Paolo Siepi, ItaliaOggi 14/2/2015, 14 febbraio 2015
PERISCOPIO
Lo chef Joe Bastianich incontra Carlo Conti: «Questo l’avete cotto troppo». Spinoza. Il Fatto.
Non mi vedrete mai nel cerchio magico di Berlusconi. Perché, più o meno regolarmente, quelli che vi si iscrivono poi finiscono per essere inghiottiti da Berlusconi stesso. Paolo Romani, capogruppo al Senato di Forza Italia. (Fabrizio Roncone). Corsera.
Ridicolo dire che vogliamo far crepare di lavoro i giudici. Noi desideriamo solo sentenze rapide e giuste. Vogliamo che i colpevoli di tangenti paghino davvero e finalmente con il carcere ma servono le sentenze, non le indiscrezioni sui giornali. Un paese civile deve avere un sistema giudiziario veloce, giusto, imparziale. Matteo Renzi. Agenzie.
Renzi sta imbarcando di tutto. Ma il Corriere scrive che «amplia il Pd», anzi «l’infrastruttura» come lo chiama il premier (per distinguerlo dalla «ditta» di Bersani). L’amministratore capo Naccarato, cossighiano eletto nella Lega e passato a Gal, preferisce «stabilizzatori». Altri vogliono «concorrere alla sfida entusiasmante delle riforme». Concorrenti. La Serracchiani li battezza «consapevoli». Naccarato precisa: «Io irrobustisco il sistema». Ecco: irrobustitore, da non confondere col «ricostruttore» Fitto. Marco Travaglio. Il Fatto.
Se dovessi esprimere liberamente il mio pensiero con i miei vicini di casa che fanno rumore o ingombrano con le loro robe il pianerottolo, o con i miei compagni di viaggio in treno, che telefonano a voce spiegata o mettono le suole delle loro scarpe sul sedile di fronte; se poi difendessi il mio sacro diritto di parola prendendoli per il culo, dovrei prepararmi, a volte, a uno scontro, perfino fisico. Un’imprudente coglioneria (come nel caso di Charlie Hebdo) può provocare tragedie e non per questo diventa in sé tragica, né più accettabile, più seria e sacrosanta. Alfonso Berardinelli. Il Foglio.
La destra ha abbandonato lo stato in nome del liberalismo, la sinistra ha abbandonato la nazione in nome dell’universalismo, l’una e l’altra hanno tradito il popolo, è evidente che non parla in nome della «destra», ma in nome del popolo. Mario Zanon. Il Foglio.
L’Italia soffre di una crisi depressiva, aggravata dal fatto che domina la cultura del No a tutto quello che bisogna cambiare. Questa depressione ci impedisce di immaginare un futuro nuovo, a differenza di quanto è avvenuto altre volte nella storia che ci ha visto tornare a galla con il Made in Italy. Occorre una cura antidepressiva e, nel mio piccolo, diffondo questa ricetta: tutti devono sentirsi responsabili di migliorare il mondo attorno a sé, di ottimizzare giorno dopo giorno, la propria quotidianità. Se tutti, tutti i giorni, eliminassimo una piccola inefficienza, una piccola corruzione, una piccola cosa che non va, allora veramente l’Italia ripartirebbe e, con il contributo di ognuno di noi, tornerebbe a stupire il mondo. Massimo Benzi, fondatore del progetto di innovazione Arduino. (Savatore Giannella). Sette.
Da quale educazione proviene? La mia educazione è blandamente cattolica. Le prime simpatie politiche a 16 anni per il Pci. Ma venendo dall’Azione cattolica non avevo nessuna voglia di entrare in un’altra chiesa. Piergiorgio Bellocchio, fondatore di Quaderni piacentini. la Repubblica (Antonio Gnoli).
La mia vita era allora organizzata su due circuiti elettrici. Un circuito primario fatto di canagliate, di pazzie, di ribellioni, di tirasassi, di smorfie, d’indigestioni, di biciclette, di strafottenza. E un circuito secondario fatto di libri, di pagelle, di arcicompiti, di buona educazione, di vocabolari, di signorsì, di dieci in condotta. Vittorio Beonio Brocchieri in: Luciano Simonelli, Dieci giornalisti e un editore. Simonelli editore.
A spalancare le finestre della libertà via etere furono le nuove radio, prima fra tutte quella radicale e la tv Teleroma 56 diretta da Carlo Romeo, una tv figlia di un’eccezionale trovata di Bruno Zevi, che aveva realizzato gli studi nel garage della villa di via Nomentana. Aria nuova, i processi in diretta, raccontati a Radio Radicale da Massimo Bordin (ieri e sempre un mito) e analizzati nei minimi dettagli da quel genio di Lino Jannuzzi. Radio parolaccia, microfoni aperti, messaggi e fili diretti che sono i genitori legittimi di tutto il web nostrano. Noi che scriviamo e parliamo in radio e tv dovremmo almeno rivolgere un grazie collettivo ai ragazzi di Marco Pannella (purtroppo la più dolce, Adelaide Aglietta, ci ha lasciati troppo presto) per quella scuola di dignità che furono le campagne fine anni Settanta per la comunicazione aperta. Ecco, con Emma al Quirinale, almeno si sarebbe dato un giusto riconoscimento a chi ha visto prima degli altri il futuro. Barbara Palombelli. Il Foglio.
Un giorno Luigi Serravalli mi ha dato un appuntamento in stazione per scambiarci qualche scritto. Lui sarebbe passato col treno, diretto a Monaco, Basilea o chissà dove, e si sarebbe affacciato al finestrino dell’ultima carrozza. Così infatti è stato. E mentre il convoglio si accingeva a ripartire, io l’ho guardato sinceramente ammirato. «Tu viaggi proprio tanto!», gli ho detto. «Una volta viaggiavo tanto», mi ha risposto lui serio. «Adesso viaggio sempre». Luigi Serravalli era così. Alessandro Tamburini. l’Adige.
Nel rione renziano e piddino, dunque non anticlericale, tra fave fresche e zainetti di design, un posto non secondario occupa il parroco don Francesco, molto stimato non solo per lo stile, con la sua bicicletta nera vintage, dunque perfettamente in linea con i giovani smagriti con pantaloncini a risvoltino che il weekend affollano il Mercato Monti, luogo d’antiche lampade e scarpe e portafogli frequentato da giovani modernissimi, ma anche intellettuale e cattolico adulto, che per certe prediche sofisticate su sensi di colpa e rapporto tra chiesa e psicanalisi viene molto apprezzato dai (pochi) residenti praticanti (primarie piene, chiese vuote). Michele Masneri. Il Foglio.
La mia vita è un lungo tentativo di scappare dal pensiero della morte. Non mi fermo. Perché se uno si ferma riflette. Fuggo attraverso il mio vitalismo. Vittorio Sgarbi. Corsera (Gian Antonio Stella).
In Kosovo, oggi, la guerra è anche all’estetica. Il bazooka contro gli affreschi dei monasteri, il cemento contro i muri di mattoni crudi, le discariche a cielo aperto con i giardini fioriti. Monika Bulaj. il venerdì.
Il tempo non c’è bisogno di ammazzarlo. Basta stordirlo. Roberto Gervaso. il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 14/2/2015