Notizie tratte da: Nicola Carraro, Alberto Rizzoli # Rizzoli. La vera storia di una grande famiglia italiana # Mondadori Milano 2015 # pp. 189, 16,90 euro., 16 febbraio 2015
Notizie tratte da: Nicola Carraro, Alberto Rizzoli, Rizzoli. La vera storia di una grande famiglia italiana, Mondadori Milano 2015, pp
Notizie tratte da: Nicola Carraro, Alberto Rizzoli, Rizzoli. La vera storia di una grande famiglia italiana, Mondadori Milano 2015, pp. 189, 16,90 euro.
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• “Il Commenda”, così era chiamato da tutti Angelo Rizzoli, fondatore dell’omonima casa editrice.
• Rizzoli, il primo a lanciare i rotocalchi “femminili” e d’informazione destinati a un largo pubblico (Novella, Annabella, Omnibus, Oggi) e i settimanali d’inchiesta e di approfondimento (L’Europeo); fece la fronda al fascismo con una testata satirica come Il Bertoldo, e le pulci alla Repubblica democratica con Candido, settimanale fondato nel 1945 da Giovannino Guareschi e Giovanni Mosca; strizzò l’occhio ai lettori più semplici con i fotoromanzi (la rivista Sogno, edita dalla casa editrice Novissima di Giorgio De Fonseca, socio della Rizzoli); s’impegnò con l’impresa culturale più prestigiosa del Regime, stampando l’Enciclopedia Treccani; pubblicò scrittori di qualità come Giovanni Arpino, Alberto Bevilacqua, Ennio Flaiano, senza dimenticare lo stesso Guareschi, che con il suo Mondo piccolo. Don Camillo entrò nelle case di mezzo mondo; nel 1949 decise di offrire il sapere a poco prezzo con i libriccini della BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), raccolta di classici italiani e stranieri in veste economica (i volumi partivano da 50 lire).
• Già agli inizi degli anni Trenta Rizzoli intuì tutto il potenziale del cinema come mezzo di comunicazione e da allora finanziò o produsse direttamente decine e decine di pellicole di enorme successo.
• Angelo Rizzoli era venuto al mondo nel 1889, povero in canna; aveva trascorso dieci anni nell’orfanotrofio milanese dei Martinitt, da cui era uscito con la licenza elementare e avendo imparato il mestiere del tipografo. È morto miliardario nel 1970, dopo oltre sessant’anni di impegno costante nella propria azienda.
• Di sé amava dire: «Io sono stato un uomo fortunato. La mia fortuna la debbo prima di tutto al fatto di essere nato povero, e questo mi ha dato una certa comprensione dei fatti della vita, poi la debbo alla salute, e questo mi ha permesso di lavorare duramente per tanto tempo, poi la debbo a una grande volontà di arrivare a essere qualcuno, e questa chiamatela ambizione ma è una grande forza dell’uomo, è la forza che ti fa sperare e ti fa dire “Un giorno, anch’io…”».
• Angelo Rizzoli, che a quasi ottant’anni, uscendo dall’azienda, si preoccupava di spegnere le luci, per evitare un inutile spreco.
• Nicola Carraro ricorda il nonno Angelo con un lungo cappotto di cammello, in testa il cappello floscio e l’immancabile sigaretta al
mentolo che gli pendeva a un angolo delle labbra.
• Il nonno paterno di Nicola Carraro, che lui chiamava “nonno Barba”, perché facendo finta di essere un prestigiatore faceva spuntare dalla sua lunga barba deliziose caramelle. Lo portava anche a pescare i lucci alla traina sul lago Maggiore con la sua barchetta; poi gli faceva ascoltare brani di musica classica su una vecchia pianola e, da buon veneto, gli faceva bere un po’ di vino a tavola dal suo fiasco.
• Angelo Rizzoli, che non giocava con il nipote Nicola Carraro, al massimo gli dava un buffetto sulla guancia.
• Angelo Rizzoli, anche se era quasi calvo, prima di andare a dormire, la sera, si metteva in testa una retina per non scompigliarsi i capelli.
• Prima delle sigarette al mentolo, Rizzoli teneva incollata alle labbra la Turmac bianca, senza mai aspirarne il fumo e neppure levarsela di bocca finché la cenere non gli cadeva sulla camicia.
• «“Bambini, zitti quando parla il nonno…”, ci raccomandavano sempre i nostri genitori» (Nicola Carraro).
• Rizzoli, che aveva l’abitudine, anche in ufficio, di starsene in piedi, forse perché non era particolarmente alto, e di appuntarsi sul retro del pacchetto di sigarette il bilancio della Rizzoli, scritto in inchiostro verde.
• Angelo Rizzoli era molto generoso e le sue mance erano famose. I nipoti campavano così per tutta l’infanzia, offrendogli, soprattutto nei soggiorni natalizi a Sanremo, all’Hotel Royal, disegni di ogni genere e prime pagine di giornali inventate che lui pagava con 5000 lire quasi ogni giorno.
• Quando Nicola Carraro, dopo la maturità, manifestò la volontà di iscriversi all’università in America, i suoi lo spedirono subito in ufficio da nonno Angelo, che gli disse: «Macché università e università, tu adesso vai a fare l’operaio alle rotative, un’esperienza che nella vita ti servirà certamente di più. Lo stipendio è di 500.000 lire al mese [allora una domestica ne guadagnava all’incirca 200.000], ma ogni domenica che verrai a lavorare ti darò due milioni!».
• «Il Commenda era il Commenda, un personaggio fuori da ogni schema, e anche in questo caso, come in tutto quello che riguardava la sua vita, un fuoriclasse! Prova ne sia che mai nessuno di noi nipoti lo chiamava “nonno”. Lui ci diceva spesso: “Chiamatemi zio”, e rideva. Nei fatti lo chiamavano semplicemente “Commenda”» (Alberto Rizzoli).
• Angelo Rizzoli, che non prendeva mai in braccio o sulle sue ginocchia i nipoti. Li salutava con un buffetto sulla testa, e loro dovevano rispondere con un bacino sulla guancia.
• Quella volta che Angelo Rizzoli jr., fratello di Alberto, a cinque o sei anni, rifiutò di dare il rituale bacino al nonno ed esclamò ad alta voce: «E perché io devo baciare questo brutto vecchiaccio?». Indignato, il Commenda tentò di rifilargli uno scapaccione, ma non lo beccò e il bambino si infilò sotto il tavolo da pranzo. La manovra però non fermò il nonno, che lo inseguì fin lì sotto, lo acchiappò per una gamba, lo tirò fuori e lo sculacciò: «Te-lo-do-io-il-vec-chiac-cio», lo rimproverò, scandendo ogni sillaba con una pacca.
• Negli anni dell’adolescenza, il rapporto di Angelo Rizzoli con i nipoti cambiò. Con loro parlava volentieri dei suoi film e degli amici attori, in particolare dei comici, che divideva in due gruppi: quelli che facevano ridere sempre e quelli che facevano ridere solo sullo schermo, mentre nella vita erano tristi e noiosi.
• Anna, la moglie di Angelo Rizzoli, sempre sorridente, conciliante e generosa con chiunque, soprattutto con i poveri e i suoi parenti meno fortunati. Il marito la chiamava “mammetta”.
