Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 14 Sabato calendario

CARMELO BENE, GIOCO AL MASSACRO TRA MERAVIGLIA E NULLA

Abbiamo biso­gno di mae­stri, oggi più che mai. Ma che siano «del disgu­sto»oppure «imper­do­na­bili», e capaci – sem­pre – di tra­smet­tere l’urgenza di una vita della cul­tura: dal momento che quello che farebbe la dif­fe­renza, per così dire, non si dà in que­sto o quel discorso – tutto è antro­po­lo­gi­ca­mente cul­tura – ma sem­mai nell’atto para­dos­sale e fon­da­men­tale di uscirne, dal discorso, con tutte le con­se­guenze del caso (e per­ciò fuori, anche, dal bistic­cio tra ciò che si darebbe come cul­tura e ciò che la negherebbe).

Ora, a tutto que­sto chi – qui – scrive non può non rispon­dere che con un nome e un cognome: Car­melo Bene. Uno dei pochi di una tra­di­zione intel­let­tuale ita­liana in grado dav­vero di appa­rire, nono­stante la morte, come un mae­stro adatto allo scopo e per di più in que­sti tempi, gra­zie a un’opera (mul­ti­di­sci­pli­nare e indi­sci­pli­nata) dav­vero postuma, pro­prio nel senso dato al ter­mine da un Nietzsche.

Nello spe­ci­fico, l’uscita di qual­che mese fa del libro di Simone Gior­gino, L’ultimo tro­va­tore. Le opere let­te­ra­rie di Car­melo Bene – edi­tore Milella (Lecce), costo 25 euro – per­mette di fare il punto su quello che forse è il campo più spi­noso e fra i meno inve­sti­gati nell’opera del genio salen­tino: la letteratura.

Lo scrit­tore come attore della cultura

Par­tiamo dalla moti­va­zione alla base dello stu­dio: una mono­gra­fia su Bene scrittore.

Si tratta di qual­cosa che indub­bia­mente man­cava, reso in ter­mini ten­den­zial­mente siste­ma­tici e che lo stu­dioso rie­sce a orga­niz­zare in una strut­tura solida, alla fine molto valida (quindi, in con­creto, un libro che val la pena leggere).

Val la pena però anche di insi­stere su una domanda, almeno prima di andare avanti. Come leg­gere Bene? Gior­gino sug­ge­ri­sce: come uno scrit­tore auten­tico, e cioè con­si­de­rando i suoi romanzi e la sua poe­sia come prove let­te­ra­rie in tutto e per tutto. Vero, con­si­de­ra­zione giu­sta e in linea con i pre­cetti di una legit­tima rice­zione cri­tica che si può appli­care a tutti i campi toc­cati da Bene. Ma non basta, il discorso va inte­grato e per que­sto rove­sciato, quan­to­meno per doveri – per così dire – filo­lo­gici. Come leg­gere Bene? Occor­rere sal­va­guar­dare quanto da lui per­se­guito nella pro­pria opera come prassi e fine: l’eccezione. Cosa vuol dire? Pro­viamo a ipo­tiz­zare: con­si­de­rare la pos­si­bi­lità di una com­pren­sione rea­li­sti­ca­mente emica, e cioè ten­dente al punto di vista dell’autore, uti­liz­zando stru­menti anche esterni al campo spe­ci­fico di inda­gine – e però certo, se necessari.

Ecco, ragio­nando con rife­ri­menti testuali alla mano, il con­si­glio che qui si vuol dare è quello di asso­ciare alla let­tura di que­sto libro lo stu­dio di Pier­gior­gio Giac­chè uscito per Bom­piani (l’edizione del 2007), nella misura in cui tale stu­dio sug­ge­ri­sce la neces­sità di usare il ter­mine attore in tutto quello che Car­melo Bene ha svolto, inten­dendo tale ter­mine nella sua rela­zione con la reto­rica – dun­que in modo diretto con il lin­guag­gio – e in quanto modello intel­let­tuale di ope­ra­ti­vità su ogni campo («attore della cul­tura», per usare la gran bella for­mula dello stesso Giacchè).

La biblio­teca ideale

La prima parte del libro di Gior­gino è par­ti­co­lar­mente impor­tante. In que­sta, si deve segna­lare come lo stu­dioso provi a for­nire la «biblio­teca ideale» del salen­tino, cioè intro­durre que­gli esempi di intel­let­tuali le cui opere e pen­siero sono stati fon­da­men­tali nello svi­luppo dell’opera e pen­siero di Car­melo Bene. Una idea asso­lu­ta­mente giusta.

Nel testo sono logi­ca­mente citati e spie­gati i nomi che stu­diosi e appas­sio­nati di Bene cono­scono, più – e qui è inte­res­sante – è intro­dotto il nome e il pen­siero di Carlo Sini (pos­si­bi­lità resa tale tra­mite il lavoro svolto da Ser­gio Fava), in rela­zione all’interesse dimo­strato dal Bene degli ultimi anni per la ricerca teo­re­tica com­piuta sul lin­guag­gio dal filo­sofo (Bene ruba e fa teo­re­ti­ca­mente sua la for­mula che Sini usa per rove­sciare un assunto di Der­rida: «scri­vere il nulla» – il rife­ri­mento è alla pre­fa­zione di Sini a La voce e il feno­meno). E dalla let­tura di tutto que­sto si può dire come venga cer­ta­mente fuori l’incredibile cogni­zione delle poten­zia­lità e dei limiti gno­seo­lo­gici del lin­guag­gio che Bene era in grado di maneggiare.

