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 2015  febbraio 11 Mercoledì calendario

ROMA, CAPITALE DELLA PROSTITUZIONE

Di giorno è più facile comprare sesso nella periferia nord della Capitale. Le rumene si vendono lungo la Salaria, davanti ai grandi studi televisivi. Le nigeriane, truccatissime, aspettano i clienti sulla Tiberina, subito dopo Prima Porta. Quando cala il sole, il mercato prosegue fiorente nel resto della Città Eterna. Su viale Palmiro Togliatti è un continuo via vai di clienti. Le ragazze dell’Est Europa affollano il marciapiede fin sotto gli archi dell’antico acquedotto Alessandrino. Le prestazioni più richieste sono quelle dei transessuali, particolarmente attivi nella zona dell’Eur. Fino all’alba presidiano l’area residenziale attorno al ristorante panoramico della città, il Fungo. Ci sono anche le prostitute cinesi, che però non esercitano in strada. I rapporti sessuali si consumano in anonimi pied à terre, per prendere appuntamento bisogna cercarle tra gli annunci dei quotidiani locali. Chi vuole un rapporto omosessuale si rivolge ai ragazzi che battono a piazza Esedra, vicino alla stazione Termini. Oppure nei pressi di villa Borghese, proprio davanti alla Galleria d’arte moderna. Ventiquattro ore al giorno, in centro e in periferia, a Roma il mercato del sesso a pagamento non si ferma mai. Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le fantasie. In media scendono in strada ogni giorno quasi duemila prostitute, d’estate anche qualcuna in più. E con buona pace della crisi, i clienti non mancano mai.

Roma Est, a due passi da Tor Sapienza. Alle undici di sera piazzale Pino Pascali è già pieno di clienti. Di fianco alla distesa d’asfalto si allunga spettrale il Centro Carni, il mattatoio della Capitale. Nonostante il divieto di transito imposto dal Comune per arginare la compravendita di prestazioni sessuali, le macchine vanno e vengono in cerca di prostitute. Tacchi alti, fisici statuari, seni oltremisura. Sotto gli appariscenti cappotti spuntano minigonne coloratissime. Questo è il regno dei transessuali. Alcuni passeggiano illuminati dai fari delle macchine. Altri aspettano i clienti nella propria auto, per consumare il rapporto direttamente sul posto. Vengono quasi tutti dal Brasile, qualcuno dalla Colombia. Nel mercato della prostituzione romana rappresentano il 20 per cento dell’offerta. È la fetta più ambita e richiesta. Anche per questo le prestazioni sono le più care.

I cittadini assistono impotenti alla scena. «Su quel piazzale hanno costruito moderne palazzine che dovevano far parte di un nuovo quartiere con servizi ed esercizi commerciali» racconta Roberto Torre, vicepresidente del Comitato di Tor Sapienza. Ma ormai nessuno ha il coraggio di affacciarsi alle finestre. La sensazione di vivere ai margini della legalità è evidente. «Per attirare l’attenzione dei clienti molti transessuali espongono bambole gonfiabili» continua Torre. I rapporti sessuali vengono consumati sulla strada, ma nella vicina via Longoni c’è chi si spinge fin dentro gli androni dei condomini. Paradossalmente le forze dell’ordine hanno un presidio fisso a poche centinaia di metri. Un blindato e una gazzella dei carabinieri stazionano tutta la notte di fronte al centro per rifugiati di via Morandi, la struttura assaltata da alcuni residenti lo scorso autunno. Una presenza fissa che non basta ad arginare il mercato del sesso. «Dopo i disordini di novembre - continua Torre - è rimasto tutto come prima. Anzi, forse il traffico dei transessuali è persino aumentato».

Le forze dell’ordine hanno le mani legate. La gestione del fenomeno è particolarmente delicata. Durante i servizi antiprostituzione, spesso gli operatori segnalano aggressioni e casi di autolesionismo. Non solo. I transessuali trovati senza il permesso di soggiorno non possono essere condotti al centro di identificazione di Ponte Galeria, perché privo di locali idonei. «E così i provvedimenti di espulsione servono a ben poco - racconta una fonte della Questura - Spesso scopriamo che in passato alcuni di loro sono già stati espulsi. Per quello che ci compete possiamo solo fare un nuovo provvedimento e invitarli a lasciare il territorio nazionale. Ovviamente non serve a nulla».