• Anna Marzorati era nata nel 1890 ed era di origini modestissime. Il padre possedeva una piccola tipografia e lei, dopo la licenza elementare, si mise a lavorare come camiciaia, dando però anche una mano nell’impresa di famiglia. E fu proprio lì che conobbe il suo futuro consorte. In cerca di lavoro per la minuscola tipografia aperta qualche anno prima in via Cerva, Angelo Rizzoli si presentò dai Marzorati, dove fu ricevuto da Anna, che decise di aiutare quel bravo giovanotto. I due si piacquero subito e dopo qualche tempo si fidanzarono, sposandosi però solo due anni più tardi, alla fine del 1912, quando Angelo fu sicuro di poter mantenere la giovane moglie.
• Angelo Rizzoli, che durante la Prima guerra mondiale fu prima bersagliere ciclista e poi autista di ambulanze per l’esercito.
• Al Commenda, a cui piacevano le grandi tavolate e la compagnia.
• Anna, che rimproverava spesso il marito Angelo in milanese, perché amava mangiare piatti pesanti, nervetti con le cipolle, cotechino con lenticchie, trippa e cassoeula: «Adess basta, Angiolino, se no te manget tropp!».
• Anna ignorava le tante scappatelle del marito e ogni tanto, con filosofica rassegnazione, sospirava: «Cosa posso farci? Lui è così pieno di vita…».
• Angelo, che non lasciava mai sola la moglie tutte le domeniche e le feste comandate.
• Anna, che andava pazza per il Festival di Sanremo e le piaceva Bobby Solo.
• Anna aveva la mania di contrattare sui prezzi, chiedendo sconti a chiunque.
• Quella volta che, a metà degli anni Cinquanta, Nicola Carraro accompagnò la nonna Anna a comprare un dentifricio in via Montenapoleone. Lei entrò nel negozio, chiese un tubetto di Durban’s e, all’atto di pagare, domandò alla commessa: «Signorina, che sconto mi fa?». E l’altra, imperturbabile: «Il solito, signora Rizzoli».
• Anna, che parlava quasi sempre in dialetto milanese e se ne stava perlopiù in camera da letto, in vestaglia e con una delle sue immancabili liseuse rosa sulle spalle. Portava i lunghissimi capelli raccolti in una treccia arrotolata sul capo e trattenuta da una retina invisibile.
• Ogni giorno, la cameriera-governante di Anna era chiamata a compiere il «rito della spazzolatura» dei capelli, per almeno una mezz’ora e con ben tre diversi tipi di spazzola. Alla fine, la chioma veniva divisa in tre parti, intrecciata, puntata con tante forcine (che però non si vedevano) e, ultimo tocco, coperta con la retina.
• «I cavei, i capelli, vanno lavati non più di una volta alla settimana, poi massaggiati col petrolio che fa benissimo al cuoio capelluto: così ho fatto con il nonno e con il tuo papà e così consiglio di fare anche a te» (Anna al nipote Alberto).
• Il Commenda, che non importa dove si trovasse tornava a casa immancabilmente ogni domenica mattina preceduto da un
mazzo di rose rosse. Lui e la moglie Anna trascorrevano la giornata insieme, pranzo, poi una partitina a carte; alle cinque del pomeriggio lui si ritirava nella sua stanza a leggere qualche copione cinematografico e lei iniziava i preparativi per la consueta cena della domenica sera, quella alla quale erano tenuti a partecipare tutti i membri della famiglia.
• Alle cene della domenica sera a casa Rizzoli partecipavano circa una ventina di persone, perché, a turno, venivano invitati anche degli amici di famiglia. Anna sceglieva personalmente la tovaglia, mai completamente bianca: prima il mollettone, poi una sottotovaglia rosa, infine la tovaglia vera e propria, tutta ricamata e decorata con pizzi e nastri. Al centro una grande fruttiera d’argento stracolma di ogni bendidio e per ogni posto c’era un fiore. Per completare l’opera, cinque bicchieri di cristallo filettato d’oro, champagne, acqua, vino bianco, rosso e da dessert, e tante posate dorate.
• Anna, che raramente interveniva nei discorsi a tavola, ma controllava che tutto si svolgesse alla perfezione. Guardava il capocameriere, Luigi, e a lui segnalava con impercettibili cenni degli occhi se mancavano acqua o pane a un ospite.
• Il giardino della casa dei Rizzoli in via Gesù, che comprendeva una fontana e un grande prato lungo trentacinque metri e largo venti, con una siepe di bellissime rose, orgoglio della signora Anna, sul lato destro.
• Quando i nipoti erano piccoli, avevano l’abitudine di giocare a pallone con gli amichetti nel giardino di casa. La nonna Anna li guardava dalla finestra, urlando da lì le sue raccomandazioni.
• Alberto, che era il più piccolo, spesso durante le partite di calcio nel giardino veniva sollevato di peso e scaraventato nella fontana.
• Nel 1954, quando i Rizzoli comprarono il Milan. Nicola Carraro a quei tempi aveva dodici anni ed era juventino: «Sì, va be’, prima ancora ero stato milanista per far contento papà, ma dopo aver assistito nel 1949 al drammatico derby, finito con un 6 a 5 a favore dell’Inter, cambiai bandiera e divenni un “gobbo” (ossia un tifoso bianconero). Mio padre praticamente non mi rivolse più la parola, finché un giorno non tornò a casa raggiante e mi annunciò: “Abbiamo comprato il Milan!”».
• Alla cena domenicale a casa Rizzoli si mangiava sempre riso in brodo con fegatini.
• Quando Angelo Rizzoli andò per la prima volta allo stadio, accompagnato dal nipote Nicola. C’era Milan-Torino. Il Commenda non conosceva le regole del gioco e così esultò sia al gol del Milan che a quello del pareggio del Torino.
• Nicola Carraro, che abbandonò la fede juventina e tornò milanista. Scrisse un bigliettino di scuse a suo padre, corredato dal disegno di un diavolo e da una poesia nella quale inneggiava alla ritrovata fede nella squadra rossonera.
• Nel 1954, quando ai calciatori era consentito fumare negli spogliatoi.
• «Oggi, altra storia, altri personaggi! Quando vedo gli allenatori che vanno in campo con l’iPad, mi viene sempre in mente il grande Nereo Rocco, detto il Paròn, accanto al quale mi capitò qualche volta di sedere in panchina. Che spettacolo sentirlo strillare nel suo pittoresco dialetto: “Josè, coniglio, non nasconderti!” e “Barison, mona, tornaaaa!”» (Nicola Carraro).
• Quando Alberto Rizzoli, ancora piccolo, disse quasi per scherzo a suo padre che avrebbe scelto l’Inter come squadra del cuore e lui gli rispose impassibile che da quel momento in poi, se voleva mangiare in cucina, aveva trovato la soluzione per farlo.
• Nel novembre del ’58, quando Alberto Rizzoli era allo stadio a Torino per Juve-Milan, e in tribuna si ritrovò seduto tra Gianni Agnelli e suo padre, all’epoca presidente del Milan.
