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 2015  febbraio 14 Sabato calendario

DA BANGKOK ALLA CINA, È SERIE ASIA

Ora, che il Milan finisca in mani thailandesi, dopo l’Inter all’indonesiana, il Pavia in salsa cinese e la vendita di Infront a Wang Jianlin, non può sorprendere, anzi, non deve. L’Oriente all’assalto del calcio italiano è sineddoche di un più ampio discorso quasi amoroso, già raccontato da Roberto Saviano in Gomorra, anche se quelli erano altri modi e altri mondi e questo solo calcio. È che percorrendo il corso del sole, i capitali di magnati di stato cinesi, o ricchi tycoon di Giacarta, o misteriosi investitori di Bangkok, stanno gonfiando il pallone di quello che una volta era il torneo più bello del mondo, ma ora no, da tempo no. Noi che un tempo compravamo Miura e Nakata per finire nelle tv di tutto il Giappone, siamo diventati terra di conquista, costretti come siamo a vendere, costretti a farci comprare.
Infront alla cinese, nei piani di Wang Jianlin, è un business da un miliardo di euro, un’infornata necessaria, una boccata d’aria: cinesizzare il football vuol dire, nei piani del miliardario di stato, trasformarlo nel maggior business del mondo dello sport. Lui, che pure tentò di comprarsi la Roma, s’è preso tutto il calcio italiano attraverso il sistema della vendita dei diritti tv. Per chi deve ragionare in termini più immediati e minuti ci sono invece le società. Il Pavia, cinese dalla scorsa estate e al 100% nelle mani di Xiadong Zhu, un immobiliarista a capo del fondo Pingy Shanghai Investment, è primo nel campionato di Lega Pro e magari presto finirà, insieme a Carpi e Frosinone, ad agitare i sonni di Lotito: Pavia, col suo piccolo bacino d’utenza, però opulenta, attraente. E al centro di un business che sfruttando il cavallo di Troia del calcio sta entrando nel tessuto economico di tutta la provincia, nella sanità, nell’Università, questo era il piano. Zhu viene descritto dalle cronache locali come un piccolo Thohir che a distanza siderale dall’Oltrepò segue la squadra alla tv, in piena notte, e si fa vedere una volta al mese, stringe mani e firma assegni, regolarmente. Durante il 2015 l’Associazione Calcio Pavia potrebbe finire quotata alla borsa di Hong Kong. Incredibile per una società che lo scorso anno era ultima nel suo girone, senza soldi e senza speranze, e ora lotta per la B, con 4 milioni di liquidi nel motore. E poi c’è un programma di scambi culturali e calcistici, allenatori che andranno in Cina e tecnici cinesi che verranno a Pavia a imparare cos’è il calcio. Per ora hanno solo i soldi, per esempio quelli dell’Evergrande, la holding da 70mila dipendenti che foraggia il Guangzhou, l’ex squadra di Lippi, Gilardino e Diamanti, campione di tutto in Cina e Asia. I cinesi amano da matti il pallone, anche se non ci sanno giocare.
In Indonesia, invece, nel 2013, poco sapevano dell’Inter, tranne che fosse piena di debiti. Arrivarono 180 milioni freschi e un tipo, Erick Thohir, che in Italia ha raccolto molti lazzi e finora poche gioie: ma, come si dice, è solo una questione di tempo. Soldi, molti, maledetti, subitissimo e il giocattolo passò di mano. Colpì il modo, spiccio, da businessman di qualunque cosa, colpirono i tempi, brevissimi.
Nel resto d’Europa la conquista è più antica ma anche più lenta, meno spettacolare. Il 20% dell’Atletico Madrid è da settimane nelle mani di Wang Jianlin, tutto il Valencia in quelle di Peter Lim da Singapore, 1,6 miliardi di dollari sparsi in decine di partecipazioni: e il club è là, primo dell’altra Liga, il campionato a 17 che si gioca dietro le tre grandi. In Premier League investono denari e fatiche il malese Tony Fernandez nel Qpr che un tempo fu anche di Flavio Briatore, e Vichai Raksriaksorn, accanito giocatore di polo, 11° uomo più ricco della Thailandia e dal 2010 proprietario del Leicester. E già, in fondo aveva ragione Napoleone, «lasciate dormire l’Asia, al suo risveglio il mondo tremerà». O si farà comprare.
Cosimo Cito, la Repubblica 14/2/2015