Su via Prenestina i transessuali contrattano le prestazioni nei pressi dei distributori di benzina. Nella zona nord di Roma, vicino ai Parioli, incontrano i clienti a due passi dalla moschea. Dall’altra parte della città, invece, si vendono all’Eur, il quartiere residenziale della ricca borghesia. Battono le strade tra negozi di lusso e i grattacieli delle grandi aziende, sullo sfondo i palazzi di marmo dalla tipica impronta razionalista. Come scende il buio a decine attendono fin sotto i cancelli delle villette. Il divieto di accesso notturno nelle strade secondarie serve a poco. Come inutili sono le telecamere. I cittadini del quartiere sono esasperati, il mercato del sesso è fuori controllo. Il presidente del Municipio Andrea Santoro (Pd) lavora da mesi a un progetto di “zoning”, un’area di tolleranza dove concentrare le prostitute con l’assistenza delle unità di strada e il controllo delle forze dell’ordine. Il caso è salito alla ribalta nazionale, con tanto di polemiche e dibattiti. «Nel nostro territorio - fanno sapere dalla presidenza del Municipio - c’è una prostituita ogni venti metri. Di notte si può comprare sesso in diciotto strade su trentatré».

Non solo transessuali. Tra viale Europa e viale Tupini si vendono indisturbate le ragazze dell’Est. Vengono dai paesi dell’ex blocco comunista, per la maggior parte dalla Romania. Di notte su viale Palmiro Togliatti è una passerella continua, mentre sulla Salaria e la Tiberina si esibiscono in pieno giorno. Su via Cristoforo Colombo aspettano i clienti alle fermate dell’autobus fino alle prime luci dell’alba. Oltre a essere le più numerose, le ragazze dell’Est vantano il primato dell’età. Sono giovanissime, tra i 18 e i 20 anni. Qualcuna anche meno. Corpi magri e slanciati, capelli lisci e sguardi di ghiaccio. Alcune di loro si vendono due volte: la notte presidiano i marciapiedi mentre di giorno si prostituiscono in piccoli appartamenti.

E poi ci sono le nigeriane. La comunità vive raccolta nella zona di via Casilina, tra Torre Angela e Giardinetti. Ma le ragazze sono costrette a prostituirsi un po’ ovunque. Di giorno e di notte, lavorano nelle zone più periferiche della città. All’Eur, oltre il raccordo anulare. Oppure sulla Tiberina, dove incontrano clienti fin dal mattino, consumando rapporti sessuali sul ciglio della strada. In molti casi senza permesso di soggiorno, «durante i controlli scappano, hanno paura delle forze dell’ordine» raccontano in questura. E questo complica anche il lavoro delle unità di strada che cercano di avvicinarle per fornire sostegno psicologico e sanitario, spesso senza riuscirci.
Il ruolo della criminalità organizzata è evidente. Quasi sempre le ragazze che giungono dall’Africa devono lavorare per saldare un debito con gli sfruttatori. Almeno 70-80mila euro. Storie drammatiche, che affondano le radici nel passato. Nonostante la Nigeria sia uno dei paesi più popolosi del Continente Nero, le ragazze costrette sui marciapiedi di Roma - e del resto d’Italia - vengono tutte da un piccolo territorio. L’area di Benin City, nello stato di Edo. Nel XVI e XVII secolo la regione era conosciuta come la “Costa degli Schiavi”, da qui partivano a migliaia in catene verso l’Europa.

Invisibili, le prostitute cinesi rappresentano un’altra realtà del mercato di Roma. Salvo rarissime eccezioni, le donne orientali non si vendono sulle strade. Operano solo al chiuso, in piccoli pied à terre e centri massaggi. I clienti le cercano attraverso le inserzioni sui quotidiani locali, più spesso tramite annunci in rete. Il prezzo viene concordato al telefono. Quella cinese è una comunità a parte, con proprie regole e consuetudini. Talvolta si tratta di donne più mature rispetto alle altre prostitute. Quasi sempre prima di essere costrette a vendere il proprio corpo sono state vittime di sfruttamento lavorativo.
Qualche anno fa le autorità avevano tentato di studiare il fenomeno, avviando un censimento. Senza risultato. «È una realtà completamente impermeabile» raccontano le cooperative romane che si occupano di fornire sostegno alle prostitute. Un mondo di cui si conosce poco o niente. L’unica realtà con qualche similitudine è quella delle prostitute arabe. Pochissime in città, anche loro lavorano al chiuso. A differenza delle orientali, però, i loro clienti vengono esclusivamente dalla stessa comunità di appartenenza.