• Quella volta che, esultando per un gol di Altafini, Alberto Rizzoli diede per sbaglio un pugno sul labbro al cugino Nicola Carraro.
• Agli inizi degli anni Cinquanta, Angelo Rizzoli si innamorò perdutamente di Lacco Ameno d’Ischia, un paesello di poche anime, perlopiù pescatori e agricoltori, e dal niente costruì un complesso turistico-alberghiero di livello mondiale.
• Rizzoli finanziò interamente anche la banda locale, fornendo le divise, e questa ogni sabato sera saliva in villa da loro, sull’immenso terrazzo con vista mare, per deliziare amici e ospiti con la musica. Una volta c’era pure il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.
• Tra i vip che frequentavano gli hotel di Rizzoli a Ischia: i duchi di Windsor; lo Scià di Persia Reza Pahlavi; Charlie Chaplin e signora; Liz Taylor e Richard Burton; Chris Barnard, il famoso chirurgo sudafricano pioniere dei trapianti di cuore, con la moglie
in viaggio di nozze; la soubrette Delia Scala con il fidanzato Eugenio Castellotti, pilota di Formula Uno che fece fare a Nicola Carraro un giro sulla sua Ferrari; Walter Chiari e Tony Renis, amici di sempre del Commenda, ecc.
• Angelo Rizzoli, che odiava Luchino Visconti. Quando il regista comprò villa la Colombaia sopra San Montano, Rizzoli sbottò: «Proprio qui doveva venire quello lì!».
• Alla fine degli anni Sessanta, quando a Ischia comparve Alberto Sordi e Nicola Carraro gli diede alcune lezioni di sci d’acqua.
• Negli anni Sessanta, quando la vita mondana a Ischia si concentrava al Porto, dove un giovanissimo Peppino di Capri, animava le serate cantando Nun è peccato al Rancio Fellone, un night in riva al mare, mentre Mina, che all’epoca si chiamava ancora Baby Gate, cominciava a urlare «Nessuno, ti giuro nessuno» al Moresco, e Don Marino Barreto jr. sussurrava Non illuderti e Arrivederci in un altro locale.
• Quella volta che un giovane Nicola Carraro, in vacanza a Ischia, si era rotolato nella sabbia di fianco al locale dove Peppino di Capri intonava Let me cry, per far credere ai suoi che era stato con una ragazza. In realtà, andava sempre in bianco.
• Angelo Rizzoli, che molto probabilmente non sapeva nuotare e non si è mai vista una sua fotografia in costume da bagno.
• Rizzoli costruì a Ischia l’ospedale Anna Rizzoli. L’idea gli venne quando per sbaglio diagnosticarono un tumore alla moglie: «Se questa storia fosse stata vera, qui, a Ischia, non c’è un ospedale!».
• Nel 1969, Angelo Rizzoli aveva visto il debutto di Lucio Battisti al Festival di Sanremo con Un’avventura e aveva detto: «Lo spedirei subito dal parrucchiere e lo farei rapare a zero, come usava dai Martinitt! E comunque non avrà mai successo».
• Quando nel 1951 Rizzoli aveva visto in edicola La settimana enigmistica che in copertina aveva lo strillo «La rivista che vanta 150 tentativi di imitazione». Si fiondò in ufficio e creò Domenica quiz, portando via mezza redazione alla testata rivale, compreso il direttore Filippo Baslini (noto enigmista con lo pseudonimo di Cielo D’Alcamo). Anche se raggiunse le centomila copie, però, Domenica quiz fu sempre ben lontana dalle seicentomila vendute
in media dalla rivista rivale.
• Anche in tempo di guerra, Rizzoli faceva tre viaggi al mese a Roma, a bordo di un’auto a carbonella guidata dal suo fido autista Rinaldo.
• Rizzoli, che non guidava o usava mai macchine alla moda. In garage era parcheggiata una Rolls, ma lui la tirava fuori solo per andare al Festival di Cannes.
• Rizzoli si spostava sempre in treno, e trovava comodissimi i vagoni letto. Invece, aveva terrore degli aerei. La prima volta che ne prese uno fu quando volle recarsi a Los Angeles, per l’Oscar a 8? di Fellini: aveva settantaquattro anni.
• Quando partivano per le vacanze di famiglia a Sanremo e Merano, Nicola Carraro soffriva la macchina ed era costretto a far fermare l’auto sul bordo della strada per vomitare.
• I Rizzoli avevano uno yacht, il Sereno, lungo quasi cinquanta metri e ricavato da una vedetta della Marina americana, quindi perfettamente attrezzato anche per le traversate oceaniche.
• Nel 1970, Angelo chiese al nipote Alberto, che stava per sposarsi, cosa avrebbe desiderato e lui, con un certo imbarazzo, rispose che il dono più bello sarebbe stato poter disporre del Sereno per la luna di miele. «Certamente», replicò il Commenda senza un attimo di esitazione, «per un mese la barca è tua!».
• Una volta nel 1956, quando il Commenda chiese al nipote Alberto, che aveva undici anni, di accompagnarlo in una visita alla cartiera di Marzabotto, a pochi chilometri da Bologna. Per convincerlo gli disse che dopo sarebbero andati a pesca: «Vedi per fare la carta occorre molta acqua, ma l’acqua è preziosa, non si deve buttare via, allora si recupera, si mette in grandi vasche di cemento e si depura: solo quando è perfettamente ripulita torna al fiume. Per essere sicuri che sia davvero pulita, nell’ultima vasca ci mettiamo dei pesci, che non potrebbero vivere se fosse inquinata. Così sia noi sia i pescatori che vivono lungo il fiume siamo tranquilli che l’acqua è anche più pulita di prima». Quindici anni, dopo, Alberto sarebbe diventato il presidente di quella cartiera, uno dei punti di forza della Rizzoli.
• «Di Angelo Rizzoli io non dimenticherò mai lo sguardo. Limpido, glaciale, di uno che non aveva paura di niente e che non aveva niente da rimproverarsi. Quando alzava gli occhi in un certo modo, ti penetrava da parte a parte mettendoti una gran soggezione, e tu potevi solo raccomandare l’anima a Dio» (Nicola Carraro).
• Quella volta che, era il 1964, Adonella, la prima moglie di Nicola, si presentò alla cena domenicale a casa Rizzoli con una minigonna e Angelo la fulminò con lo sguardo. Lei lo capì e con una scusa andò a casa a cambiarsi. Il mattino seguente, attorno alle undici, Domenico, l’autista di Angelo, si presentò a casa di Nicola e Ado con un pacchettino della gioielleria Faraone. Dentro, in un elegante astuccio, c’era un anello di rubini, accompagnato da un bigliettino da visita del Commenda, scritto con l’inconfondibile inchiostro verde: «Grazie per avermi sopportato in cose che non dovrebbero riguardarmi. Con affetto. Angelo Rizzoli».
