Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 14 Sabato calendario

IL PESO DELL’EFFETTO SERRA SULLA BANCA D’ITALIA

ttra­verso quella banca Licio Gelli riscuo­teva le tes­sere di iscri­zione alla P2: anche la n.1816 inte­stata ad un certo Sil­vio Ber­lu­sconi. Pro­prio la falsa testi­mo­nianza su quel paga­mento costò all’ex Cava­liere la prima con­danna penale della sua lunga car­riera giu­di­zia­ria. La pena fu poi amni­stiata dalla stessa Corte d’Appello di Vene­zia che aveva emesso il ver­detto. Par­liamo della Banca dell’Etruria e del Lazio, com­mis­sa­riata nei giorni scorsi dalla Banca d’Italia per «gravi per­dite del patri­mo­nio». Mas­so­ne­ria e finanza sono da sem­pre mate­rie sci­vo­lose, ma la loro opa­cità di fronte all’opinione pub­blica resta immu­tata. Lo è ancor di più in quest’occasione.
A sor­presa il governo Renzi nelle scorse set­ti­mane ha deciso che le 10 mag­giori ban­che popo­lari ita­liane, quelle che supe­rano gli 8 miliardi di euro di attivo, dovranno tra­sfor­marsi in Società per Azioni entro 18 mesi. Lo ha fatto con il solito decreto legge, cioè con una pro­ce­dura di urgenza e indif­fe­ri­bi­lità sulla quale minac­cia di imporre l’ennesimo voto di fidu­cia al Par­la­mento. Le ban­che che non ubbi­di­ranno, in ultima istanza, rischiano lo scio­gli­mento. Ci pen­serà la stessa Banca d’Italia a farle rigare dritto.
Si tratta di un pre­ciso duplice segnale lan­ciato a tutto il mondo del cre­dito coo­pe­ra­tivo che com­prende una parte visi­bile e un’altra invece molto più impor­tante ma meno nota. Il primo segnale riguarda l’aspetto poli­tico: le ban­che popo­lari, come tutte le ban­che coo­pe­ra­tive, sono carat­te­riz­zate dal voto capi­ta­rio che si sostan­zia nel motto «una testa un voto» a pre­scin­dere dal numero di azioni dete­nute. Aldilà delle dimen­sioni che alcune di esse hanno rag­giunto e dalle imman­ca­bili lob­bies costi­tuite al loro interno, in genere que­ste ban­che sono legate al ter­ri­to­rio dove sono nate. Rap­pre­sen­tano quella forma di cre­dito che deve fare let­te­ral­mente i conti con la quo­ti­dia­nità dell’economia reale che coin­volge i pro­pri soci e i pro­pri debitori.
Una Spa invece, dove i sin­goli azio­ni­sti non hanno alcun peso ma conta solo chi ha la mag­gio­ranza del capi­tale socie­ta­rio, deve pen­sare a fare utili per i suoi azio­ni­sti la cui resi­denza (Sin­ga­pore, Cay­man o Lon­dra) ha poca impor­tanza. A que­sti cen­tri finan­ziari inter­na­zio­nali fanno rife­ri­mento le società di uno che di que­ste cose se ne intende: il signor Davide Serra, “guru” eco­no­mico e finan­zia­tore del “ren­zi­smo”. Pro­prio da Lon­dra è par­tita un’ondata di inve­sti­menti, anti­ci­pando le deci­sioni del governo, pro­prio sulle ban­che popo­lari quo­tate nella Borsa di Milano. Mer­co­ledì scorso il Pre­si­dente della Con­sob Giu­seppe Vegas (ex par­la­men­tare di Forza Ita­lia) ha con­fer­mato davanti alle com­mis­sioni Finanze e Atti­vità pro­dut­tive alla Camera che «le plu­sva­lenze effet­tive o poten­ziali di tale ope­ra­ti­vità sono sti­ma­bili in circa 10 milioni di euro».Tra quelle che hanno mag­gior­mente bene­fi­ciato di tale ondata di liqui­dità c’è pro­prio la Banca dell’Etruria e del Lazio. Banca che ha come Vice­pre­si­dente Pier Luigi Boschi, padre della Mini­stra per le Riforme Maria Elena, la quale a sua volta detiene un pac­chetto azio­na­rio nella stessa banca. Que­sto è il lato più o meno visi­bile della manovra.
In tutta que­sta fac­cenda ci sono un paio di det­ta­gli sco­no­sciuti all’opinione pub­blica. In pri­mis, la riforma in que­stione è stata cal­deg­giata (set­tem­bre 2014) dal Fondo Mon­diale Inter­na­zio­nale e risulta tra il pac­chetto di prov­ve­di­menti che lo stesso Renzi ha pro­messo recen­te­mente alla “Troika”. Qui sta l’opacità della manovra.