Delle prostitute italiane, invece, sulla strade di Roma non resta più traccia. Salvo poche eccezioni. I piccoli falò che di notte illuminano Viale Tor di Quinto rappresentano una delle ultime comunità. Quattro o cinque anziane signore che ancora si vendono, ricevendo i clienti nei camper e nelle auto parcheggiate ai bordi della strada. Hanno tra i sessanta e i settanta anni, qualcuna indossa una pelliccia, sono il simbolo di un’epoca che sta scomparendo. Non sono le uniche italiane. Alcune ragazze tossicodipendenti si vendono saltuariamente per una dose. Ma gli operatori delle cooperative raccontano anche altre storie. Recentemente qualcuno si è imbattuto in una signora di mezza età, separata. Senza l’assegno del marito, aveva deciso di scendere sul marciapiede per sbarcare il lunario. Simile la storia di una studentessa universitaria fuorisede. «In Italia c’è ancora chi considera la prostituzione una risorsa, seppure estrema».

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A prima vista il piazzale sembra deserto. Basta spegnere il motore e aspettare pochi minuti. Qualcuno esce dai cespugli, si avvicina. È un ragazzo giovanissimo. Avrà vent’anni. Cappellino in testa e smartphone in mano, gira attorno alla macchina e finge disinteresse. Poi si ferma a pochi metri di distanza. Non ci sarebbe nulla di strano, se non fossero le due di notte. Alcune auto passano veloci, due o tre volte. Poi si fermano, accendono e spengono i fari. L’avvicinamento al cliente segue un preciso rituale. Roma Nord, Valle Giulia. La prostituzione che non ti aspetti va in scena davanti a Villa Borghese. Sulla scalinata che domina la Galleria d‘Arte Moderna.

«Lo scenario è quello pasoliniano dei ragazzi di vita» racconta Federica Gaspari, psicologa della cooperativa Parsec, attiva in città nell’ambito della prostituzione e dello sfruttamento sessuale. È un fenomeno marginale, molto nascosto. Ma radicato. A vendersi per strada sono giovanissimi, raramente hanno più di venticinque anni. In alcuni casi si tratta di minori. I ragazzi lavorano nella zona di Valle Giulia, ma anche a Piazza della Repubblica e all’Esquilino, vicino la stazione Termini. Molti sono italiani. Si prostituiscono assieme a nordafricani e rumeni. Non sono necessariamente omosessuali, ma la clientela è unicamente maschile. «Per le nostre unità di strada sono difficili da avvicinare» spiega ancora Federica Gaspari. «Spesso la prostituzione è una risorsa estrema per sopravvivere». I clienti non pagano solo la prestazione. A volte li ospitano, li invitano a pranzo. Offrono da dormire per la notte. E non di rado vengono rapinati. «Una realtà che non accade quasi mai con la prostituzione femminile», conferma una fonte della Questura di Roma.

Per chi ha soldi da spendere, nella Capitale della prostituzione non ci sono limiti. Ragazze dell’Est, africane, orientali, transessuali. Sulla strada si trova di tutto. Anche minorenni. Le cooperative sociali lanciano l’allarme. «Quelle che si prostituiscono sui marciapiedi sono quasi tutte giovanissime, tra i 18 e i 20 anni» rivela Irene Ciambezi, responsabile del servizio antitratta a Roma della Comunità Papa Giovanni XXIII. «Ma c’è una significativa percentuale di minori che non può essere sottovalutata». Secondo le stime della cooperativa Parsec sono almeno il 20 per cento. Una prostituta su cinque.

Sulle strade della Città Eterna si compra e ci si vende. Ogni servizio ha il suo prezzo. «Le più economiche sono le nigeriane – racconta Gaspari – poi ci sono le rumene». La prestazioni sessuali in auto partono da trenta euro, ma per appartarsi in una pensione si può arrivare fino a 150. Nel caso dei transessuali il prezzo sale, sono i più ambiti. «Molto più delle donne», raccontano. Il listino del sesso a pagamento prosegue. C’è chi spende di più per avere rapporti con ragazze in stato interessante. «E sono molte le donne incinte che lavorano per strada» confermano in Questura. «La maggior parte resta sul marciapiede fino al settimo mese». E poi ci sono i rapporti non protetti. Per una prestazione senza profilattico il costo aumenta ancora. «Secondo le nostre rilevazioni su Roma - spiega Irene Ciambezi - il 70 per cento dei clienti chiede alle ragazze prestazioni non protette».