• «Sai, Albertin, quando ero bambino andavo con gli amici dell’orfanotrofio a vedere i signori che arrivavano in carrozza alla prima della Scala. C’era una gran folla, la piazza era stracolma di milanesi accorsi lì per ammirare quello spettacolo di carrozze bellissime, di gente importante, di mantelli e pellicce. Noi, che eravamo piccoli, riuscivamo a sgusciare tra le gambe della gente, a farci largo in quell’intrico di cappotti, pastrani, ombrelli e bastoni e alla fine arrivavamo a piazzarci in prima fila, seduti sul bordo del marciapiede, incuranti di qualche calcione che ogni tanto ci arrivava all’improvviso da chi era già lì in attesa da ore e si vedeva rubare lo spazio da noi ragazzetti. Era uno spettacolo nello spettacolo, l’unico che potevamo permetterci di vedere. Rammento ancora le scintille che si sprigionavano dagli zoccoli ferrati dei cavalli quando partivano trottando sui lastroni di porfido, trainando quelle magnifiche carrozze. Capitava che qualche cavallo facesse le bizze, perché non voleva saperne di fermarsi in quel caos, ed erano altre scintille, cocchieri che gridavano, signori che scendevano in fretta e in precario equilibrio, con le loro dame costrette a fare lo slalom tra le pozzanghere e lo sterco di tutti quei cavalli che andava aumentando di minuto in minuto. L’intera via Manzoni era occupata da un’interminabile colonna di carrozze che aspettavano il loro turno mentre le bestie, impazienti, battevano gli zoccoli sul selciato producendo altre scintille. “Angiulin”, mi dicevo allora io, “un giorno anche tu starai su una di queste carrozze, sarai uno di questi signori con una bella dama al tuo fianco ed entrerai nel foyer della Scala per assistere alla prima”» (Angelo Rizzoli al nipote Alberto).
• Angelo Rizzoli si era invaghito di Fellini, a cui si rivolgeva chiamandolo “signor regista”, e della sua genialità, ma non gli piaceva per niente la sceneggiatura de La dolce vita, che giudicava troppo cruda per i suoi gusti. Tuttavia, non volendo tormentare troppo Fellini, se la prendeva costantemente con il coproduttore e suo vecchio socio e amico, Peppino Amato. Alla fine, dopo tanti tira e molla, Amato convinse Fellini a girare la scena conclusiva, che nel copione originale non era prevista, con la giovanissima Valeria Ciangottini sulla spiaggia di Ostia.
• Peppino Amato, un napoletano dotato di un intuito formidabile e di uno spiccato senso dell’umorismo. Era stato attore, regista e infine produttore; amava il gioco d’azzardo e girava per tutti i casinò con Vittorio De Sica, perdendo regolarmente quanto aveva appena guadagnato con il suo ultimo film. Viveva in una suite dell’Hotel Excelsior, a Roma, e riceveva chiunque avvolto in una sontuosa vestaglia di seta.
• Quando Angelo Rizzoli vide La dolce vita per la prima volta, nella saletta privata al pianterreno di via Gesù, davanti alla scena in cui l’ingegnere uccide i figli si agitò sulla sedia e scuotendo la testa mormorò: «Sarà anche arte, ma i bambini… i bambini non si toccano!».
• Nel 1960, alla prima milanese de La dolce vita, al cinema Capitol, si scatenò una specie di corrida: metà del pubblico applaudiva, l’altra metà fischiava. Durante l’intervallo, uno spettatore si alzò e sputò in faccia a un imperturbabile Fellini, mentre Angelo Rizzoli venne appena sfiorato.
• Quando Alberto Rizzoli, come regalo della maturità, rinunciò a farsi regalare la macchina dal padre e con l’equivalente dei soldi, due milioni e seicentomila lire, partì per un safari di caccia in Kenya.
• Quando Alberto partì per il militare, al momento dell’appello il sottufficiale sbagliò l’accento del suo cognome e lo chiamò Rìzzoli.
• «Gli ordini del Commenda non si discutono mai, si eseguono, punto e basta» (Nicola Carraro).
• Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, due famosi sceneggiatori che Angelo Rizzoli chiamava affettuosamente “i due pistoloni”.
• «Il treno della fortuna passa una sola volta nella vita e tu devi essere sveglio e pronto per saltarci su, magari anche alle sei del mattino» (Angelo Rizzoli).
• Incompreso, magistralmente diretto da Luigi Comencini, «era una perfetta macchina da lacrime» (Alberto Rizzoli).
• Quella volta che Angelo Rizzoli, per spiegare al figlio Andrea che non era d’accordo con lui sul voler produrre il film Incompreso, si commosse raccontandone la trama e pianse.
• Angelo Rizzoli aveva la passione per il gioco d’azzardo.
• Il Commenda portò per la prima volta in un casinò il nipote Nicola quando aveva dodici anni: «Sì, non avrebbero dovuto ammettermi perché ero minorenne, ma quando Angelo Rizzoli varcava la soglia del casinò di Sanremo o di Venezia tutti si scappellavano e gli srotolavano davanti i tappeti rossi».
• I numeri preferiti di Angelo Rizzoli alla roulette: 5, 8, 11,
23, 17, 29, 0, la serie 5-8 o i vicino dello zero.
• Rizzoli puntava contemporaneamente su tre tavoli, annunciando ad alta voce i vari numeri, ed era assai generoso quando vinceva. Se perdeva non lo ammetteva mai: «Com’è andata ieri sera, Commenda?», era la domanda di rito. «Pari spaccato», la puntuale risposta quando aveva perso.
• «…A Montecarlo, a Sanremo, a Nizza, a Cannes, a Venezia, non ci andava perché c’era il mare ma perché c’era la roulette. Lo vedevi entrar nel Casinò, col codazzo dei suoi cortigiani, come un gran sacerdote entra nel tempio a lui dedicato. Sceglieva un tavolo, si sedeva con l’aria di accingersi a un rito, e ci perdeva milioni. Ogni tanto, è vero, ce li guadagnava. Ma più spesso ce li perdeva e io mi son sempre chiesta cosa significasse il gioco per lui. Il brivido dell’incertezza? La gioia di vincere gli altri? Il gusto di aggiungere soldi ai soldi? Macché. Non era avaro e cinquanta milioni in più o in meno cosa vuoi che gli dicessero. Il mio sospetto, guarda, è che non giocasse per vincere, bensì per perdere e pagare il suo debito alla fortuna. Parlava troppo della fortuna, era troppo convinto che la fortuna fosse la componente definitiva del suo successo…» (Oriana Fallaci sull’Europeo in memoria di Angelo Rizzoli).
• Ogni domenica sera, dopo la cena abituale a casa Rizzoli, la signora Anna faceva comparire il tavolo verde e si cominciava l’immancabile partita a Singapore: il Commenda contro tutti.
• Quando qualcuno gli chiedeva quale fosse il segreto del suo successo, Angelo Rizzoli rispondeva: «Prima di tutto la fortuna. Oh, intendiamoci, la fortuna non basta, ci vuole l’ingegno e tanto tanto lavoro, ma senza fortuna non si va da nessuna parte».
• Con i soldi che l’istituto Martinitt gli aveva dato per i lavori svolti, in società con un compagno Angelo Rizzoli decise di acquistare una piccola macchina da stampa, una “pedalina”. Appena comprata, i due la issarono sopra un carretto, la legarono con le corde e si diressero verso via Cerva, dove avevano
installato la loro tipografia. A un certo punto, una ruota uscì dal proprio asse, il carretto si inclinò ma per fortuna la pedalina non cadde, evitando di distruggersi sul selciato.
