Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 15/2/2015, 15 febbraio 2015
MOLESKINE, LA SFIDA DEL TACCUINO «HI-TECH» FOCUS SUI NEGOZI A GESTIONE DIRETTA
Aumentare la visibilità del marchio. Poi, fare crescere il numero dei negozi a gestione diretta. Inoltre, incrementare ulteriormente la diversificazione del portafoglio prodotti. Sono tra le priorità del gruppo Moleskine. Una società il cui business dei taccuini (e altri prodotti su carta)subisce la concorrenza dei supporti digitali. Questi, a ben vedere, possono costituire una spada di Damocle per la sua attività. L’azienda, che secondo i dati preliminari nel 2014 ha riportato ricavi in rialzo del 13,4%, rigetta l’obiezione. Moleskine, infatti, sottolinea di vendere non solo agendine, bensì anche un marchio che il cliente riconosce quale rappresentazione di valori come la creatività o la cultura. Chi compra un taccuino è disposto a pagare perché l’agendina richiama elementi intangibili (per l’appunto cultura o fantasia) che la tecnologia, in quanto fredda, non è in grado di offrire. Paradossalmente, la sempre maggiore pervasività dei prodotti hi-tech produce la domanda di supporti di carta su cui, ad esempio, scrivere il proprio diario personale. In tal senso, secondo la società, ci sono gli spazi per fare crescere il business. Non solo, l’integrazione tra il tradizionale taccuino e, ad esempio, iltablet è un obiettivo del gruppo stesso. Al di là delle strategie, quali però i possibili sviluppi del business? L’azienda, rispetto alla redditività, ribadisce la fiducia di potere raggiungere i target attesi sul 2014. Cioè, l’ebitda compreso tra 33 e 34 milioni. Per il 2015, invece ha confermato l’obiettivo di un fatturato compreso tra i 115 e 120 milioni.
Incrementare la visibilità del marchio. Poi, aumentare il numero dei negozi a gestione diretta (Dos). Ancora, accrescere ulteriormente, anche con il meccanismo della licenza, la diversificazione del portafoglio prodotti. Sono tra le priorità del gruppo Moleskine. Una società la cui attività, a causa del suo nome, viene «pavlovianamente» associata al taccuino nero usato da Ernest Hemingway e Bruce Chatwin. Il che, ovviamente, è corretto. Ma non completamente: il business infatti è più articolato. Così, per comprendere quali le dinamiche di Moleskine il primo passo è guardare il suo oggetto sociale.
Ebbene, il gruppo suddivide il business in tre aree. Dapprima ci sono le collezioni paper: cioè, i prodotti su carta (dai taccuini alle agende fino ai prodotti regalo). Questi, secondo i dati preliminari del 2014, rappresentano il 91,6% dei ricavi complessivi (erano il 92,9% dodici mesi prima). Poi c’è la seconda categoria: il «Writing, travelling & reading» (collezioni «Wtr»). Si tratta di oggetti e accessori per la scrittura, il viaggio e la lettura. Qui, ad esempio, sono compresi: le borse a marchio Moleskine; oppure le penne, gli occhiali o le lampade per leggere. L’incidenza di quest’area, sempre a fine 2014, è dell’8,4% (7,1% a fine 2013). Infine, la cosiddetta area «Digital»: ad esempio, le applicazioni per tablet e smartphone. A ben vedere, questa divisione è ancora ricompresa all’interno delle collezioni «Wtr». La società non indica quale sia la sua incidenza sul giro d’affari ma, secondo le stime di mercato, dovrebbe assestarsi tra il 2-3%. Descritto, in grandi linee, il business di Moleskine proprio il mondo del digitale richiama un tema che è essenziale per capire le dinamiche, attuali e future, del gruppo. Si tratta del rapporto tra carta e bit elettronici. Il boom dell’informatica di consumo ha fatto sì che la nostra vita quotidiana sia pervasa di prodotti hi-tech. Oggetti che, spesso, sono in concorrenza con l’utilizzo del supporto cartaceo. Un esempio? L’e-mail che ormai ha quasi sostituito la «classica» lettera su carta. Ebbene, a fronte di questo fenomeno è lecito dubitare sugli spazi di crescita per un business quale quello di Moleskine. Cioè, il digitale può costituire una spada di Damocle per l’attività del gruppo. Diversi esperti rigettano l’obiezione. In particolare, viene ricordato l’andamento del giro d’affari: nel 2014, rispetto al 2013, i ricavi sono cresciuti del 13,4% a cambi correnti (+13,1% a tassi costanti). Certo, il valore complessivo in se del fatturato (98,67 milioni) è rebus sic stantibus riconducibile ad una Pmi. E, però, se smartphone o tablet costituissero veramente quella realtà che «cannibalizza» i taccuini di Moleskine l’incremento non dovrebbe sussistere. L’azienda, anche lei, rigetta i dubbi e articola le argomentazioni. Certo, è l’indicazione, se il mercato di riferimento fosse quello in cui l’unico obiettivo è produrre supporti per scrivere, allora la rivoluzione digitale creerebbe problemi. Tuttavia, così non è. Moleskine sottolinea di vendere non solo taccuini, bensì anche un marchio che il cliente riconosce quale rappresentazione di valori come la creatività o la cultura. Chi compra un taccuino, aggiunge l’azienda, è disposto a pagare perché l’agendina richiama elementi intangibili (per l’appunto cultura o fantasia) che la tecnologia, in quanto fredda, non è in grado di offrire. Paradossalmente, la sempre maggiore pervasività dei prodotti hi-tech produce la domanda di supporti di carta su cui, ad esempio, scrivere il proprio diario personale. La dinamica indicata, peraltro, riguarda persone con buon tasso di scolarizzazione e un reddito che, a differenza del lusso, non deve essere così elevato. Una fascia di popolazione, a livello mondiale, stimata nel 2011 a 230 milioni di unità e che nel 2020 dovrebbe quasi raggiungere quota 320 milioni. Potenziali clienti rispetto ai quali il business di Moleskine è ancora limitato. Quindi, è la conclusione dell’azienda, i margini di espansione ci sono.
