Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 14 Sabato calendario

LA DESTRA SI STA ANNIENTANDO

[Intervista a Giampaolo Pansa] –
Una controstoria sulla destra italiana non la poteva scrivere che lui. Giampaolo Pansa, classe 1935, monferrino doc, come ricorda sempre, giornalista e scrittore da una vita, «dalla fine degli anni ’60 ma non voglio nemmeno voltarmi a guardare i tanti giornali in cui ho lavorato», Pansa, dicevamo, ha i titoli per scrivere sulla destra. Innanzitutto perché se n’è occupato spesso in questa lunga carriera, e poi perché è sempre stato un uomo di sinistra, «pur non avendo mai preso una tessera di partito», ricorda. I suoi «bestiari» sul L’Espresso, negli anni ’90, diventavano feroci quando si occupava di Silvio Berlusconi. Pansa ha i titoli dunque e, anche stavolta, farà discutere con questo suo La destra siamo noi (Rizzoli), come ha già fatto con tutto il filone di saggi sulla guerra civile italiana.
Domanda. Perché una controstoria, Pansa?
Risposta. Ce l’avevo in testa da parecchio tempo. E, al fondo di questo lavoro, c’è una sensazione che, col passare del tempo, si è consolidata, ossia che l’Italia si avvia a regime a partito unico.
D. Si riferisce a Matteo Renzi?
R. Sì, perché questo Partito della nazione, che si presenta come un grande contenitore di clan politici, personali e affaristici può diventare autoritario.
D. Ora lo dice anche B...
R. Lo dice e io mi metto a sorridere, perché lo scrivo da un anno. Basterebbe prendere i miei Bestiari su Libero, dall’inizio col governo Renzi, cominciato con un fatto delittuoso.
D. Intende Enrico Letta pugnalato, come si disse allora?
R. Esatto, quell’appello a «stare sereno» ha preceduto di un lampo, l’assassinio da parte di Renzi di quell’esecutivo. Se questa sensazione sia vera, si vedrà, se ci sarà la prova provata, se sarà fattuale cioè, lo vedremo. Ma credo sarà troppo tardi.
D. Scusi Pansa, ma nel libro lei, fa anche autocritica quando, con l’Espresso guidato da Claudio Rinaldi, replicaste per il Cavaliere, la copertina dedicata molti anni prima ad Amintore Fanfani fascista. Non è che per Renzi sta applicando lo stesso schema?
R. È possibile che io mi possa sbagliare anche per Renzi. Certo che su B. sbagliammo: fu un pericolo, ma per se stesso: errori su errori. Il peggior nemico di Berlusconi Silvio fu Silvio Berlusconi. Altrimenti la destra italiana non sarebbe oggi «ai piedi di Cristo», come diceva mia nonna Caterina.
D. Bellissima espressione. Ai piedi della croce, come dire, ormai disperati. La citiamo.
R. Ecco, e allora la citi per bene: Caterina Zàffiro sposata Pansa, analfabeta, rimasta vedova a 33 anni, con sei bambini. Leggeva fotoromanzi, da Grand Hotel a Bolero film.
D. Ma se era analfabeta...
R. E infatti le chiedevo anche io come facesse, perché nel contempo recitava il rosario e, specialmente di venerdì, squartava le rane.
D. E lei che cosa rispondeva?
R. Che neppure lei capiva «quei segni neri nelle nuvole bianche», i fumetti dei fotoromanzi, ma che «bastava guardare la facce e si capiva tutto». Fu decisiva per il mio mestiere.
D. Perché?
R. Perché io andavo ai grandi congressi di partito col binocolo: dai volti si comprendeva moltissimo.
D. Torniamo alla destra che è ai «piedi di Cristo».
R. Se un marziano arrivasse oggi e mi chiedesse che cosa stia facendo la destra, gli risponderei che ha scelto di sparire.
D. Dove legge questi segnali di autodistruzione?
R. Nei dodici giornali che leggo ogni giorno, a partire da ItaliaOggi che forse per prima ha cominciato a raccontare questo fenomeno. Ma se il marziano mi chiedesse chi comanda in quello schieramento, mah, non saprei cosa dire...
D. Bella domanda, in effetti...
R. All’apparenza comanda ancora B. ma, di fatto, nessuno, stando al conflitto così forte con Raffaele Fitto e con gli altri. Uno scontro che non può durare: o Fitto esce o il Cavaliere torna sui suoi passi.
D. Che cosa manca?
R. Un capo, un federatore. Non può essere lui, Berlusconi, che ha un anno soltanto più di me, anche se continua a pensarlo. Però mi meraviglio che né lui, né Fitto, o Renato Brunetta, intelligente e che sa di economia, né Giorgia Meloni, bella ragazza volitiva e molto intelligente pure lei, riescano a trovare un accordo. Mi chiedo come sperino, così, di battere Renzi.