• Angelo Rizzoli, che prendeva spesso appunti sul pacchetto di sigarette con la penna verde.
• Una delle idee portanti di Oggi – Il quotidiano di domani, oltre alla stampa a colori, era la doppia edizione Milano-Roma, da realizzarsi in teletrasmissione. Per l’epoca, qualcosa di rivoluzionario.
• Angelo Rizzoli, molto amico di Indro Montanelli.
• «Questo è il segreto di Rizzoli. Della prosa che mandava sotto i torchi, non sapeva nulla. Ma sugli uomini che venivano a offrirgliela, non prendeva abbagli, un’occhiata gli bastava per pesarli al milligrammo. La gente diceva che aveva il tocco di Mida, il dono di trasformare in oro tutto ciò che toccava. Ed egli stesso (anche per scaramanzia, credo, poiché era più superstizioso di un napoletano) attribuiva gran parte del suo successo alla fortuna. Ma la sua fortuna consisteva soprattutto in questo suo fiuto dell’uomo» (Indro Montanelli sul Corriere della Sera nel 1970).
• Nell’agosto del 1943, i bombardamenti distrussero una parte dello stabilimento di Rizzoli in piazza Carlo Erba, ma non del tutto. Una bomba, infatti, rimase fortunatamente inesplosa. Così Angelo riuscì a ricostruire.
• «Sembrava un uomo semplice che attingesse la sua forza a un quadrato buon senso. Ed è vero: in Rizzoli c’era anche questo: il personaggio era molto più complesso di come appariva, un miscuglio di contraddizioni, un impasto di qualità e di difetti, ma che avevano in comune la macroscopicità. Rizzoli poteva anche essere spietato. Meschino, mai. Come il suo collega e rivale Mondadori, era una di quelle grandi figure a tutto sbalzo, di cui purtroppo si va perdendo lo stampo. E lo è rimasto fino all’ultimo giorno, vivendo da giovane fra i giovani. La morte, in fondo, è stata buona con lui cogliendolo a tradimento, senza dargli il tempo di accorgersi che aveva ottantuno anni suonati. Non lo sapeva. O almeno era riuscito a vivere come se non lo sapesse» (Indro Montanelli).
• Andrea Rizzoli, figlio di Angelo, portava spessi occhiali da miope e vestiva sempre in sobri doppiopetto per mascherare il girovita prominente. Di carattere era chiuso, timido e di poche parole, ma, all’occorrenza, molto spiritoso. Amava la buona tavola, con una predilezione per le ostriche e la Chartreuse Verde, e fumava più di due pacchetti al giorno di Turmac. Era anche un buon cacciatore e, più ancora, un gran giocatore d’azzardo.
• Andrea Rizzoli, che amava gli animali, in particolare i cani.
• La villa di Cap Ferrat, in Costa Azzurra, che Andrea Rizzoli adorava, comprata dall’attore tedesco Curd Jürgens. Una proprietà con un meraviglioso giardino, una grande piscina e una terrazza a picco sul mare, riparata dai venti.
• Angelo Rizzoli rimproverava spesso ai nipoti di essere nati «con la camicia di seta»:«Se nasci ricco ti manca un’arma formidabile per raggiungere la vetta: la fame!!!».
• Angelo Rizzoli ricordava che il giorno più bello della sua vita di bambino fu quando entrò nell’orfanotrofio maschile, nei Martinitt: «Nell’istituto l’acqua, anche d’inverno, era gelata, eppure i bambini, alla sveglia, erano allegri, rumorosi, del freddo non si accorgevano neppure, e nemmeno durante la passeggiata, tutti con la stessa divisa, senza umiliazioni. Lì, ci confidava, fu felice, perché era un povero fra i poveri, uno uguale a tutti gli altri» (così ricorda il nipote Nicola Carraro).
• Pietro Nenni, anche lui orfano, il politico preferito di Angelo Rizzoli. Insieme parlavano di tutto e nella villa di Ischia facevano lunghe partite a bocce.
• Un altro politico che Rizzoli stimava molto era Andreotti.
• Una volta, nel 1983, Beppe Grillo rifiutò da Carraro e Mondadori un miliardo di lire per condurre un programma su Canale 5: «Carraro, grazie per aver pensato a me, sono convinto che il programma avrà un grande successo e poi l’offerta è generosissima. Oltretutto, io sono genovese e quindi molto attento ai soldi, e poi un miliardo non l’ho mai neppure visto in vita mia. Purtroppo però devo rifiutare, perché non mi sentirei in pace con me stesso. Io non voglio legarmi a nessuno e intendo mantenere sempre la mia libertà intellettuale» (nei ricordi di Nicola Carraro).
• Angelo Rizzoli non sopportava chi arrivava in ritardo in ufficio e una voltò rimproverò di brutto il nipote Nicola che invece delle 9 in punto era arrivato alle 9.04.
• «…Rispettava le ricorrenze, i compleanni, le feste; gli piaceva sedere a capotavola, come un patriarca, e la sua parola era sempre l’ultima […] Possedeva uno yacht, l’aereo, alberghi, ville (“Ne ho una in montagna, e ci vado ogni tanto per non dispiacere al giardiniere che è tanto bravo”, confidava), ma penso che i miliardi non siano stati lo scopo della sua lunga e vissuta esistenza. Voleva, penso, una rivincita sulla sorte, che lo aveva fatto nascere in una povera soffitta: ma ha lottato senza rabbia. “Caro amico”, era il suo modo di cominciare un discorso» (Enzo Biagi sul Resto del Carlino dopo la scomparsa di Angelo Rizzoli).
• Quando Nicola Carraro incontrò a Washington Tommaso Buscetta, che era sotto la protezione dell’Fbi, per proporgli di interpretare se stesso in una fiction tratta da Il boss è solo di Enzo Biagi. Buscetta gli si presentò alla porta dell’hotel e gli disse: «Piacere, sono Tommaso Buscetta. Sono sfuggito al controllo dell’Fbi per venire al nostro appuntamento e per di più mi trovo senza soldi. Non avrebbe mille dollari da anticiparmi?». Alla fine del film non se ne fece nulla, a causa delle troppe misure di sicurezza da garantire a Buscetta.
• Tommaso Buscetta, che tifava Juve.
• Durante una delle consuete cene domenicali, Angelo Rizzoli comunicò alla famiglia che l’ex re Umberto lo aveva fatto conte.
• «Era un uomo di mille pudori, di mille grazie represse, con un ribrezzo spontaneo per la volgarità e un senso naturale del bello […] Che persona sconcertante, impenetrabile, unica. Il fatto è che non era una persona: era dieci, cento persone intrecciate insieme, un mosaico di incongruenze, un labirinto di possibilità. Era una fabbrica di fantasia» (Oriana Fallaci di Angelo Rizzoli).
• Quando Rizzoli chiamò nel suo ufficio il nipote Nicola, il giorno che era stato promosso assistente di Enzo Biagi, e gli disse che, a scanso di equivoci, nessun giornalista era intoccabile, tranne Oriana Fallaci: «Ammesso e non concesso che un domani ti ritrovassi qualche sua nota spese non particolarmente in linea con i criteri aziendali fissati per i giornalisti, va ritenuta un caso a parte, perché è talmente brava che per lei si deve chiudere un occhio, meglio, tutt’e due».
