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 2015  febbraio 14 Sabato calendario

PRESTITI FACILI, LOTTE MASSONICHE E LA CRISI DEL DISTRETTO DELL’ORO COSÌ L’ETRURIA SI È SUICIDATA

FIRENZE.
Nero su bianco, Maria Elena Boschi assente. Il ministro delle riforme non ha partecipato al consiglio dei ministri del 20 gennaio, quello del via libera alla trasformazione in spa delle principali banche popolari. Lo certifica il verbale della seduta del Cdm visionato da Repubblica . Il documento pone fine ad almeno uno degli interrogativi circolati nelle ultime ore, col ministro sospettata di conflitto di interessi perché il padre, Pier Luigi Boschi, è stato vicepresidente di Banca Etruria fino al commissariamento di mercoledì scorso. L’istituto bancario di Arezzo — la cui trasformazione in spa era già stata decisa nell’agosto scorso ma che dopo il decreto del governo ha galoppato in Borsa molto più di tutte le altre popolari — mercoledì è stato sottoposto ad amministrazione straordinaria per decisione del Tesoro su raccomandazione di Bankitalia. A muovere ministero e vigilanza è stato il deficit patrimoniale della Banca, che ha superato il minimo prudenziale del 6% e che è conseguenza di un deterioramento del credito arrivato da lontano.
Il fatto è che alla piccola Banca di Arezzo piaceva giocare le partite importanti, stare dentro ai pool finanziari accanto ai colossi del credito. E poi sostenere gli amici vicini, ma anche quelli lontani, con moderata attenzione al merito creditizio e ai confini del territorio di riferimento. Così Elio Faralli, per trent’anni presidente, dominus ed espressione dell’anima laico- massonica dell’istituto, fratello di Grand’Oriente d’Italia, aveva costruito la forza di Banca Etruria ai tempi della crescita economica. Dopo il 2009, quando convinsero Faralli a dimettersi, “l’anima cattolica” salita alla guida della banca, di cui faceva parte il vice presidente Pier Luigi Boschi, è stata travolta dai conti dell’istituto.
I prodromi della crisi e del commissariamento della Banca dell’oro sono qui.
Nella lotta di potere intestina, locale, tra i laici-massoni e i cattolici che incominciarono a prendere quota già all’inizio degli anni Novanta, dopo che l’Etruria si fuse con la Banca popolare dell’Alto Lazio, a forte presenza di andreottiani. E poi nel prestito facile, che a Banca Etruria sta costando 2,8 miliardi di credito deteriorato, più del 30% totale degli affidamenti, 500 milioni di perdite nel 2014, il commissariamento deciso questa settimana da Tesoro e Bankitalia.
Su come funzionassero certe cose a Banca Etruria lo spiega una norma del regolamento del consiglio di amministrazione in vigore fino al 2012. Uno qualsiasi dei 15 membri del board poteva ottenere, con una semplice firma, fino a 20 milioni di affidamenti per sé, per sue società, amici. «Almeno una decina di consiglieri ne hanno approfittato a piene mani e molti di quei soldi la Banca non li rivedrà più» sostiene Paolo Casalini, che anima il sito Informarezzo.it. I cittadini di Arezzo, oggi, mettono all’indice “inspiegabili” operazioni creditizie fuori territorio di riferimento, da Bergamo a Benevento e Avellino, e altre temerarie compiute negli anni passati. «Un pomeriggio, nel 2010 — racconta Casalini — Banca Eutruria concesse un finanziamento di 10 milioni di euro al Gruppo immobiliare Isoldi di Forlì, che la mattina dopo finì in amministrazione controllata».
Ma a minare la qualità del credito di Banca Etruria è stata, ovviamente e soprattutto, la crisi e economica. Il crollo della produzione dell’oro, che è scesa progressivamente per 15 anni consecutivi da oltre 500 a poco più di 80 tonnellate l’anno, ha messo in ginocchio il distretto industriale aretino, che conta su più di mille aziende e ottomila occupati diretti. Un colpo durissimo per l’Etruria che primeggia in Italia per quantità del prestito d’uso della materia prima all’industria orafa. E poi tanto, centinaia di milioni, Banca Etruria ha lasciato sul terreno delle grandi crisi di industrie, fallite, finite in concordato, smembrate. La lista è lunga e in molti casi chiama in causa imprese di soci e affidatari della Banca: dal gruppo di telecomunicazioni Eutelia della famiglia Landi al fornitore Telecom Ciet dell’ex presidente dell’Arezzo calcio Piero Mancini, dall’industria dell’oro Unoaerre che sta uscendo da concordato al brand delle cucine Del Tongo, dai prefabbricati Mabo della famiglia Falsini a catene di supermercati e costruttori edili.
La guida dei cattolici, subentrati a Faralli, non ha invertito il declino della Banca. Affidata prima alla presidenza all’ex Dc Giuseppe Fornasari, sottosegretario in un paio di governi Andreotti. E poi a quella di Lorenzo Rosi, presidente di una cooperativa di costruttori, affiancato da due vice presidente tra cui Boschi, il babbo del ministro, già funzionario di Coldiretti e amministratore di aziende agricole. Hanno detto no al matrimonio con la Popolare di Vicenza, deciso ad agosto la trasformazione in spa, firmato una settimana fa l’accordo coi sindacati su un’ipotesi di 410 esuberi su 1800 dipendenti. Ma, adesso, i conti in rosso della Banca li hanno fermati.
Maurizio Bologni, la Repubblica 14/2/2015