Tut­ta­via, se pro­prio pro­prio si vuol tro­vare una lacuna si potrebbe dire che fra i nomi influenti evo­cati da Gior­gino ne man­che­rebbe uno: Gior­gio Colli. I due – Bene e Colli – erano amici, e si tro­vano for­mu­la­zioni teo­ri­che fon­da­men­tali in Bene come la nozione di imme­diato che non pos­sono non riman­dare al lavoro dell’altro.

Ma si tratta comun­que di qual­cosa che non pre­giu­dica la vali­dità della rifles­sione di que­sta parte.

Tra mera­vi­glia e nulla

La seconda e la terza parte del libro sono rispet­ti­va­mente dedi­cate alle opere nar­ra­tive e alla poe­sia di Bene. Sono parti svi­lup­pate su piani gio­co­forza diversi, data la pro­ble­ma­ti­cità di defi­ni­zione di nar­ra­tiva per molta pro­du­zione let­te­ra­ria di Bene, men­tre si può certo dire come la poe­sia sia il campo per eccel­lenza della resa dei conti con il lin­guag­gio del salen­tino. Sof­fer­mia­moci per­ciò su que­sta, come subli­ma­zione del lavoro com­piuto da Bene sulla parola/voce scritta.

La prima anno­ta­zione da fare riguarda cer­ta­mente le opere con­si­de­rate. Dopo un ini­zio in cui si accenna a certe liri­che gio­va­nili, Gior­gino si occupa di Vul­ne­ra­bile invul­ne­ra­bi­lità e necro­fi­lia in Achille, poi de ‘l mal de’ fiori e infine pre­senta, per la prima volta asso­luta, una ana­lisi cri­tica del poema ine­dito Leg­genda – per i curiosi: le carte del poema sono nel Fondo Bene, presso La Casa dei Tea­tri a Villa Pam­philj, Roma.

La seconda anno­ta­zione da fare rela­tiva riguarda, invece, pro­prio il rap­porto tra scrit­tura e filo­so­fia. Par­tiamo dal titolo, elo­quente: ultimo tro­va­tore. Bene come tro­va­tore è una defi­ni­zione azzec­ca­tis­sima, un rimando cul­tu­rale che ben defi­ni­sce il suo essere poeta-musicista, o – se si vuole – poeta della musica. A que­sto però ci si sente di aggiun­gere come la sua com­pren­sione della poe­sia affondi pro­prio il col­tello sui rap­porti tra suono e senso con una pro­fon­dità tale da inve­stire que­stioni filo­so­fi­che di prim’ordine (di qui, quindi, la neces­sità di trat­tare la scrit­tura di Bene come «de-pensamento poe­tante», come ricorda Ser­gio Fava). Lo stu­dio di Gior­gino non manca di met­tere in risalto que­sta pro­fon­dità sep­pure – logi­ca­mente – non in modo siste­ma­tico. Qui, a mo’ di inte­gra­zione per il let­tore – di Gior­gino e poi, si spera, di Bene – ci si per­mette di aggiun­gere come un buon ini­zio possa essere quello di con­si­de­rare la scrit­tura di Bene il risul­tato di una ten­sione tra mera­vi­glia e nulla, due sponde da con­si­de­rare nelle loro filo­so­fi­che decli­na­zioni o, se si vuole, riso­nanze: senza nostal­gie di ori­gine o fine.

Un gioco che non è solo un gioco

Per con­clu­dere, una terza anno­ta­zione che ci si sente di dare, a inte­gra­zione della let­tura del libro. Se lo scrit­tore è attore della cul­tura la sua scrit­tura non può non farsi gioco, dove però gioco è qual­cosa da pren­dere molto sul serio. Anzi­tutto come legame al tea­tro – si pensi agli equi­va­lenti fran­cesi e inglesi, jouer e play – e que­sto può far capire come crea­zione e riscrit­tura siano due facce della stessa meda­glia. Poi come legame con una certa idea di per­for­mance al di là dei generi e qui, in fondo, per pro­vare a far capire intui­ti­va­mente la que­stione, si può pen­sare il gioco beniano nella scrit­tura come il gioco di un Larry Bird – Larry Legend non è stato forse il più grande cesti­sta, ma era il basket (Pat Riley: «se man­cas­sero due secondi e avessi biso­gno di un tiro per vin­cere la par­tita, darei la palla a Jor­dan; se man­cas­sero due secondi e avessi biso­gno di un tiro per sal­vare la mia vita, darei la palla a Bird»). Da qui – infine – il gioco come meta­fora dell’esistenza, ciò che resta attra­verso qual­siasi arte. «Gioco al mas­sa­cro», Bene stig­ma­tiz­zava. Qual­cosa che non può non ricor­dare Colli e riman­dare a una pre­cisa per­ce­zione della sapienza: «Alla fine il riso, oppure? Sì, ma il riso è uno spa­simo espres­sivo. I dadi sono get­tati e ancora roto­lano: eppure, quando si arre­stano, mostrano qual­cosa che non è un giuoco.»