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 2015  febbraio 14 Sabato calendario

LE SALE PARTO DEL SUD MORTALITÀ PIÙ ALTA E POCHI POSTI IN URGENZA

Troppo pochi i posti letto nei reparti di Terapia intensiva neonatale. Almeno in alcune regioni dove si è lontani dallo standard previsto internazionalmente, che è di un posto ogni 750 nati. Se in Lombardia si registra un posto di terapia intensiva neonatale ogni 650 nati, il rapporto è invece di un posto ogni mille nati nel Lazio e la situazione peggiora al Sud, dove anche il tasso di mortalità infantile è più alto rispetto a quello medio nazionale, pari a 3,3 per mille nati.
LE CASE DI CURA PRIVATE
E, avvertono i neonatologi, spostare un neonato in condizioni gravi per raggiungere una terapia intensiva esterna «raddoppia il rischio di mortalità». Il problema sono le case di cura private dove non è obbligatorio avere la rianimazione neonatale, come denuncia il governatore della Sicilia Rosario Crocetta che invita il ministro della Salute Beatrice Lorenzin «a modificare la normativa che consente ai privati di svolgere attività senza obbligo di avere la rianimazione interna. La norma nazionale prevede che i centri di secondo livello abbiano l’obbligo di avere la rianimazione collegata mentre quelli di primo livello possono farne a meno, solo che per la maggior parte si tratta di cliniche private. Ritengo invece necessario che qualsiasi centro neonatale abbia la rianimazione. Chi non si adegua non deve essere autorizzato».
Il ministro Beatrice Lorenzin risponde subito ricordando a Crocetta che «gli accreditamenti di cui lui parla competono esclusivamente all’ Amministrazione che lui presiede».
Un rimpallo di responsabilità che contraddistingue questa vicenda e tutti i suoi protagonisti. Sui «punti nascita» e sui requisiti che devono avere precisa: «tutte le strutture, sia pubbliche che private accreditate che effettuano più di 1.000 parti, devono prevedere una Unità di Terapia Intensiva Neonatale, con posti letto pari a: intensiva 1/750 nati e sub intensiva 2 posti letto per ogni letto di terapia intensiva, mentre le strutture di I livello, cioè quelle che effettuano meno di 1.000 parti l’anno, sia pubbliche che private accreditate, devono possedere una Unità di pediatria/neonatologia, con la presenza di tutti i requisiti contemplati nell’Accordo e deve essere prevista una rete, sia per il trasposto assistito materno che neonatale d’urgenza, garantendo l’integrazione funzionale tra i punti nascita di I e II livello».
IL CASO CALABRIA
Il problema dei centri senza rianimazione neonatale riguarda soprattutto il sud. Perché nelle regioni come Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto ed Emilia Romagna circa il 90 % dei parti si svolge in punti nascita di grandi dimensioni, mentre al sud (con l’eccezione della Puglia) il 40 % dei parti si svolge in punti nascita con meno di 1.000 parti annui (dati Cedap). In particolare in Calabria la percentuale si impenna al 67 per cento. L’accordo Stato-Regioni del 2010 prevede la chiusura e riorganizzazione dei centri dove si registrano meno di 500 parti l’anno (in Italia sono 153, tra pubblici, privati accreditati e non, localizzati soprattutto al Sud).
Una situazione su cui riflettere con rapidità e attenzione visto che il momento del parto resta una delle fasi maggiormente a rischio, in determinate situazioni, sia per la madre sia per il neonato. Secondo l’indagine della commissione di inchiesta sugli errori sanitari presentata nel 2013, su circa 570 segnalazioni di episodi di malasanità nell’arco di tre anni un centinaio riguardano proprio il parto. E l’ultimo Rapporto PiT Salute del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva segnala l’area di ostetricia e ginecologia come la quarta voce nell’area dei presunti errori terapeutici (6,6 per cento) e come la terza voce nell’area errori diagnostici (9 per cento).
Maria Corbi, La Stampa 14/2/2015