Domanda e offerta. Come ogni mercato, anche quello della prostituzione ha finito per sentire le conseguenze della crisi. Anni fa le ragazze rumene che si prostituivano in Spagna si trasferivano sulle nostre strade, perché qui si lavorava di più. Adesso la migrazione si è fermata. Intanto i prezzi scendono e ognuno si arrangia come può. A Roma le prostitute cinesi esercitano rigorosamente al chiuso, lontano dai marciapiedi. «Eppure qualche mese fa - racconta una fonte in Questura - un gruppo di orientali ha iniziato a frequentare viale Palmiro Togliatti. Per una ventina di giorni hanno offerto prestazioni sessuali al ribasso, a quindici euro».

I clienti delle prostitute non mancano. È difficile tracciare il profilo dei romani che comprano sesso sulle strade. «Ci vanno tutti - tagliano corto in Questura - Dal grande professionista al pregiudicato». In città si stimano almeno 6-7mila prestazioni al giorno. Considerato un fisiologico ricambio della clientela, non è azzardato ipotizzare almeno centomila clienti più o meno regolari. «Parliamo di chi ha già una moglie a casa - continua Irene Ciambezi della Comunità Giovanni XXIII - esponenti del ceto medio. Sfatiamo il mito del ragazzino alle prime esperienze che vuole provare la prostituta».

Se i clienti pagano, non tutti i soldi finiscono alle lucciole. Il ricco mercato del sesso nella Capitale non prescinde dagli interessi di sfruttatori e criminalità organizzata. A sentire le cooperative sociali che operano sul territorio la presenza della malavita è concreta. «La stragrande maggioranza delle ragazze che si prostituiscono in strada sono costrette, comunque persuase» spiega Ciambezi. Ci sono le grandi organizzazioni criminali che gestiscono la tratta di esseri umani, spesso in accordo con le mafie italiane. E ci sono quelli che alla Comunità Papa Giovanni XXIII definiscono “mediatori”. Le nigeriane li chiamano “papagiro”. «Sono quelli che accompagnano le ragazze ai loro posti e le vanno a riprendere» Spesso le controllano durante il lavoro. «Sono le uniche figure che ogni tanto la polizia riesce ad arrestare». E poi c’è il controllo dei marciapiedi. A Roma ogni strada è lottizzata, raccontano, e spesso per lavorare bisogna pagare il pizzo. «Ma non sempre sfruttatori di prostitute e controllori dei marciapiedi coincidono - continua Ciambezi - spesso si tratta di bande diverse».

Il fenomeno è complesso. Le situazioni molto diverse tra loro. Pia Covre è la responsabile del Comitato per i diritti civili delle prostitute, realtà che ha fondato più di trenta anni fa. Per tante operatrici del settore è un punto di riferimento. «È sbagliato dire che la maggior parte delle ragazze in strada sono sotto sfruttamento - racconta al telefono - Alcune ragazze sono manodopera portata in Italia proprio come succede per la raccolta di pomodori o per il lavoro nei cantieri. Viene sfruttata la loro condizione di debolezza. Ma ci sono diversi livelli di sfruttamento: alcune ragazze sono alla sbarra, come le nigeriane che devono ripagare il viaggio. Altre fanno una vera e propria contrattazione con chi le aiuta ad arrivare. Magari danno loro il 40/50 per cento del guadagno».

Intanto le forze dell’ordine fanno quello che possono. Non molto. In città le pattuglie a disposizione sono poche. Di notte in tutta Roma girano una trentina di volanti. Le ragazze sui marciapiedi vengono fermate, si controllano i documenti. Del resto la prostituzione non è reato, non può essere perseguita. «La nostra attività di contrasto del fenomeno si limita ad azioni di disturbo» raccontano dalla Questura. Sotto promessa di anonimato il dirigente della polizia non gira troppo attorno alle parole. «Con le risorse a disposizione, a Roma il fenomeno della prostituzione non è gestibile. Chi è incaricato svolge il suo lavoro con rassegnazione, senza alcun entusiasmo. Sapendo che quello che viene fatto non avrà comunque alcun risultato». Molto più concreti gli interventi svolti “sull’indotto”, i reati che girano attorno al fenomeno della prostituzione. La droga, la rapine. Non sono troppo frequenti, ma talvolta capitano casi di violenza sessuale. Clienti che picchiano le lucciole e si rifiutano di pagare. Le ragazze hanno imparato a difendersi. Segnano le targhe delle macchine che le abbordano. «E se la vicina di marciapiede non torna velocemente - racconta ancora il funzionario di polizia - ci chiamano e ci segnalano le auto».

