Federico Fubini, la Repubblica 14/2/2015, 14 febbraio 2015
TASSI, CAMBIO E PETROLIO ANCHE SENZA FRENI ESTERNI LA RIPARTENZA RESTA LENTA
È al giro di boa che si vede se una barca sa approfittare del vento e l’Italia nei prossimi mesi avrà meno giustificazioni del solito. Messi alle spalle sei anni di recessione quasi interrotta, a frenare l’economia non agiscono più i tassi d’interesse troppo alti imposti dai terremoti sui mercati, l’euro o il petrolio sempre troppo cari. Mai come in questo momento, sarà possibile misurare il prezzo e le radici della lentezza dell’intero sistema nazionale ora che tutta Europa è a un punto di svolta.
Se la Grecia e la crisi ucraina non imporranno una battuta d’arresto, l’area euro sembra all’inizio della ripresa che gli Stati Uniti vivono già da cinque anni. Come il percorso in salita della recessione, tuttavia, neanche la discesa si presenta uguale per tutti. C’è chi resta sempre indietro. L’Irlanda corre al 4%, Germania e Spagna viaggiano a un ritmo di oltre 2%, l’Olanda e il Portogallo al 2%, la Francia resta in difficoltà ma registra un segno positivo. L’Italia festeggia il primo trimestre di crescita zero dopo tre anni e mezzo: tutti gli altri erano stati di contrazione e declino.
Questo scarto si riflette nei sondaggi sullo stato dell’economia. Quelli della Commissione europea mostrano come a fine gennaio il ritorno di fiducia in Italia sia più cauto rispetto al resto dell’area euro su tutti i fronti: industria, servizi, consumatori, commercio al dettaglio; persino nelle costruzioni gli operatori in Italia si dichiarano più scoraggiati che in una Spagna colpita dalla più devastante delle bolle immobiliari.
In teoria non dovrebbe essere così. Non in regime di euro più favorevole all’export, per un Paese che dipende per circa un quarto del proprio reddito — più della Spagna o della Francia — dalle vendite all’estero. Il fatto che il mercato del lavoro iberico sia più flessibile o il costo dell’energia Oltralpe sia inferiore forse non spiega tutto. Uno studio pubblicato questo mese da due economisti del Fondo monetario internazionale, Nadège Jassaud e Kenneth Kang, suggerisce che alla radice dell’anomalia italiana c’è un problema radicato più in profondità: la lentezza. Il ritardo cronico dei processi legali, aziendali, finanziari con il quale il Paese ha affrontato questi anni. La lentezza in Italia è ovunque lungo la cinghia di trasmissione che porta a nuovo credito, investimenti, nuove imprese e posti di lavoro. E la lentezza è crescente, al punto da frenare l’intera economia al giro di boa. Il tempo in Italia per smaltire un credito inesigibile è salito fino a oltre sei anni, contro i tre anni di prima del 2008. Servono oltre sette anni per completare una procedura fallimentare e tre a un creditore per pignorare il bene di un debitore insolvente. Sono ritardi senza paragoni in Occidente. Il risultato è che la montagna di crediti incagliati nei bilanci bancari si accumula, ristagna, strozza il nuovo credito e imprese più vitali. Ormai è inferiore solo ai livelli di Cipro, Grecia e Irlanda. Le banche sono bloccate sui vecchi prestiti ad aziende ormai incapaci di stare sul mercato, ma spesso tendono a prolungarli, anziché staccare la spina, per non dover riconoscere le perdite. Sono gli ingredienti di un sistema ormai popolato di troppe aziende zombie, a bassa vitalità e alta fragilità finanziaria. Le imprese in Italia, in rapporto al capitale, sono le più indebitate d’Europa dopo quelle greche: la loro “leva” — il ricorso al debito in proporzione al capitale — è doppio rispetto alle concorrenti francesi. L’80% dei crediti problematici delle banche riguarda proprio il sistema produttivo e in tutto il Paese ormai il 30% delle imprese è in difficoltà con le banche e non riesce a generare utili sufficienti per onorare gli interessi. Tutto questo avviene con una straordinaria lentezza, nella quale il sistema politico, legale, professionale, aziendale permette senza reagire che cresca un sottobosco di zombie. Negli Stati Uniti il picco dei crediti deteriorati è stato al 5% dei prestiti nel 2009, dopo il crac di Lehman Brothers, in Giappone all’8,5% dopo il «decennio perduto» di fine ‘900. In Italia si è arrivati al 17% prima di decidersi a fare qualcosa. Se in futuro lo smaltimento delle posizioni zombie inizierà a correre cinque volte più veloce di oggi, l’Italia tornerà agli equilibri del 2007 solo a fine decennio.
Eliminare le scorie di un passato che non c’è più, voltare pagina e ripartire forse non è tipico di una cultura legale vecchia di duemila anni. Però non è troppo tardi per iniziare.
Federico Fubini, la Repubblica 14/2/2015