• La Fallaci nei ricordi di Nicola Carraro: mingherlina, vulcanica e tosta, non stava ferma un momento, sempre a caccia di interviste e sfide impossibili. Fumava una sigaretta dietro l’altra e, oltre al marcato accento toscano, aveva pure un notevole caratteraccio. Quando arrivava in redazione, tra un viaggio e l’altro, si sentiva la sua voce inconfondibile rimbombare per tutti i corridoi.
• «Perché era così difficile andarci d’accordo? Perché era un talento allo stato puro – e ne era pienamente consapevole –, perché quando si metteva in testa di realizzare un certo servizio non ti dava tregua finché non riusciva a farlo… ficcandosi anche tra le gambe del diavolo, fosse esso Khomeini, Gheddafi o Kissinger, con cui ebbe scontri epocali. Manteneva praticamente da sola l’Ufficio Esteri della Rizzoli: le sue interviste si vendevano a peso d’oro, dal Giappone agli Usa, ed era una lavoratrice infaticabile, scrupolosa e maniacalmente precisa – avercene, oggi! – al punto da girare con un registratore sempre a portata di mano, in modo che nessuno, casomai si fosse pentito di certe dichiarazioni, potesse poi smentirle. Prima mi innamorai della sua scrittura – aveva una penna straordinaria –, poi mi piacque lei come persona, al punto che restammo amici anche dopo il mio addio alla Rizzoli» (Nicola Carraro di Oriana Fallaci).
• Angelo Rizzoli, che si circondava sempre di belle donne. Una brutta la definiva un “cappero”, una piacente “una bella figliola”. Lui le donne le divideva in due categorie: verticali e orizzontali.
• Quando Angelo Rizzoli si invaghì di Myriam Bru, una bellissima attrice francese. Lui aveva preso l’abitudine di portarsela a Ischia, facendo infuriare la figlia, che gli disse: «E dunque, papà, se sulla Bru posso chiudere un occhio, non intendo però farlo se me la trovo davanti!». Il giorno dopo la Bru fece le valigie e se ne tornò a Roma. Pochi mesi dopo si sposò con l’attore tedesco Horst Bucholz, uno degli interpreti dei Magnifici 7.
• Un’altra donna di cui si invaghì Rizzoli fu Graziella Granata, attrice romana. Se la portava appresso nelle cerimonie ufficiali e a Ischia, e anche a lei fece girare una decina di pellicole per la Rizzoli Film, fra le quali Incompreso.
• In realtà Rizzoli non era un vero fumatore. Portava sempre con sé un pacchetto di Turmac per offrire una sigaretta alle signore, ma soprattutto lo usava come taccuino, per prendere appunti e per fare i conti.
• Rizzoli usava sempre la penna verde perché nei tempi passati le matite verdi non le voleva nessuno, costavano la metà delle nere e
delle blu e così cominciò a usare quel colore. Poi il verde gli portò fortuna e diventò il colore della Rizzoli.
• La prima volta che Nicola Carraro si sposò, con Adonella Colonna di Paliano, non aveva ancora ventun anni e i rotocalchi dell’epoca lo definirono «lo sposo bambino». Il giorno del matrimonio il nonno Angelo indossava il tight. Quarantatré anni dopo il secondo matrimonio, con Mara Venier.
• Il 6 giugno 1970, a Santa Margherita Ligure, a due passi da Portofino, Alberto Rizzoli sposò Stellina Fabbri, figlia di Giovanni, della Fratelli Fabbri. Stavano insieme da sette anni. Le nozze si svolsero nell’Hotel Imperiale, un grandioso albergo a cinque stelle del primo Novecento, che era stato comprato pochi mesi prima dal suocero di Alberto. La cappella era stata allestita nel salone da pranzo e Fabbri era riuscito ad avere il cardinale Tisserant come celebrante delle nozze.
• L’anello di fidanzamento che Alberto regalò a Stellina glielo aveva comprato il padre Andrea: era un brillante di oltre dieci carati. La cena di fidanzamento si svolse al Savini, ristorante simbolo della Milano dell’epoca.
• «In quel momento ebbi l’impressione che Andrea e Giovanni Fabbri si stessero sfidando a chi ne aveva di più, che si fosse creata una sorta di gara tra i due imprenditori miliardari, dove nessuno volesse fare la parte del secondo» (Alberto Rizzoli).
• Alberto, che per molti anni soffrì di attacchi di panico. La prima volta che ne ebbe uno fu alla festa organizzata al ristorante Il pirata a Cap Martin, in Costa Azzurra, in onore delle future nozze tra lui e Stellina.
• La sera del matrimonio di Alberto e Stellina c’era la partita di calcio dei Mondiali Italia-Uruguay, finita zero a zero.
• Gian Gerolamo Carraro, detto Mimmo, il padre di Nicola, che da quando nacquero i nipoti, non volendo sentirsi chiamare nonno, fu detto Mammolo. Nato nel 1914 da una famiglia della borghesia vicentina, figlio unico di un famoso urologo, si era laureato in Medicina, ma esercitò la professione per pochissimo tempo.
• Quand’era studente universitario, Gian Gerolamo Carraro si cimentò nella carriera di arbitro calcistico, ma fu un disastro. Durante la prima partita di un incontro di lega dilettanti, espulse un giocatore, si scatenò una rissa e si beccò un diretto al mento che lo mise KO spaccandogli il labbro.
• Mimmo Carraro, che amava il jazz , la letteratura americana e i grandi artisti comici italiani come Alberto Sordi e Renato Rascel, di cui sapeva a memoria tutte le canzoni. Era sempre elegantissimo, con le sue cravatte regimental e gli impeccabili abiti fatti su misura, era piuttosto maschilista (furono famose le sue battaglie contro l’ammissione delle donne al Clubino, il circolo più sofisticato di Milano) e aveva una gran passione per il Milan e per il golf. Era un vero teledipendente e quando andò in pensione registrava maniacalmente qualunque programma. Si faceva amare da tutti, dai direttori dei giornali fino all’ultimo degli uscieri.
• Con l’amico Noci Mimmo Carraro aveva messo a punto, per non farsi capire quando gli tornava comodo, un linguaggio (l’albanese, lo chiamavano loro) in cui le parole venivano pronunciate invertendone le sillabe, da destra verso sinistra, così casa diventava saca, spaghetti tighespa, Pinuccia Cianupi e così via.
• L’idea di pubblicare testi classici a prezzo popolare, quella che poi diventò la collana Bur, fu proposta ad Angelo Rizzoli da Luigi Rusca, raffinato e coltissimo intellettuale che prima di entrare in Rizzoli aveva lavorato in Mondadori, inventando la celeberrima Medusa, lanciando gli Omnibus e dando ai polizieschi il nome di Gialli. A Rizzoli la proposta piacque e Rusca si rivolse allora a Paolo Lecaldano, editor, per studiare la realizzazione del progetto, che infine vide la luce.
