Stefano Elli, Il Sole 24 Ore 14/2/2015, 14 febbraio 2015
NELLE OPZIONI CALL LA CHIAVE DELL’INSIDER
MILANO
La procura di Milano sta valutando la possibilità di aprire un fascicolo sull’ipotesi di insider trading nel caso della volata delle popolari successiva all’annuncio della riforma per decreto voluta dal governo guidato da Matteo Renzi e annunciata il 20 gennaio scorso (ma le prime indiscrezioni si sarebbero diffuse già a partire dal tre dello stesso mese). Allo stato, dunque, non risulta formalmente aperto alcun dossier al quarto piano del palazzo di Giustizia di Milano, dove il primo dipartimento retto da Francesco Greco si tiene, tuttavia, a stretto contatto con i colleghi romani e con il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza, che è stato formalmente investito solo ieri di una delega ufficiale dal procuratore capitolino Giuseppe Pignatone e dall’aggiunto Nello Rossi.
Di certo una forma di coordinamento tra le due procure potrebbe essere una modalità di accertamento dei fatti percorribile e auspicabile. Anche perché, se la competenza romana sui fatti di insider ipotizzati è resa quasi pacifica dall’eventuale funzione pubblica di coloro che avrebbero fatto trapelare le informazioni, dall’altro lato la piazza finanziaria su cui si sarebbero effettuati gli investimenti «truccati» sarebbe quella milanese.
Anche se non è affatto detto che le cose siano andate esattamente così. Sì perché in realtà i decolli verticali più evidenti registrati sui trend dei titoli sotto osservazione: BancaEtruria, Credito Valtellinese, Banca popolare di Milano, Banca popolare di Sondrio, Banca popolare dell’Emilia, UbiBanca e Banco popolare), hanno più l’aria di una «coda»: cioè di una corsa agli acquisti effettuata da investitori che arrivano in trafelato ritardo rispetto ai privilegiati detentori delle informazioni. Una chiave di lettura degli eventi che con tutta probabilità gli inquirenti non trascureranno di accertare sono i contratti di opzione call (da chiamata, acquisto) ossia quei contratti una volta definiti a premio, che consentono agli operatori di «prenotare» l’acquisto di titoli (in questo caso azionari) a un prezzo prefissato, versando una sorta di caparra (nel caso di contratti di vendita si chiamano «put»). Che cosa significa? Se io operatore «bene informato» so per certo che accadrà qualcosa su un titolo (e lo so con mesi di anticipo) posso prenotare il medesimo titolo garantendomi, alla scadenza del contratto, una lauta plusvalenza. A meno che, come accade nel film «Una poltrona per due», l’informazione non risulti sbagliata.
È possibile fare operazioni analoghe anche su mercati non regolamentati, fuori mercato o, come dicono gli inglesi, over the counter. Per non figurare sui book, sui libri di registrazione delle operazioni, e per non influire sul tam tam telematico che inevitabilmente concentra l’attenzione di trader professionisti (o meno) su ogni anomalo rialzo. L’attenzione, tra gli altri, è su due titoli delle banche popolari interessate dai bruschi rialzi successivi al 20 gennaio: quelle meno esposte a eventi straordinari che avrebbero potuto condizionarne gli andamenti di Borsa. Si osserva che qualcosa è effettivamente accaduto. In particolare sul titolo del Banco popolare, sin da agosto, intorno al 12, sono stati sottoscritti sino a 12mila contratti di opzione con scadenza marzo, ciascuno per mille titoli a contratto. Prima anomalia. Si tratta di un periodo molto lungo. Troppo - a giudizio degli operatori contattati dal Sole24Ore - per titoli azionari di banche, aziende sottoposte a una volatilità elevatissima -. Anche nel corso dei primi dieci giorni di dicembre, cioè a un mese dalla «disclosure del governo sulla Riforma, si è visto un picco di opzioni analogo. E così è accaduto su UbiBanca. Dove in particolare un’opzione call in scadenza a marzo e a prezzo di esercizio 7 euro ha strappato alla fine di agosto. Mentre una opzione con prezzo d’esercizio a 6,4 euro ha strappato tra settembre e ottobre. Va detto che non si tratta di volumi tali da lasciare ipotizzare un massiccio rastrellamento predeterminato. «Non significa molto - afferma un operatore di Borsa di lungo corso - in realtà potrebbero benissimo essere dei segnali lasciati sul mercato ufficiale». In altri termini dei parametri di riferimento per altre operazioni che si sarebbero incrociate altrove. Estero su estero ma su una base di prezzo certificata da una piattaforma ufficiale. Dunque una sorta di prezzo «civetta» per dare un crisma di rigore a transazioni effettuate fuori mercato su piattaforme estere.
Stefano Elli, Il Sole 24 Ore 14/2/2015