogo centrale, in quest’ottica.
«La presenza dell’ambasciatore francese e la Danimarca sono i due elementi che fanno del dibattito in corso a Copenaghen un bersaglio ideale dal punto di vista simbolico. Vedremo nei prossimi giorni se questa è stata un’azione lungamente preparata, magari frutto di una decisione presa dai vertici terroristici nel mondo arabo».
C’è un legame con gli attentati di inizio gennaio in Francia?
«Più conosciamo dettagli di quel che è successo in Francia, meno quegli attentati risultano chiari da un punto di vista dell’organizzazione. I fratelli Kouachi autori della strage a Charlie Hebdo hanno detto di agire per conto di Al Qaeda nella penisola arabica, Amédy Coulibaly ha dichiarato di fare parte di Isis. Se così fosse, se quei terroristi islamici fossero stati organicamente parte di quelle formazioni, non avrebbero forse avuto bisogno di chiedere un prestito in banca per comprare i kalashnikov, e i fratelli Kouachi non avrebbero vagato soli per la campagna francese senza una rete di protezione presso la quale rifugiarsi».
Lei sembra quindi propendere per la tesi dei lupi solitari.
«Ci sono persone che si dichiarano in guerra contro di noi, e agiscono. Dopodiché, è probabile che a posteriori Isis rivendicherà anche l’attentato di Copenaghen: ha contribuito di sicuro fornendo la motivazione ideologica, ma non sappiamo ancora se è in grado di offrire ai terroristi islamici sul territorio europeo anche un vero appoggio logistico».
Gli obiettivi sembrano scelti con cura.
«Dal punto di vista dei terroristi prendersela con Charlie Hebdo è stato molto intelligente, poi i poliziotti in uniforme, il supermercato ebraico, oggi un dibattito a Copenaghen con l’ambasciatore di Francia sulla libertà di espressione... Non colpiscono nel mucchio».
Anche a Nizza l’attentatore Moussa Coulibaly aveva scelto un obiettivo ebraico.
«Esatto, bersaglio preciso, e poi è entrato in azione con un coltello contro tre soldati armati. Quello che colpisce di queste azioni è che si tratta sempre di un mix tra sofisticazione simbolica e un certo tasso di dilettantismo. Quel che è certo è che comunque questi atti fanno il gioco dei populismi. C’è in Europa un clima di grande tensione, lo abbiamo visto anche da come è stato accolto il libro di Michel Houellebecq Sottomissione , che immagina una Francia islamizzata nel prossimo futuro. Questi attentati vogliono esasperare le nostre paure. Sono continue dichiarazioni di guerra».