• Mimmo Carraro non andava per niente d’accordo con Lecaldano. Un giorno, dopo l’ennesimo dissidio, pose al Commenda un aut aut: «O me, o lui». Secco, Rizzoli replicò: «Lecaldano rimane qui». Andrea non alzò un dito per difenderlo e a Carraro non restò altro che dare le dimissioni. Era il marzo del 1964. Pinuccia cominciò allora a martellare il padre per far riassumere il marito, e dopo mesi la spuntò: Mimmo Carraro fu riassunto come direttore generale dei periodici; Enzo Biagi venne nominato direttore editoriale e Nicola dalla pubblicità passò ad assistente di quest’ultimo.
• Il 1° febbraio 1942, giorno in cui nacque Nicola Carraro, era domenica e il padre Mimmo non riuscì ad arrivare in tempo in ospedale perché era allo stadio a vedere Inter-Atalanta.
• Nicola, che quando nacque aveva la testa a pera.
• Angelo junior, detto Angelone, nipote di Angelo Rizzoli e fratello di Alberto. Così lo descrive il cugino Nicola Carraro: «Una figura così complessa, tormentata, e che ha avuto un ruolo cruciale nelle sorti di famiglia».
• Angelone crescendo diventò ingordo, quasi bulimico. Di notte, aveva l’abitudine di alzarsi per andare in cucina a svuotare il frigorifero. Una volta fece fare una clamorosa figuraccia al cuoco di famiglia, spazzolando in un amen una ventina di cotolette preparate in anticipo per un pranzo con numerosi invitati.
• Angelone si innamorò di una giovane attrice, Eleonora Giorgi, e presto la sposò in gran segreto a Venezia, scegliendosi come testimone Bruno Tassan Din.
• Qualche mese dopo la nascita del figlio Andrea jr., Angelone rimase coinvolto nello scandalo della P2, la loggia massonica segreta di Licio Gelli alla quale era iscritto. Poi ci fu il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, con cui la Rizzoli era indebitata fino al collo, e Angelone venne arrestato.
• «Angelone viene ricordato principalmente per avere in pochi anni affossato la Rizzoli, al punto da essere definito “l’Angelo che non sapeva volare”. (…) Era un uomo colto, di buone letture, appassionato di storia napoleonica, e aveva una memoria mostruosa: poteva ripeterti senza errori perfino la rubrica telefonica. In azienda, aveva fatto un lungo tirocinio per diventare un bravo editore. E aveva tutte le carte in regola per quel ruolo, ma non possedeva il senso pratico degli affari, né la fortuna del Commenda, e se a questo si aggiunge una certa dose di presunzione, probabilmente ereditata dal padre, e una spiccata megalomania (mandava l’aereo privato della Rizzoli per comprare in Francia una speciale acqua minerale per il figlio Andrea, allora neonato), è facile comprendere il motivo della catastrofe di cui è stato protagonista e insieme vittima» (Nicola Carraro).
• Nicola e Angelone si persero di vista per anni. Nel Duemila, Alberto, Angelone e gli altri decisero di riunire la famiglia. La rimpatriata fu organizzata da Melania De Nichilo, la seconda moglie di Angelone, nella villa di Capalbio.
• La migliore amica di Melania era Mara Venier. Fu grazie a lei che Mara e Nicola Carraro si conobbero.
• Quand’erano bambini, Angelone rubava il pane imburrato al fratellino Alberto, di quindici mesi più piccolo, lasciandogli quello con la marmellata che non gli piaceva.
• «Già da bambino Angelo rivelava dunque un tratto della sua personalità che lo accompagnò per tutta la vita: ossia quello di costruirsi una sorta di sua verità parallela alla quale andava affezionandosi con il passare del tempo e che via via arricchiva di nuovi particolari, finendo per renderla coerente e credibile, sebbene fosse solo frutto della sua fantasia. Quando raccontava qualcosa era sempre complicato capire se la sua storia, sia pur romanzata, avesse una qualche base di verità oppure fosse soltanto una palla per coprire una realtà scomoda. Ma resta il fatto che pian piano lui si convinceva che la verità era quella e agiva di conseguenza» (Alberto Rizzoli).
• «Io ho sempre voluto bene ad Angelo, ho sempre cercato di aiutarlo nelle circostanze più dure, ho accettato la sua leadership di fratello maggiore, ho giustificato alcuni suoi comportamenti non consoni al suo ruolo di presidente della prima casa editrice d’Europa, ma a un certo punto mi sono reso conto che non esisteva nessuna unità di intenti tra lui e me, che lui perseguiva un folle progetto personale, che la mia presenza era fastidiosa e scomoda, perciò nel 1979 decisi di abbandonare la nave prima che si inabissasse» (Alberto Rizzoli).
• Giuseppina Rizzoli nacque nel 1916, in piena Grande Guerra, quando il padre Angelo era stato comandato dall’esercito come autista di ambulanze.
• Giuseppina, che non concesse mai il motorino al figlio Nicola e con i soldi si mostrò piuttosto parsimoniosa, tant’è che lui la
soprannominava “braccino corto”.
• «Pinuccia, poi chiamata Cianupi in casa nostra, era l’unica a saper prendere per il verso giusto il Commenda, che perciò aveva un debole per lei e non sapeva rifiutarle niente, mentre si mostrava assai meno tenero con Andrea» (Nicola Carraro).
• Pinuccia sposò Mimmo Carraro il 16 ottobre del 1940, pochi mesi dopo l’entrata in guerra dell’Italia. Il Commenda, quando giunse il momento di salutare la figlia prima che partisse per la luna di miele, scoppiò in lacrime. Non solo, appena gli sposini raggiunsero l’Hotel Splendido di Portofino, meta del loro viaggio
di nozze, lui piombò lì, a sorpresa, con la moglie Anna.
• Pinuccia litigò con il fratello Andrea quando lui decise di acquistare le quote del Corriere della Sera in mano all’avvocato Agnelli senza consultare nessuno dei Carraro.
• Pinuccia, a cui negli ultimi anni era scoppiata una passione incontrollabile per le slot machine: entrava al casinò di Montecarlo attorno alle quattro del pomeriggio, spesso di ritorno dalla spiaggia, ancora avvolta nel pareo, e dovevano “smobilitarla” alle quattro del mattino, orario di chiusura.
• Una volta Pinuccia vinse in un colpo solo al Casinò centodieci milioni. Si fece dare un assegno di cento milioni, chiedendo gli altri dieci in contanti. Poi, tornò a casa ed entrò nella camera dove il marito dormiva beatamente, ignaro di ciò che era successo, e gli rovesciò in testa tutte le banconote.
• Da anziani, Pinuccia e Mimmo Carraro non passavano molto tempo insieme perché avevano interessi diversi, eppure ogni sera si sedevano fianco a fianco sul divano davanti alla tivù per guardare Passaparola, condotto da Jerry Scotti.
• Una sera, alla festa di Natale a casa Carraro, Nicola fece una sorpresa ai suoi genitori: li aveva avvisati che non sarebbe stato presente, invece si vestì da Babbo Natale. Poi lui e la compagna Cristina si nascosero in due grandi sacchi, che vennero messi sotto l’albero, e saltarono fuori all’improvviso.
