Caterina Visco, il Venerdì 13/2/2015, 13 febbraio 2015
CONTRO IL DOLORE CI SIAMO ALLEANTI CON UNA TARANTOLA
SAN FRANCISCO. «Il dolore è come il cancro». Con queste parole il professor David Julius cerca di spiegare perché, anche se riusciamo a far atterrare una sonda su una cometa, ancora non siamo in grado di contrastare efficacemente il dolore cronico. «Dolore è un termine generico, come cancro» ripete. «Noi adoperiamo sempre la stessa parola, ma con dolore possiamo intendere molte patologie diverse». C’è un dolore di natura infiammatoria, un altro dovuto a una ferita, un altro ancora di natura oncologica. «Ci sono punti in comune tra i diversi meccanismi, ma anche molte particolarità, e uno stesso farmaco non sarà mai efficace per tutti» prosegue. E se lo dice lui, c’è da fidarsi.
David Julius è infatti uno dei pionieri dello studio del dolore. Ha cominciato a occuparsene negli anni Ottanta, dopo una laurea al Mit di Boston e un dottorato all’Università della California a Berkeley. Nel 1997 ha scoperto il recettore Trpv1 per la capsaicina, la molecola contenuta nel peperoncino, e il fatto che questo è legato anche alla percezione delle alte temperature (sopra i 42°C) e del dolore provocato da diverse sostanze, incluse quelle rilasciate dalla tarantola quando morde. Proprio in virtù di questi studi il suo nome è stato uno di quelli più citati alla vigilia degli annunci degli ultimi Nobel per la medicina. E non è detto che il premio non arrivi al prossimo giro. Oggi, all’Università di San Francisco, Julius è a capo di un laboratorio che porta il suo nome. Qui, nel suo ufficio, in maniche di camicia su uno sgabello, pazientemente racconta come tutto è cominciato.
«Verso la metà degli anni Ottanta non si sapeva molto del meccanismo di percezione del dolore a livello molecolare o chimico. Io ero curioso di capire come funzionava, e la periferia, dove lo stimolo doloroso comincia, mi sembrava un buon punto di partenza. Diversi tipi di dolore di natura infiammatoria, come per esempio quelli dovuti ad alcune patologie oncologiche, sono legati all’attivazione iniziale delle fibre nervose sensoriali da parte dei recettori per la capsaicina o di altri recettori simili. Magari, prevenendo questo iniziale dolore periferico, sarà possibile bloccare la cascata di eventi che porta al dolore persistente. Inoltre, capire come intervenire sul meccanismo iniziale di trasmissione potrebbe permetterci di sviluppare azioni contro il dolore più specifiche, senza effetti collaterali sul resto dell’organismo».
Ma a che cosa servono esattamente questi recettori periferici?
Il piccante, alcuni dolori e il calore forte sono percepiti grazie a un unico recettore
«Il recettore per la capsaicina, o Trpv1, come anche quello per il mentolo (Trpm8), che ci permette di percepire anche il freddo, o quello cosiddetto “del wasabi” (Trpa1), che ci fa percepire le sostanze pungenti e che, secondo alcuni ricercatori, è anche legato alla percezione di temperature particolarmente basse e del dolore che si prova in queste condizioni, sono sentinelle dell’organismo che ci forniscono informazioni importanti sull’ambiente in cui viviamo. Ci dicono cioè se coprirci per conservare calore o scoprirci per cederlo, se evitare una superficie troppo calda, o se una parte del nostro corpo è ferita e deve essere protetta. Per esempio, se ci siamo scottati trascorrendo una giornata in spiaggia, possiamo non accorgercene immediatamente; tuttavia, quando saremo sotto la doccia, l’acqua che il giorno prima sembrava fresca ci risulterà dolorosamente calda. Questo accade perché la scottatura ha innescato l’azione di recettori che, a loro volta, hanno attivato fibre nervose. Queste hanno sia trasmesso il segnale doloroso alla spina dorsale, sia avviato il rilascio in loco di una serie di molecole che hanno provocato rossore, gonfiore e ipersensibilità al calore e al tatto. Questi sono segnali per dire al cervello “fai attenzione, sei ferito e devi proteggere quest’area’’».
Queste molecole hanno a che fare anche con il dolore persistente?
«Sì, perché queste molecole riaccendono anche continuamente il recettore e questo, a sua volta, riattiva la fibra nervosa che trasmette un nuovo segnale di dolore, innescando in alcuni casi un circolo vizioso chiamato infiammazione neurogenica, che è una parte importante del dolore cronico».
Che cosa possono ancora rivelarci questi recettori?
«Con il mio gruppo di ricerca ci stiamo concentrando sullo studio della struttura tridimensionale di Trpv1, che recentemente siamo riusciti a “fotografare” per la prima volta, grazie all’aiuto di una tarantola».
Una tarantola?
«Cercavamo, oltre al peperoncino, altre sostanze in grado di attivare questi recettori che, sulla superficie delle cellule, si aprono e si chiudono per rilasciare gli ioni calcio che mediano il messaggio doloroso. Sapendo che il morso di alcuni animali velenosi può essere molto doloroso a causa delle tossine presenti nella sostanza prodotta dall’animale, abbiamo esaminato il veleno di diversi tipi di animali come ragni, scorpioni e serpenti di ogni angolo del pianeta. Volevamo capire quali sostanze interagissero con Trpv1 e abbiamo scoperto che la maggior parte di questi veleni effettivamente lo attiva. In particolare ci è stato utile il veleno di una tarantola di Trinidad chiamata Tarantola Trinidad Chevron (Psalmopoeus cambridgei). Contiene una tossina il cui effetto è quello di mantenere sempre aperto i canali sulla superficie delle cellule rappresentati dai recettori, provocando un costante flusso di ioni e quindi un segnale doloroso intenso e prolungato. A quel punto, grazie alla collaborazione di Yifan Cheng, anche lui ricercatore qui a San Francisco, abbiamo usato una microscopia crio-elettronica per fotografare per la prima volta in 3D la struttura del recettore».
E questo potrebbe essere utile per mettere a punto nuove terapie?
«Sì, perché ora possiamo cercare di capire come funziona, come si attiva o disattiva, e possiamo farne il bersaglio per trattamenti contro il dolore più sofisticati e selettivi. Per esempio, farmaci con meno effetti collaterali come la dipendenza o assuefazione. O in grado di bloccare l’azione del recettore quando si innesca il circolo vizioso del dolore cronico, ma non quando questo deve trasmettere la percezione del calore o di un dolore acuto e momentaneo».
Caterina Visco