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 2015  febbraio 15 Domenica calendario

“L’ INDUSTRIA DEL LUSSO È LA PRIMA A RIPARTIRE IN TEMPI DI CRISI”

[Intervista a Massimo Ferragamo] –
Massimo Ferragamo, lei come è diventato il «Ferragamo d’America»?
«Le cose migliori accadono per caso. Parlando con il chairman di Saks Fifth Avenue di passaggio a Firenze, mentre ero studente di legge, mi propose di fare un executive training alla Saks Fifth Avenue di New York che, all’epoca, era il maggior cliente di Ferragamo. Avevo vissuto 23 anni a Firenze, trovai l’offerta appetibile, chiesi a mia madre di interrompere l’università per fare il corso di 6 mesi a New York. Mi dette il permesso, ma poi dovevo tornare a Firenze e laurearmi».
Poi che cosa è successo?
«Ho fatto i miei 6 mesi e mi sono innamorato di New York. All’epoca stavamo aprendo i nostri uffici diretti lì, così chiamai mia madre e mio fratello Ferruccio e dissi che non volevo tornare per finire Giurisprudenza. Aggiunsi che avrei fatto volentieri un’esperienza di 3 anni nei nostri uffici. Da un lato furono dispiaciuti, dall’altro contenti che entrassi nell’azienda di famiglia».
E come è andata?
«I 3 anni sono diventati 33».
Com’è la vita tra due continenti?
«Sei sempre su un aereo, ma nessuno come gli europei può veramente apprezzare l’America, forse più degli americani stessi. Niente è troppo grande o non realizzabile negli Usa».
Che cosa rappresenta il mercato Usa per Ferragamo?
«E’ sempre stato quello di riferimento. Mio padre, Salvatore, ha iniziato aprendo il primo negozio a Hollywood: è partito dall’America, dove ora abbiamo 48 negozi. Rappresenta il 23% di quello che facciamo nel mondo».
Sono sempre le scarpe il vostro primo prodotto?
«Diciamo la pelle».
Tutto made in Italy?
«Al 110%: tutto è fatto tra la Toscana e il Sud Italia».
Si ricorda di suo padre?
«Purtroppo no, quando è morto non avevo ancora 3 anni, mia madre mi ha fatto da madre e da padre, con mio fratello Ferruccio».
Ognuno di voi 6 fratelli ha un ruolo in azienda...
«Sì, tutti abbiamo voluto aiutare mia madre che ha preso in mano l’azienda dopo la morte di mio padre, nel 1960».
La Ferragamo è quotata in Borsa, come mai?
«Da 3 anni: è una scelta per dare continuità e solidità all’azienda».
Ferragamo in America è molto conosciuta?
«Sì, perché c’è da tanto tempo, è garanzia di tradizione, ma devi rimetterti in gioco ogni giorno».
Come va l’industria del lusso nei momenti di crisi?
«E’ l’ultima a subire la crisi ed è la prima a ripartire».
Come mai?
«Quando fai prodotti che hanno un valore intrinseco e il giusto rapporto prezzo-qualità, non ci può essere crisi per gli accessori che sono necessari».
E la moda?
«Forse è quella che risente di più delle crisi».
Lei fa anche altri lavori in Italia.
«Si, anni fa ho comperato “Castiglion del Bosco”, azienda storica a Montalcino, produttrice di Brunello, che ho restaurato e trasformato anche in un resort. La parte vinicola è una mia passione. Oggi siamo la 5° azienda produttrice di Brunello. La nostra famiglia ha come seconda natura quella immobiliare».
Possedete anche alberghi...
«Si, la “Lungarno Alberghi” che ha bellissimi hotel accanto al Ponte Vecchio a Firenze e un piccolo albergo a Roma in via Condotti. Se ne occupa mio fratello Leonardo».
In cosa consiste il suo lavoro?
«Spero di essere un occhio vigile per la famiglia e i nostri interessi negli Usa».
Lei è anche amministratore di Yum Brand , il gruppo che possiede Kentucky Fried Chicken, Pizza Hut e Taco Bell. Come mai?
«Me l’ha chiesto il chairman della Andy Pearson che aveva lavorato con me su un “caso studio” di Ferragamo per la Harvard University. Quando fu chiamato nel ’97 per organizzare lo spin-off di queste società dalla PepsiCo, mi domandò se volevo far parte del board. Ne fui onorato».
Che cosa ha imparato in Usa?
«Tantissimo, soprattutto il modo di lavorare efficiente e pratico».
Ma è Firenze la sua città?
«Mi manca e ci vado spesso. Il cuore batte per la Fiorentina!»
I suoi figli?
«Ho due maschi che si sentono italiani, ma sono nati e vissuti in America». Uno, quando aveva 8 anni, mi ha detto che, se c’è il Mondiale di calcio, si sente italiano e, se c’è una guerra, si sente americano».
E la famiglia?
«Sono sposato con Chiara da 20 anni, lei è stata subito affascinata da New York, come me. Naturalmente è anche importantissima la famiglia allargata. Mia madre ha sempre messo in pratica una totale uguaglianza che è alla base della grande unione tra noi fratelli».
Alain Elkann, La Stampa 15/2/2015