La metà delle ban­che popo­lari inte­res­sate dalla riforma sono le uni­che “non Spa” che attual­mente risul­tano azio­ni­ste della Banca d’Italia: tutte le altre sono società di capi­tali pri­vati che uffi­cial­mente ven­gono defi­nite “par­te­ci­panti” alle quote sociali di Ban­ki­ta­lia. È il segreto di Pul­ci­nella che tiene in piedi tutto il sistema speculativo-finanziario nel nostro paese. Sem­bra assurdo solo imma­gi­narlo ma di fatto sono i con­trol­lati a con­trol­lare il con­trol­lore che ha sede a Roma in Via Nazio­nale. Gli unici due soci pub­blici sono l’Inps e l’Inail, che comun­que deten­gono una quota del 5,66%: tutto il resto è in mano a società pub­bli­che pri­va­tiz­zate negli ultimi venti anni e a società assi­cu­ra­tive (per­sino stra­niere, tipo la tede­sca Allianz).
In par­ti­co­lare, la mag­gio­ranza delle azioni della Banca Cen­trale (defi­nite “quote di capi­tale”) è in mano a Intesa San Paolo (gra­zie anche alle Casse di Rispar­mio sue con­trol­late) e Uni­cre­dit: i due colossi finan­ziari deten­gono rispet­ti­va­mente il 42,42% e il 22,11% del capi­tale della Banca d’Italia. Terza in clas­si­fica è la Assi­cu­ra­zioni Gene­rali Spa che ha come mag­gior azio­ni­sta Medio­banca Spa. Que­sta però a sua volta ha tra i suoi azio­ni­sti gli stessi soci delle due ban­che appena citate. Della com­bric­cola che con­trolla Medio­banca (la leg­gen­da­ria banca del “salotto buono”) fanno parte anche alcuni refe­renti del capi­ta­li­smo fami­liare ita­liano, tra i quali Sil­vio Ber­lu­sconi. La Gene­rali a sua volta detiene il 6,33% delle quote di Ban­ki­ta­lia. In sostanza oltre il 70% delle quote della “nostra” Banca Cen­trale, a sua volta socia fon­da­trice della Banca Cen­trale Euro­pea, appar­tiene ad un ristretto nucleo di ban­che e assi­cu­ra­zioni orga­niz­zate in Spa.
Si dà il caso che uffi­cial­mente cia­scun «par­te­ci­pante» non può pos­se­dere, diret­ta­mente o indi­ret­ta­mente, una quota del capi­tale supe­riore al 3%. Per le quote pos­se­dute in eccesso non spet­te­rebbe loro il diritto di voto nell’assemblea dei soci. Come viene appli­cato que­sto cri­te­rio non è dato sapere.
Gli utili comun­que sono ripar­titi in que­sto modo: alla riserva ordi­na­ria dell’istituto cen­trale, fino alla misura mas­sima del 20%; ai “par­te­ci­panti” del capi­tale sociale, fino alla misura mas­sima del 6% del capi­tale (atten­zione, del capi­tale, non del voto in assem­blea); alla riserva straor­di­na­ria e a even­tuali fondi spe­ciali, fino alla misura mas­sima del 20%; allo Stato, per l’ammontare resi­duo. Chi decide que­sta ripar­ti­zione? Il Con­si­glio Supe­riore di Ban­ki­ta­lia, sen­tito il Col­le­gio Sin­da­cale. E chi nomina i mem­bri del Con­si­glio Supe­riore che, tra l’altro, indica al governo nazio­nale e al capo dello Stato anche chi deve essere nomi­nato Gover­na­tore? Pro­prio quei “par­te­ci­panti” tra i quali anche la Cassa di Rispar­mio della Repub­blica di San Marino. Quest’ultimo Stato, è bene ricor­dare, era ed è tutt’oggi un para­diso fiscale.
Resta da chia­rire infine chi sono i soci di que­sti for­tu­nati “par­te­ci­panti” al comun­que lucroso capi­tale sociale del “con­trol­lore” che ha sede a Palazzo Koch. In quanto a glo­ba­lità non ci manca nulla: abbiamo arabi (in par­ti­co­lare libici), inglesi, fran­cesi, nor­ve­gesi e per­sino cinesi. Ma soprat­tutto tra tali soci, in par­ti­co­lare tra quelli di Intesa San Paolo e di Uni­cre­dit, tro­viamo Blac­krock Inc., il più grande fondo spe­cu­la­tivo esi­stente al mondo. Lo stesso che dovrebbe fare da con­su­lente nell’acquisto di titoli “spaz­za­tura” che la Banca Cen­trale Euro­pea sta ten­tando di com­piere per “dare ossi­geno” alle pic­cole e medie imprese ita­liane. E figu­rati quanto quelli di Blac­krock (4320 miliardi di dol­lari di capi­tale – più del dop­pio dell’intero debito pub­blico ita­liano) sop­por­tino di avere di mezzo coloro che deci­dono ancora con il mec­ca­ni­smo del voto capi­ta­rio: «una testa, un voto». Pare già di ria­scol­tare la chia­mata di ser­vi­zio: «Rottamatoreee?…».