Per arginare il fenomeno la repressione non basta. Negli anni della giunta di centrodestra il Campidoglio ha avviato un giro di vite sulla prostituzione con una serie di ordinanze, ma il sistema non ha funzionato. Dal settembre 2008 alla fine del 2012 sono state accertate 59.385 violazioni. Alla fine le multe pagate sono risultate solo 4.164. «Le misure dell’ex sindaco Alemanno hanno avuto un effetto deleterio, relegando la prostituzione in zone più buie e periferiche», spiega il consigliere comunale e presidente dei Radicali Riccardo Magi. La legge non vieta di lavorare in strada e la prostituzione non è reato, «ma di fatto è consegnata alla clandestinità». A sentire Pia Covre il rischio è che «lo Stato conduca una lotta alle vittime e non ai delinquenti. Intanto le prostitute si lamentano, non vorrebbero repressione né recriminazione nei confronti del loro lavoro e dei loro clienti». Quale via d’uscita? Secondo Riccardo Magi «la legalizzazione è l’unico modo per sapere chi si prostituisce volontariamente e chi è sfruttato».

I diritti passano anche dalla solidarietà. Ad assistere le prostitute ci sono le unità di strada delle cooperative sociali che lavorano per conto del Comune di Roma e quelle delle associazioni di volontariato. Per il Campidoglio, la cooperativa Parsec effettua un’uscita settimanale di tre ore. Non è molto, ma è quello che si può fare coi fondi a disposizione. Auto private, equipe di tre operatori specializzati. «Ogni volta riusciamo a fare due chiacchiere con una quindicina di prostitute», racconta Federica Gaspari. Assistenti sociali e mediatori culturali danno informazioni sanitarie, distribuiscono profilattici alle ragazze. «Non facciamo pressioni per farle uscire dal giro, è una questione di sicurezza. Anche i volantini che forniamo sono molto generici. Dicono che se ci sono problemi di salute possono presentarsi al nostro sportello, così se gli sfruttatori controllano le tasche non si insospettiscono».

Allo sportello, dove le vittime di sfruttamento possono usufruire di consulenza medica, legale e psicologica, le prostitute arrivano spesso per interrompere una gravidanza. Poi ci sono le due “case di fuga” dove la donna viene accolta nella prima fase post denuncia. «Ma oggi - spiega Gaspari - accedono ai programmi di protezione solo il 5-10 per cento delle prostitute che sono in strada. Eppure il successo è di quasi il 90 per cento, un numero altissimo per un programma sociale». Sui marciapiedi della Capitale operano anche le unità di strada della Comunità Giovanni XXIII. «La nostra attività - spiega la responsabile Irene Ciambezi - consiste in esperienze di primo contatto con le prostitute, per costruire relazioni che ci permettono di entrare in confidenza con le ragazze». Alle donne che accettano di collaborare viene proposto un percorso in strutture di accoglienza. «Viviamo insieme alle vittime - insiste Ciambezi - A noi queste ragazze chiedono un lavoro vero».

Se è relativamente facile quantificare il numero delle prostitute che operano per strada, è quasi impossibile sapere quante si vendono negli appartamenti. Dalla Questura di Roma ammettono di non avere mezzi né possibilità di studiare il fenomeno. «Non c’è alcun controllo». Fino a poco tempo fa si interveniva solo su segnalazione dei condomini. «Ma ormai - raccontano - i centri dove ci si prostituisce pagano i vicini di casa e nessuno dice più nulla. La riservatezza fa comodo a tutti». Restano le tracce sui siti internet specializzati in appuntamenti, dove le ragazze pubblicano i propri annunci. E sulle pagine dei quotidiani locali, dove non è difficile riconoscere le inserzioni di chi esercita la professione più antica del mondo. Sulla rete esistono persino dei forum appositi. Veri e propri tripadvisor del sesso a pagamento, dove i clienti si scambiano informazioni e commenti sulle lucciole. Alcuni punti di riferimento sono sempre gli stessi, immutati nel corso dei secoli. È il caso della Suburra, il quartiere dell’antica Roma dove più frequentemente esercitavano le prostitute. Nella stessa zona, oggi sorge il rione Monti. In corrispondenza degli antichi lupanari, le lucciole ricevono i clienti nei piccoli appartamenti di via dei Capocci. Duemila anni dopo la storia è sempre la stessa.