Niccolò Zancan, La Stampa 15/2/2015, 15 febbraio 2015
ALBA ORFANA DEL PATRON “LUI CI CHIAMAVA PER NOME”
Il patriarca è morto. Piove sulla città del cioccolato più famoso del mondo. Sono le nove di sera e cinquanta operai, su quattromila, stanno facendo un turno straordinario per finire gli incarti delle uova pasquali. Per le strade di Alba, trovi solo un grande silenzio. Sarebbe piaciuto moltissimo a Michele Ferrero. «La notizia non è stata comunicata formalmente ai dipendenti, ma tutti abbiamo saputo», dice un guardiano all’ingresso.
La signora De Stefanis
A un chilometro da questa fabbrica con l’insegna gialla illuminata, c’è un piccolo alloggio che profuma di cibo buono. Due stanze, una sola fotografia appesa alla parete del soggiorno. La televisione è accesa. La signora Pina De Stefanis con il cuore «scombussolato», si scusa per gli occhi lucidi. «Il mio cartellino era il numero 51 - racconta - avevo 14 anni. Timbravo ogni mattina alle 8. Ero la più giovane della fabbrica. Lavoravamo a dei panetti di cioccolato che noi chiamavamo “il Susi”. Era fatto di pasta gianduia. Michele Ferrero andava a vendere queste barrette personalmente ad Asti, su una Topolino. All’inizio, era molto preoccupato. Ma gli ordini, per fortuna, continuavano ad aumentare. Era il settembre del 1952, io portavo a casa il mio primo stipendio».
40 anni in azienda
La signora De Stefanis è rimasta a lavorare alla Ferrero per quasi quarant’anni. Ecco perché adesso è attraversata da tantissime emozioni complicate da tenere a bada. «Stavo mangiando la minestrina, quando mi ha chiamato mia sorella Lucia. Aveva una brutta voce, diceva: “Guarda la televisione. E’ morto…”. Allora ho capito...». Non serve neppure pronunciare il nome, certe volte. Dentro questo mondo dai confini rassicuranti. «Andavo a lavorare a piedi d’inverno, in bicicletta d’estate. Ero molto orgogliosa del mio impiego. Vengo da una famiglia di contadini. Michele Ferrero era sempre in mezzo a noi, prima come un fratello maggiore, poi come un padre. L’avrò visto centinaia di volte. Salutava in piemontese, ci chiamava per nome. Era cordiale. Noi operaie sapevamo che era giù in laboratorio, ad assaggiare i prodotti e le materie prime». La signora De Stefanis ha visto arrivare i primi macchinari per la produzione industriale: «Venti pezzi al minuto e noi, all’inizio, non riuscivamo a starci dietro perché eravamo abituate al lavoro manuale». Ha visto il successo del Sultanino, primordiali stecche di cioccolato per la merenda dei bambini. Ha visto le colonie estive per i dipendenti: «La prima è stata quella al castello di Cravanzana». Ha lavorato per dieci anni agli ovetti Kinder, che ancora riceve nel pacco dono di Natale, anche da quando è andata in pensione. Intanto, Michele Ferrero, quello che guidava la Topolino, è diventato il ventiduesimo uomo più ricco del mondo. «Io non so spiegare il suo successo. Siamo andati avanti lavorando con semplicità. Provo una profonda gratitudine. Questa casa, i risparmi, tutta la mia vita sono collegate a quell’insegna gialla».
Sempre presente
Alle dieci, la pioggia è quasi neve. Entrano le operaie del turno di notte. Producono il Bready, una cialda salata con dentro la Nutella. Vanno avanti come in un giorno qualunque. «A lui dobbiamo il privilegio di essere tranquille - raccontano - sapere di ricevere lo stipendio ogni mese».
Il sindaco di Alba si chiama Maurizio Marello: «L’ho incontrato solo una volta, nell’aprile del 2013, dopo che purtroppo era morto il figlio Pietro. Michele Ferrero era tornato ad essere molto presente in azienda, per dare slancio a tutti. Era una persona semplicissima, estremamente riservata, di grande fede, molto legata ai valori della famiglia. Un uomo tutta sostanza e niente immagine. Gli volevamo bene anche per questo atteggiamento, oltre che per quello che ha fatto». Alla fine sono diventati identici, come in un gioco di specchi, Alba e il patriarca. Questione di stile. Le notizie sono stringate al massimo. Il rientro della salma da Montecarlo dovrebbe avvenire entro lunedì, i funerali si celebreranno a metà settimana, probabilmente. Sarà una giornata di lutto profondo, ma non di dolore esibito. Nicola Blundo per 37 anni è stato impiegato alla Ferrero. Anche lui si scusa, perché per un attimo non riesce a trattenere le lacrime: «Parlava in piemontese anche a me, che ero arrivato dall’Irpinia. Era una persona straordinaria. Faceva sentire tutti a loro agio. Aveva un profondo rispetto per le persone. L’ultima volta, l’ho visto a giugno, alla festa degli anziani alla Fondazione Ferrero. Sapevo che era malato, ma non ne faceva parola. Si è commosso per gli applausi, per i ricordi, per l’affetto: tutti eravamo molto emozionati. Questo era Michele Ferrero. Semplicità e riservatezza. Diceva: “Lavoriamo bene e cerchiamo di non dare nell’occhio”».
Niccolò Zancan, La Stampa 15/2/2015