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 2015  febbraio 15 Domenica calendario

SERRA, MPS E I MISTERI DELLE POPOLARI

La pubblicazione del verbale del Consiglio dei ministri del 20 gennaio non risolve tutti i misteri attorno alla riforma delle banche popolari. Il ministro Maria Elena Boschi, si legge, non era presente e quindi ha evitato di trovarsi in conflitto di interessi, in quanto piccola azionista della Banca Etruria e figlia dell’allora vicepresidente. Ma i misteri finanziari sono ben lontani dall’essere chiariti. Vediamo perché.
Uno dei più stretti collaboratori del premier Matteo Renzi ha detto al Fatto Quotidiano che la riforma delle popolari, con l’obbligo di trasformarsi in società per azioni per quelle con l’attivo superiore a 8 miliardi, “l’ha scritta la Banca d’Italia”. Visti i plausibili negoziati con Palazzo Chigi, la data in cui hanno iniziato a circolare informazioni utili a chi voleva speculare in Borsa, sono da datare anche prima del 3 gennaio individuato dal presidente della Consob, Giuseppe Vegas, come l’inizio della fuga di notizie o delle illazioni. È legittimo risalire addirittura ai giorni attorno al 26 ottobre, quando escono i risultati degli stress test della Bce sul settore bancario che determinano l’esigenza di aumenti di capitale, fusioni e acquisizioni. E infatti proprio il 27 ottobre, come ricostruito ieri dal Sole 24 Ore, si registra un picco di opzioni call con scadenza a marzo sul Banco Popolare . Tradotto: qualcuno pensava che a marzo il valore di una delle popolari più grandi sarebbe stato più alto quindi si impegnava a comprare a una data futura a un certo prezzo fissato con mesi di anticipo. Come mai tanta fiducia nel rialzo? Magari proprio per la riforma del governo. Soltanto i piccoli risparmiatori cercano di fare profitti comprando e vendendo azioni, i professionisti usano contratti derivati, dalle semplice opzioni a strumenti più sofisticati, magari scambiati su mercati non regolamentati. Le ingenti oscillazioni di Borsa nei giorni a ridosso della riforma potrebbero essere state soltanto la spia di qualche movimento più imponente che avveniva nell’ombra.
Sembra che tutto renda urgente la riforma (e quindi i rialzi di Borsa che ne derivano), e questo legittima gli investimenti di chi, sempre con opzioni, ha puntato su Ubi: il 20 gennaio la riforma che impone alle banche popolari di abbandonare il voto capitario e far votare i soci in base agli investimenti invece che con la regola “una testa un voto”. L’11 febbraio la Guardia di Finanza perquisisce gli uffici di Ubi, i capi delle associazioni che organizzavano il consenso degli azionisti, dominavano assemblee e spartivano cariche, tra questi Giovanni Bazoli, sono indagati per ostacolo alla vigilanza. La trasformazione di Ubi in società per azioni non è dunque solo inevitabile, ma sarà rapida. Due giorni dopo il Monte dei Paschi di Siena dichiara una perdita da 5,4 miliardi di euro, annuncia di non poter pagare gli interessi sui prestiti pubblici Monti bond e quindi lo Stato a luglio sarà di nuovo azionista con il 13 per cento. Guarda caso Ubi banca è l’unico soggetto che potrebbe integrarsi con Mps.
Terzo punto curioso. Sempre sul Sole 24 Ore, Fabio Pavesi ha dimostrato che il finanziere amico di Renzi, Davide Serra, ha comprato azioni del Banco popolare nel marzo 2014 e le ha vendute nei giorni a ridosso della riforma, perdendo circa 21,3 milioni di euro. Un comportamento inspiegabile per un investitore avveduto come Serra. E questo è il punto più misterioso. Perché il suo fondo Algebris ha venduto? E chi ha comprato? Magari alla perdita di Algebris corrisponde il guadagno di qualcuno che invece ha scommesso sulla riforma imminente. Chissà se la Consob, oltre a citare in Parlamento articoli di giornale e rumors, riuscirà a produrre anche qualche prova concreta di cosa è successo nei mesi scorsi.
Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 15/2/2015