D. Manca il nome, forse.
R. Guardi, non conosco Marina Berlusconi, ma certamente andrebbe benissimo: se è un re che deve abdicare, che abdichi. Almeno ne resterà il nome.
D. Ma non potrebbe essere l’altro Matteo, Salvini cioè, l’uomo giusto?
R. No, troppo connotato, troppo figlio di Umberto Bossi, troppo nipote di Bobo Maroni. E poi, come disse B.? Lui, Salvini, è il bomber, io il capitano. La solita pulsione suicida: io rispetto chi voglia togliersi la vita, ma così B. ammazza anche la sua creatura.
D. E una destra forte è importante...
R. Nessuna democrazia si regge su un partito solo. Se esiste di una destra forte, è garanzia anche per gli altri. Anche il capo del partito più a sinistra, ossia Nichi Vendola, dovrebbe avere interesse che, dall’altra parte, ci sia uno schieramento affidabile. Però mi pare che a destra sia in corso un avvitamento, come per un aereo in caduta: speriamo che qualcuno si rimetta al governo del velivolo.
D. Senta Pansa, ma non è che a forza di scrivere di destra, a dire la verità sulla guerra civile italiana, non sia diventato di destra anche lei?
R. Ma nooo. C’è chi lo pensa ma sono abituato alle cazzate su di me. E dal 2003 che si va avanti così...
D. Ossia?
R. Da quando uscì Il sangue dei vinti (Sperling & Kupfer), che fu un successo pazzesco, avendo venduto, a oggi, 300mila copie. E sa cosa mi dissero?
D. Che cosa?
R. Che l’avevo scritto per compiacere B. e farmi dare, così, la direzione del Corriere. Guardi, con me, una certa sinistra ha rivelato la sua stupidità cogliona, ma io ho sempre avuto il vizio di rispondere colpo su colpo.
D. Sul perché lei abbia iniziato a fare quei libri, che le alienarono un po’ di simpatie in quel mondo, si sono interrogati in molti, in effetti
R. Ma perché io il 1945 l’avevo vissuto, avendo 10 anni. Anche solo nel mio piccolo universo di Casale, avevo visto i partigiani fucilati, prima, i fascisti ammazzati e buttati nel Po, dopo. Le donne dei fascisti, o sospettate tali, rapate, schiaffeggiate, con le croci uncinate dipinte in fronte col minio rosso. E ho scritto perché ero stanco di sentire le stupidaggini colossali degli intellettuali di sinistra.
D. Beh questo anche dapprima del 2003. Ricordo un suo libro sul terrorismo, di fine anni ’70, in cui diceva le cose come stavano sul terrorismo di sinistra. E allora c’era qualcuno diceva «le sedicenti Brigate rosse».
R. Prima ancora di quel libro, che si chiamava Storie italiane di violenza e terrorismo ed uscì la prima volta per Laterza, lo scrissi sui giornali in cui lavoravo. Erano gli anni in cui a Roma, lo racconto in questo libro, bruciavano vivi i fratelli Mattei e i giorni successivi si scriveva che il padre aveva dato fuoco apposta all’appartamento. Oppure che i due missini di Padova, nel 1974, erano stato uccisi in un regolamento di conti.
D. Lei cita, nel libro, a quel riguardo l’Europeo, che spedì due inviati nella città del Santo a raccontare quella singolare verità...
R. Ma guardi, sul Corriere di Informazione, giornale della sera di Via Solferino, il pomeriggio stesso di quelle uccisioni, si scrisse che di quello si era trattato. Allora si faceva così....
D. Ecco torniamo al libro, molto bello. Lei racconta tanti personaggi della destra, che sono stati a lungo squalificati e considerati come impresentabili, da Giorgio Pisanò a Junio Valerio Borghese, ma anche Eugenio Cefis o Edgardo Sogno. Perché?
R. Perché volevo render loro giustizia. Siamo il Paese dove si celebra solo il partigiano novantacinquenne che non ha mai cambiato idee. C’è stata gente rispettabile anche in quella destra demonizzata.
D. Il fatto che la destra, per lunghissimi anni fosse tenuta ai margini, fuori dal cosiddetto «arco costituzionale», come si diceva allora del Msi, ha nuociuto al Paese?
R. Moltissimo. Ha creato tanti, tantissimi guai quel concetto. I protagonisti dell’arco costituzionale erano Dc, Pci e Psi, ma tutti i problemi economici, finanziari, sociali che scontiamo vengono spesso da questi tre partiti. Tenere fuori la destra, fu rinunciare a un anticorpo importante.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 14/2/2015