• Lucia Solmi, moglie di Andrea Rizzoli e madre di Alberto, Angelone e Anna Grazia detta Annina.
• Lucia Solmi veniva da una famiglia di intellettuali: il padre Giorgio era segretario generale dell’amministrazione provinciale e aveva dodici tra fratelli e sorelle, tutti laureati in Legge, professori e giuristi.
• Lucia sposò Andrea, di otto anni più grande di lei, che ancora non aveva vent’anni.
• Lucia ebbe Alberto nel febbraio del 1945, negli ultimi mesi di guerra. Partorì nella casa del custode della villa di Canzo, senza un medico, con il solo aiuto di una levatrice. Appena nato, Lucia mise Alberto sopra un comodino, avvolto in una copertina, in attesa che qualcuno si occupasse di lui.
• Rinella, figlia di Angelo Rizzoli e Anna, morta quando aveva dodici anni perché cagionevole di salute.
• Anna Grazia Rizzoli, detta Annina, nacque il 21 aprile del 1956. Quando i genitori si separarono Alberto e Angelo, ormai adolescenti, rimasero con il papà e il nonno in via del Gesù, mentre Annina si trasferì con la mamma in via Vivaio.
• Andrea Rizzoli ebbe anche una figlia, Isabella, da un’altra donna, Ljuba Rosa.
• Annina aveva una grande passione per i cavalli, montava benissimo e partecipava ai concorsi ippici con ottimi risultati.
• Isabella, nata il 27 giugno 1964 e morta, cadendo dalla finestra della villa di Cap Ferrat, il 19 luglio 1987.
• Il Commenda nel suo testamento aveva scritto: «Non fate debiti con le banche», «vogliatevi sempre bene e rimanete uniti fra voi».
• Il 20 gennaio 1975, il giorno in cui Nicola Carraro lasciò la Rizzoli dopo l’acquisto del Corriere della Sera voluto da Andrea Rizzoli.
• Così ricorda Nicola Carraro: «L’ultimo giorno – non l’ho mai dimenticato – tu (Alberto Rizzoli, ndr) venisti nel mio ufficio e senza tanti giri di parole mi dicesti: “Io sono contro tutti quelli che abbandonano la nave quando sta per affondare, ma se fossi libero di decidere cosa fare – e purtroppo non lo sono – mi comporterei esattamente come te”».
• Il concetto di azienda editoriale di Angelo Rizzoli raccontato dal nipote Nicola Carraro: massima indipendenza da chiunque, il prodotto al primo posto e tutti al servizio del lettore.
• La situazione della Rizzoli oggi: «I libri ci sono e vanno più che discretamente; Oggi tiene botta; la cartiera di Marzabotto se l’era comprata la Burgo e adesso non c’è più; L’Europeo, Annabella, Bella, Sogno sono stati chiusi; Novella e Sorrisi e Canzoni venduti; la Cineriz e la Rizzoli Film hanno terminato la loro attività e il catalogo cinematografico lo ha comprato Berlusconi; le terme e gli alberghi di Ischia hanno altri proprietari; la libreria sulla Quinta Strada è sparita e al suo posto hanno costruito un grattacielo; il Sereno, lo yacht di famiglia, simbolo di quel periodo d’oro, è stato venduto e – che sia un segno del destino? – è finito affondato… Che disastro! Ma com’è potuto succedere un tale sfacelo nel giro di pochi anni? Ancora nel 1973 la Rizzoli macinava utili pazzeschi…» (così Nicola Carraro).
• Quando Nicola lasciò la Rizzoli, insieme con l’amico Tiziano Barbieri comprò la maggioranza della Sperling & Kupfer: il nucleo originario della casa editrice era composto solo da otto persone rispetto alle oltre duemila della Rizzoli.
• Tiziano Barbieri, detto “Ciuffo”.
• Quando a Nicola venne l’idea di prendere uno sceneggiatore di fotoromanzi e trasformarlo in un romanziere. Così convocò alla Sperling due suoi amici, Nullo Cantaroni, il direttore di “Sogno”, e la moglie Bice Cairati. I due diedero vita allo pseudonimo di Sveva Casati Modignani e nel 1981 pubblicarono il primo romanzo, Anna dagli occhi verdi.
• Dopo la Sperling, Nicola Carraro si trasferì a Roma e si dedicò al cinema, collaborando con Franco Cristaldi. La casa di produzione era la Vides.
• «Guadagna e pentiti» (il motto di Franco Cristaldi).
• Dopo la morte di Franco Cristaldi e Tiziano Barbieri, Nicola Carraro mollò tutto e si trasferì nell’isola di Providenciales, vicino alle Bahamas, nelle Turks and Caicos.
• La sua giornata tipo sull’isola: sveglia alle sei, breakfast con caffè e mango, passeggiata sulla spiaggia con i suoi labrador cioccolata Caicos e Nikita, ritorno a casa con lettura del Corriere della Sera del giorno prima che l’American Airlines gli faceva arrivare quotidianamente, a un prezzo esorbitante, con il primo volo da Miami. Poi giro sul fuoribordo Italian Nightmare (Incubo italiano) alla scoperta di spiagge e isolotti incontaminati. Alle 12.30 un piatto di spaghetti, breve pennica, partita di golf. Finito di giocare, si cominciava il giro delle birre gelate con il lime, quindi tornava a casa a leggere, cena e football americano alla tv. Alle undici andava a dormire.
• Prima di lasciare l’isola per tornarsene in Italia, Carraro creò la Rizzoli Foundation, un’associazione benefica con cui a sue spese fece studiare nella migliore scuola privata dell’isola oltre cinquanta bambini che non avevano i mezzi per un’istruzione superiore.
• Angelo Rizzoli e la moglie Anna, fieri delle loro radici, usavano spesso il dialetto e amavano la città di Milano.
• Angelo Rizzoli è morto il 24 settembre del 1970. L’ultima settimana di giugno cenò con i suoi nipoti, Alberto, Angelone e Nicola, al Savini. Ordinarono il solito menu: risotto al salto, cotoletta alla milanese, niente vino. Al momento del caffè, Angelo annunciò che aveva voglia di vendere la casa editrice, ma i tre nipoti non erano d’accordo. Nicola Carraro: «Il Commenda però non sembra convinto delle nostre argomentazioni e, fissandoci uno a uno negli occhi, tira la sua stoccata: “Non prendetevela, ma secondo me vi state sbagliando. Tu, Nicola, sei il più “editore” di tutti, ma hai il carattere di tuo padre – oltretutto sono sicuro che sarai il primo ad andartene dalla Rizzoli; tu, Angelone, sei molto intelligente e colto come tuo zio Nanni Solmi, ma manchi di qualunque senso pratico; tu, Alberto, sei quello che mi somiglia di più e sei un bravo stampatore, ma sei così giovane…”. Poi tira un sospiro e chiede il conto. Allibiti, noi tre non fiatiamo. Usciti dal ristorante, passiamo come sempre davanti alla libreria Rizzoli, in Galleria, per ammirarne le vetrine e lì il nonno mormora con un filo, ma proprio un filo, di voce: “Forse, se voi tre rimarrete uniti…”. Non rimanemmo uniti».