Ciò detto, il digitale è anche un’opportunità. In tal senso, ad esempio, la società ha stretto di recente una partnership con Adobe. L’intesa ha definito delle tecnologie che, grazie ad un particolare tipo di carta, permettono attraverso la fotografia da smartphone (per ora solo con l’iPhone) di trasferire il disegno realizzato sul taccuino al computer. Per, poi, proseguirne la realizzazione. Insomma, la scommessa per Moleskine è di creare prodotti ibridi che offrano l’integrazione tra carta e digitale.
Fin qui alcune indicazioni sulle strategie del gruppo. Quale però lo sviluppo sul fronte della distribuzione. Ebbene, alla fine del 2014, la divisione dei canali di vendita è la seguente: il wholesale incide per 69,1% e il Business to Business (b2b) per il 18,7%; il peso dell’e-commerce è il 4,2% e quello del retail l’8,1%. Si tratta di un «break down» da cui, rispetto al 2013, saltano fuori due dinamiche: i ricavi del canale all’ingrosso, seppure saliti in valore assoluto, diminuiscono la loro incidenza; il peso dei Dos sul totale, invece, aumenta. La dinamica, fermo restando l’obiettivo dell’incremento di tutti canali, prosegue? Moleskine, in primis, sottolinea che il minore peso del wholesale non è conseguenza di una strategia definita ma solo l’effetto, da un lato, della crescita di canali avviati più di recente (ad esempio, lo stesso retail); e, dall’altro, delle dinamiche di mercato. Ciò detto, per il 2016 il gruppo indica che l’incidenza della distribuzione all’ingrosso dovrebbe essere al 59%; quella del commercio elettronico al 5% mentre il b2b è stimato al 18%. Infine, il retail è previsto generare il 19% dei ricavi complessivi.
Di fronte a questo andamento il risparmiatore esprime un dubbio: per quanto il canale all’ingrosso diminuisca la sua incidenza mantiene un ruolo predominante. Il che, a fronte della presunta minore redditività rispetto a quello retail, non è un aspetto positivo. Moleskine rigetta la considerazione. In primis, la marginalità del canale all’ingrosso è più alta di quella del retail: nel 2011 infatti, quando i Dos non erano ancora avviati, il valore era maggiore. Inoltre, il canale all’ingrosso è gestito in larga parte attraverso distributori locali. Il che permette a Moleskine di affrontare minori costi operativi e, quindi, avere maggiore ebitda margin. Qui, però, può obiettarsi che il wholesale indiretto permette minore controllo sul prodotto e la sua corretta presentazione finale. Al dubbio gli esperti ribattano che i prodotti di Moleskine non sono di lusso bensì «branded accessory». Vale a dire, oggetti in cui il marchio è rilevante ma rispetto ai quali non è così strettamente necessario, come nel «luxury», creare spazi ad hoc in cui «vendere» lo stile o il valore dell’oggetto. Quindi, l’efficacia del canale permane.
Ciò detto, in mercati importanti quali ad esempio la Germania il wholesale indiretto è stato sostituito con quello diretto. Il che, giocoforza, implica maggiori oneri per l’azienda. Allo stato attuale, conclude Moleskine, circa il 33% del canale all’ingrosso è diretto. Una percentuale equilibrata che non modifica l’impostazione di fondo sulla marginalità del canale stesso.
Già, il canale distributivo. Su questo fronte uno sforzo è comunque nel retail. La società conferma la previsione di circa 20 aperture di Dos l’anno con un investimenti nel 2015 di 3-3,5 milioni. Rispetto alle aree geografiche non c’è una preferenza. Più rilevante, invece, la tipologia dei punti di vendita. Le aperture dovrebbero concentrarsi nei grandi magazzini (mall) in Cina; oppure lungo le «street» (strada) negli?Usa, Europa e Greater China. Riguardo, invece, al travel retail (aeroporti o stazioni)? La volontà di incrementare la presenza c’è: tuttavia, mentre in Italia le controparti sono ben definite, all’estero è più difficile raggiungere delle intese. Infine, vengono esplorate anche le opportunità nei grandi magazzini urbani europei.
Al di là delle singole tipologie il retail indubbiamente cresce. Il che comporta una diluizione della marginalità. La stessa società nel piano d’impresa 2014-2016, di cui è stato confermato il target di ricavi a fine 2015 (115-120 milioni), indica un ebitda margin che va diminuendo. Una dinamica che fa storcere il naso al risparmiatore. La società rigetta il timore. L’andamento è, per l’appunto, conseguenza di una strategia voluta: in particolare, degli investimenti sul canale retail. Un programma finalizzato ad incrementare i ricavi e i profitti. Insomma, è la conclusione: la marginalità percentuale non è un totem in sé. Finché rimane a questi livelli è assolutamente valida e permette di sviluppare una sana e sostenibile crescita.
Quella crescita, indica Moleskine, che da un lato permette di prevedere nel 2014 la conversione in cassa operativa oltre il 30% dell’Ebitda; e, dall’altro, di confermare la posizione finanziaria netta positiva nel 2015. E riguardo alla redditività? La società ribadisce la fiducia di potere raggiungere gli obiettivi attesi sul 2014. Cioè, l’ebitda compreso tra 33 e 34 milioni.
Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 15/2/2015